Non ha un nome la donna rumena che è morta, venerdì scorso, a Valdobbiadene, in provincia di Treviso. Non ha un nome, perché non si doveva trovare lì, in quell’azienda agricola italiana, per la vendemmia del Prosecco. Eppure c’era, quella donna di 48 anni, c’era ed è morta di Covid.

Non si sanno nemmeno le iniziali della donna, forse per rispetto della privacy. Forse. Il dubbio è che meno se ne parla, più velocemente ce ne dimenticheremo.

Meno dettagli verranno dati della sua vita, di chi era, di chi la stava aspettando in Romania e ora ne piange la morte, insomma, meno ne sapremo di lei, e più facilmente ci dimenticheremo che una donna arrivata in Veneto come bracciante stagionale per la vendemmia del 2021, che tutti già acclamano come straordinaria, è morta sola, in una stanza.

Di questa donna, sappiamo solo che è arrivata a Valdobbiadene il 17 settembre, in compagnia di 14 connazionali. Tutti non vaccinati. Tutti in un pulmino, come ce ne sono tanti che trasportano manodopera stagionale, senza protezioni, durante l’intero viaggio. Pulmini anonimi che trasportano persone ignote.

E quindi è arrivata, questa donna senza nome, e nessuno si è preoccupato di avvisare del suo arrivo, come di quello del resto degli operai.

La situazione in Romania

Persone per strada. Foto di Ryoji Iwata, usnplash.com

Nessuno si è posto il problema che in Romania solo un terzo della popolazione è vaccinata. Nessuno si è preoccupato di pensare che forse, in un Paese in cui la variante Delta sta galoppando, in cui i posti in terapia intensiva sono esauriti, in cui solo il 30 settembre si è registrato un picco di contagi arrivati a più 12mila in 24 ore, forse un tampone andava fatto. Niente. Tutto taciuto, tutto nascosto, tutto sommerso.

Ed ecco che questa donna è arrivata in silenzio, senza che nessuno dicesse niente, e ha iniziato a vendemmiare, come il resto dei stagionali arrivati con lei, senza un briciolo di controllo.

Bastava un tampone

Passano una decina di giorni e la donna inizia a stare male. Accusa i primi sintomi di malessere, di cui nessuno si cura. C’è la vendemmia da portare avanti, c’è il prezioso Prosecco da raccogliere, non c’è tempo per pensare al Coronavirus (che poi, chissà se esiste davvero). Magari è solo stanchezza. Si sa, la vendemmia è un lavoro pesante. È per questo che serve molta manodopera. È per questo che servono braccia, pronte a fare migliaia di chilometri pur di lavorare.

Inizia però a stare male anche la compagna di stanza della donna, una signora rumena di 45 anni, che ora è in rianimazione al Ca’ Foncello di Treviso. Così sono in due ad avere dei sintomi, ma lo stesso, nessuno contatta le autorità sanitarie. Nessuno richiede un tampone. Perché nessuno deve sapere che quelle donne sono lì.

Le due donne, venerdì mattina 1 ottobre, vengono lasciate in stanza a riposare. Solo alla sera, qualcuno, non vedendo nessun movimento, penserà di entrare nella loro camera per controllare la situazione. La donna di 48 anni è già morta, quella di 45 è in fin di vita.

Morire di Covid

Letto di ospedale vuoto. Foto di Frederic Koberl

Fin dall’inizio della pandemia, le cronache ci hanno raccontato cosa vuol dire morire di Covid: il fiato che si fa faticoso, le forze che se ne vanno, la paura che assale chi è cosciente ma sente che quelli saranno gli ultimi respiri.

Soprattutto ci hanno raccontato la solitudine di chi si trova a morire, in isolamento, senza il conforto dei propri cari.

Perché non sono state spese anche per questa donna, parole di compassione e umanità?

Forse lei non si è sentita sola? Forse lei non aveva capito cosa stava succedendo? Forse lei non si è messa a pensare, in preda al panico, ai suoi famigliari? A come avrebbero appreso la notizia?

Sola. È stata lasciata sola a morire, quella donna senza nome. Scomoda bracciante agricola da tenere nascosta fino all’ultimo respiro.

Ora ci sarà qualcuno che dovrà rispondere di questo: dell’assenza di cure, dell’assenza di prevenzione, di un pur minimo protocollo sanitario.

Le varie autorità, da canto loro, stanno nuovamente rimarcando la necessità di controlli, di sicurezza, del green pass e via discorrendo. Cose già dette e ridette, e comunque sempre che riguardano il piano organizzativo. La produzione che non si deve fermare.

Ma intanto lei non c’è più. Una donna, che poteva salvarsi se qualcuno avesse richiesto un semplicissimo tampone, è morta. Perché doveva rimanere invisibile.

E la vendemmia del 2021 verrà ricordata come la vendemmia della ripartenza; non come la vendemmia in cui le più nere previsioni sull’aumento dello sfruttamento del lavoro agricolo e del rischio per la salute dei braccianti si sono avverate.

E di certo non verrà ricordata per la morte di una donna senza nome.

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