Hong Kong continua la sua inesorabile discesa verso il baratro. L’autoritarismo cinese di Xi Jinping sta prendendo sempre più la mano nell’ex enclave britannica che, a dispetto di quanto sta accadendo negli ultimi anni, avrebbe dovuto continuare a vivere ancora a lungo, secondo gli accordi con Londra, sì sotto l’egida di Pechino ma sempre seguendo il principio più volte sbandierato dell’“un Paese, due sistemi”. Da quando, al contrario, la Cina ha deciso che non era più tempo di tollerare una civiltà democratica all’interno dei propri confini le azioni di “disturbo” – per così dire – sono diventate sempre più frequenti.

Autonomia al macero

A cominciare dalla nuova legge sulla sicurezza nazionale, con cui Pechino ha tolto molte autonomie alla città, che prima di allora aveva goduto di un regime di governo speciale e aveva garantito diversi diritti negati nel resto del Paese. La nuova legge prevede l’istituzione di una commissione per la gestione della sicurezza nazionale che risponda direttamente al governo centrale. Lo scopo è quello di bloccare le attività definite “terroristiche” a Hong Kong, di vietare gli atti di «sedizione, sovversione e secessione» e le «interferenze straniere negli affari locali».

Si tratta di un provvedimento, dunque, che risulta utile per reprimere qualsiasi atto che possa essere considerato come una minaccia alla sicurezza e all’integrità cinese. Un pretesto, in poche parole, per reprimere ogni tipo di libertà. E non è un caso che dalla sua approvazione (giugno 2020) ad oggi decine di persone sono state accusate di vari reati, alcuni giornali, come l’Apple Daily, sono stati chiusi dopo l’arresto e condanna dell’editore Jimmy Lai e di altri giornalisti, mentre numerose associazioni della società civile, tra cui gruppi per i diritti umani e sindacati, sono stati costretti a sciogliersi. Fra queste quella che da 32 anni porta avanti il ricordo dei martiri di Piazza Tienanmen o la Civil Human Rights Front (il principale organismo che lottava per la democrazia nella città) hanno dovuto abdicare a causa delle enormi pressioni ricevute negli ultimi mesi.

E a proposito di Piazza Tienanmen e del massacro del 4 giugno 1989, la Cina fra una repressione e l’altra sta letteralmente riscrivendo la storia di quel grave episodio. Considerato che ormai sono passati più di tre decenni da quei fatti di cui, in Cina, non si riesce più a trovare traccia né su internet e nei motori di ricerca lì utilizzabili né tantomeno nei libri di storia, è più che concreto il rischio che nel tempo la stessa popolazione cinese possa dimenticare, considerato anche che nel frattempo un’intera generazione è nata e cresciuta senza avere informazioni. Ma non è tutto qua. La narrazione cinese predica una sorta di “continuum” di civiltà da 5mila anni a questa parte: la rivoluzione culturale, le dinamiche della guerra civile, la rivendicazione di confini (e pretese sul Mare cinese meridionale). Tutto rientra in una logica di riscrittura del passato, perché, si sa, chi controlla il passato controlla il presente e quindi il futuro.

A un passo dal cadere?

Dopo le elezioni del 19 settembre (le prime dalla revisione del sistema elettorale che consente da marzo 2021 solo ai patrioti – eletti cioè in una lista approvata da Pechino – di votare, candidarsi e, quindi, eventualmente governare la città) il futuro rimane più che incerto, anche perché nel frattempo Pechino sta cercando di colpire anche economicamente la ribelle Hong Kong. Il governo centrale sta dirottando gran parte dei propri traffici sulla città di Hainan, un free port creato appositamente per fiaccare la resistenza di HK, mentre nella vicina Shenzhen spuntano grattacieli da un giorno all’altro, per invitare le grandi compagnie internazionali a trasferire là, nella Silicon Valley cinese, le proprie sedi a prezzi certamente più competitivi.

Nonostante la lunga e coraggiosa battaglia di gran parte della popolazione, soprattutto appartenente alla fascia più giovane, sembra insomma che l’intento di Pechino – in mancanza di un vero sostegno esterno, peraltro complicato sotto tutti i punti di vista – alla fine possa avere la meglio. La Gran Bretagna sta cercando di fare la sua parte accogliendo in questi mesi i rifugiati hongkonghesi, ma si tratta pur sempre di una popolazione di 7,5 milioni di persone, che vedono i propri diritti e le proprie libertà liquefarsi a una velocità inarrestabile.

E sappiamo bene che il tema dei diritti civili non verrebbe nemmeno considerato più di tanto dalle grandi potenze straniere (basti pensare all’oblio che è calato sull’analoga situazione degli uiguri, la popolazione turcofona che vive nella zona ovest della Cina) se dietro non ci fosse anche un tema economico. Trump aveva cercato di combattere l’ascesa cinese con i dazi, mentre Biden ha da poco siglato un accordo con Gran Bretagna e Australia per potenziare il controllo dei mari nell’oceano Pacifico e Indiano, dove la Cina, che non ha una tradizione marittima altrettanto forte, sta mettendo gli occhi.

Hong Kong Moments a Mondovisioni

Si parlerà di questo e molto altro durante la quarta e ultima serata della rassegna Mondovisioni, che l’associazione culturale veronetta129, in collaborazione con Heraldo e Prosmedia, porta a Verona (al Cinema Teatro Nuovo di San Michele Extra) ogni lunedì di settembre. Al centro della kermesse una selezione dei documentari che vengono proiettati di anno in anno nel corso del Festival di Internazionale a Ferrara, la cui edizione 2021 si terrà proprio il prossimo weekend, dall’1 al 3 ottobre.

La locandina del film Hong Kong moments

Hong Kong Moments è il titolo del film che chiuderà la manifestazione e racconta la vita di sette abitanti di Hong Kong, di diverse estrazioni sociali e orientamento politico, proprio durante le proteste che da più di un anno oppongono il movimento pro democrazia al governo della regione e alla polizia. Le loro storie riflettono i conflitti interni a una società sempre più divisa, soprattutto a livello generazionale. Un oppositore del governo, un poliziotto, un operatore di pronto soccorso, un consigliere distrettuale vicino a Pechino, una candidata democratica, la proprietaria di un ristorante filo-governativa e un tassista con un figlio che aderisce alle proteste: ognuno rappresenta speranze e sogni di Hong Kong, centro di potere economico e porto tra il mondo occidentale e la Cina. Nel pieno delle proteste, i sette protagonisti si confrontano con la violenza nelle strade e con i loro conflitti interiori.

Il regista di Hong Kong moments Zhou Bing.

Il regista Zhou Bing è un documentarista cinese e fondatore della Asian Art&Film Foundation. È titolare di un dottorato in Storia dell’arte, materia che ha insegnato alla Usc e alla City university di Hong Kong. Ha diretto e prodotto centinaia di documentari, trasmessi su Cctv, National Geographic Channel, The History Channel, SkyTv, Ndr, Arte e molti altri canali tv internazionali. Ha vinto più di venti premi in Cina, e con il lungometraggio Crosscurrent, da lui prodotto, ha vinto l’Orso d’argento al festival di Berlino.

«Vivo e lavoro a Hong Kong da più di cinque anni e ho sempre voluto fare un documentario su questa città» ha spiegato nel presentare la sua opera. «A partire dalla seconda metà del 2019, siamo stati testimoni di un feroce conflitto che ha cambiato la storia di Hong Kong. Come regista di documentari, con l’incoraggiamento e il finanziamento dei miei amici e la partecipazione di documentaristi europei, abbiamo filmato sette persone di Hong Kong per tre mesi. Tra i protagonisti c’erano un manifestante dei più decisi, un operatore del pronto soccorso, un tassista, un proprietario di una casa da tè locale, un poliziotto, un consigliere distrettuale e una giovane ragazza che ha partecipato alle elezioni. Vivono nella stessa città ma hanno stili di vita e valori così diversi! Ho cercato di registrare la loro storia da un’angolazione calma e oggettiva, con uno stile cinematografico diretto. Abbiamo scelto di filmare contemporaneamente le loro vite e attività, in alcune date specifiche molto speciali per la gente di Hong Kong, e in luoghi diversi della città. Abbiamo lasciato che ogni protagonista affrontasse la nostra macchina da presa per esprimere sinceramente e coraggiosamente le proprie sensazioni. In questo evento storico, gli hongkonghesi si trovano in una sorta di opposizione. In questo momento speciale, tutti stanno proteggendo la città a modo loro, nella speranza di un futuro migliore.»

L’avvocata Sondra Faccio.

Il dibattito che seguirà la proiezione del film vedrà la presenza di Sondra Faccio, titolare di una borsa di ricerca finanziata dalla Fondazione Caritro, docente in materia di diritto internazionale presso la Scuola di Studi Internazionali dell’Università di Trento e avvocata del Foro di Verona.

Si occupa di diritto internazionale degli investimenti e arbitrati internazionali, con particolare riferimento alle zone di conflitto e al tema dello sviluppo sostenibile. Faccio ha trascorso, tra gli altri, un periodo di ricerca a Columbia Law School (New York) e all’Università di Vienna con un premio da parte del governo austriaco (Ernst Mach Grant).

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