Gli esperti Onu lanciano l’ennesimo allarme: a meno di riduzioni immediate, rapide e su scala globale delle emissioni di gas serra, limitare il riscaldamento della superficie della Terra a circa 1,5°C o addirittura 2°C sarà un obiettivo fuori da ogni portata.

Approvato da 195 governi membri dell’IPCC (Gruppo intergovernativo sui Cambiamenti Climatici) l’organismo delle Nazioni Unite per il clima, è stato presentato il 9 agosto alla stampa il primo volume (WG1) del Sesto Rapporto di Valutazione (AR6), la più aggiornata e completa rassegna scientifica sui cambiamenti climatici in corso della terra.

L’IPCC, non conducendo ricerche scientifiche in proprio ma identificando i contenuti su cui c’è accordo nella comunità scientifica internazionale, elabora documenti che sono una fonte credibile di informazioni, difficilmente contestabile da improbabili negazionisti. Fin dalla sua istituzione nel 1988 i suoi documenti sono stati alla base degli accordi internazionali sul clima, da Kyoto a Parigi.

Rispetto all’ultimo rapporto (AR5) del 2013 le stime attuali, basate su più recenti avanzamenti scientifici, su nuove simulazioni e su metodi che combinano quanto è stato fatto e quanto i governi hanno programmato di fare nei prossimi anni, sono certamente le più affidabili disponibili sul pianeta.

Quello presentato è quindi un documento fondamentale per decidere e sarà di riferimento per concordare le azioni durante la prossima Conferenza Cambiamenti Climatici COP 26 che si terrà dal 9 al 20 novembre a Glasgow.

La principale novità è che il riscaldamento sta accelerando più del previsto raggiungendo più frequentemente soglie di tolleranza critiche per l’agricoltura e la salute.

L’Artico privo di ghiaccio marino a settembre, almeno una volta prima del 2050, presentato nelle simulazioni come molto probabile, può essere assunto come simbolo del disastro ambientale che attende le future generazioni. Umberto Nobile nella sua tragica esplorazione artica in dirigibile del 1926 non lo avrebbe mai immaginato.

Stiamo già sperimentando una successione impressionante di impatti climatici, dagli incendi con devastazioni eccezionali (Australia, Nord America, Siberia) alle alluvioni di estrema gravità (Europa, Cina) alle ondate di calore anomale in zone tradizionalmente fresche come i 50°C raggiunti recentemente in Canada.

Incendi e ondate di calore sono aumentati esponenzialmente

Si sta modificando il ciclo dell’acqua: piogge più intense e inondazioni in alcune regioni e forti siccità con carestie e incendi in altre. Sono attesi cambiamenti nelle precipitazioni monsoniche, un continuo irreversibile aumento del livello del mare.

Per le città, alcuni aspetti dei cambiamenti climatici risultano addirittura amplificati. Tra questi, le ondate di calore (le aree urbane sono di solito più calde dei loro dintorni), le inondazioni dovute a forti precipitazioni e l’aumento del livello del mare nelle città costiere.

L’IPCC conferma la nostra responsabilità storica: c’è una relazione lineare tra le emissioni di CO2, il nostro benessere basato sulla combustione dei fossili, e il riscaldamento globale. Come dire che solo la decarbonizzazione delle nostre attività può invertire la rotta.                                            

Occorre fare presto, suggeriscono implicitamente i 234 scienziati che hanno curato la stesura del documento. Occorre agire subito, dimostrarsi coraggiosi e forse anche impopolari. I cittadini devono essere informati e coinvolti. È in gioco il nostro futuro e quello delle generazioni che verranno.

Fondamentale adesso il ruolo della politica a tutti i livelli: internazionali, nazionali, locali. I cambiamenti che ci attendono sono epocali.

A livello veronese, con questo scenario, può diventare colpevole, per tutta la politica cittadina, continuare a tenere nel cassetto dell’assessorato all’ambiente il Piano Ambiente Energia Sostenibile e Clima (PAESC) che ha come obiettivo la strategia comunale di mitigazione e contrasto ai cambiamenti climatici, elencando azioni per ridurre localmente le emissioni di CO2 al 2030 almeno del 55% come chiede l’Europa.

Per la politica internazionale l’appuntamento COP26 di Glasgow potrebbe diventare l’occasione per rafforzare una sovranità globale, coinvolgente tutti gli stati del pianeta su un progetto comune: zero emissioni al 2050. Un suo fallimento avrebbe, a questo punto, un effetto devastante e sarebbe imperdonabile.

©RIPRODUZIONE RISERVATA