Quella di Pietro Franco è una storia che comincia tornando. Un’attività che suona come una scommessa e una sfida contro il tempo. L’obiettivo è riportare la biodiversità laddove crisi idrica e siccità hanno cambiato i connotati naturali del territorio, la sua Basilicata. Il 23 novembre scorso ha conseguito il Premio Jean Giono, per la categoria volontari, in occasione degli Stati generali della Carta di Sandrigo.

Da sempre appassionato di natura, Franco si è laureato in biologia, con un dottorato PhD in plancton–biologia marina. Specializzatosi in Cina e Taiwan, ha studiato habitat diversi ed esotici, visitando in quattro anni quasi tutto il Sud Est asiatico, tra Giappone, Vietnam, Laos e Cambogia. Tornato in Italia nel 2016, con l’associazione culturale Rocciaviva, insieme alle organizzazioni internazionali Plant for the planet Italia ed Ecosystem restoration camps, avvia con altri giovani materani il progetto “Magnus Lucus – la rigenerazione degli ecosistemi nel Sud Italia”. L’obiettivo è di recuperare gli ecosistemi del Sud Italia, fermare la desertificazione delle terre e creare oasi di biodiversità. Tra il 2019 e il 2021 in località Masseria La Fiorita di Matera hanno messo a dimora 8mila piante. 

Franco, lungo il suo percorso formativo, che include tante esperienze all’estero, qual è stata la lezione più importante che ha imparato?

«Quello che mi sono portato a casa ha a che fare con l’economia e la gestione della società, più che con lo studio accademico. Ho visto e potuto toccare con mano i problemi della società capitalistica, maturando la consapevolezza del divario tra il centro e la periferia, tra città e campagna, tra chi è proiettato nel futuro e chi fa da guardiano ai saperi del passato. In una società in cui tutto è esponenziale, sono passato dalle metropoli alle palafitte, e ho potuto fare esperienze agli antipodi. Quello che mi ha davvero formato, però, è stato vivere in ecovillaggi per progetti di recupero degli ecosistemi naturali ed entrare in contatto con gruppi di educazione alternativa».

Pietro Franco nei terreni in provincia di Matera in cui è in corso una piantumazione curata dall’associazione Rocciaviva.

È da queste esperienze in ecovillaggio che matura l’idea che portate avanti con l’associazione Rocciaviva?

«Nelle società asiatiche che ho incontrato, ho avuto la conferma che bisogna cambiare paradigma e applicare le nostre conoscenze tecniche e tecnologiche alle intuizioni del passato. Stare lontano mi ha fatto capire quanto io potessi essere utile per la mia terra, la Basilicata arida e ormai abbandonata, in cui la crisi idrica ha cambiato non solo il panorama, ma anche gli orizzonti di vita di tanti miei concittadini. Quindi sono rientrato e, con alcuni colleghi e amici appassionati di verde e natura, ho fondato l’associazione Rocciaviva a Matera, con l’obiettivo di recuperare terreni da trattare con agricoltura sostenibile e permacultura, per riportare bosco e creare un rapporto nuovo e diretto con la città».

Come siete partiti?

«Devo ringraziare chi fin dall’inizio ci ha dato fiducia, anche solo ascoltando i nostri sogni. Abbiamo lanciato con successo un crowdfunding di raccolta fondi per un progetto pilota in una masseria vicino Matera. Poi sono seguiti dimostrazioni e convegni, laboratori di orti urbani e vivai collettivi per bambini e famiglie, vendite delle nostre piccole produzioni, mostre, convegni e incontri. La voce si è sparsa, abbiamo attirato nuovi clienti e amici. In altre parole, raccontando il nostro progetto di costruire un territorio più verde e vicino all’habitat naturale, abbiamo seminato speranza e raccolto fiducia».

Com’è cresciuta da allora la vostra associazione? Quali progetti avete in attivo?

«Nel giro di poco tempo siamo passati da 4-5 persone a quasi una ventina di attivisti, con diverse specializzazioni, tra agronomi, tecnici ingegneri, biologi. E continuiamo anche a coinvolgere volontari per le giornate di messa a dimora delle piante. Nel frattempo abbiamo avuto anche notorietà grazie a documentari e servizi che hanno girato su di noi, mostrati sia su reti locali che nazionali, addirittura ad “Italia che cambia” sulla Rai. Abbiamo anche attivato il primo corso interamente di permacultura in Italia, con l’Istituto Italiano di permacultura, dando una valenza anche istituzionale al nostro know how. Inoltre, anche grazie agli sgravi finanziari previsti per la compensazione delle emissioni, ora abbiamo anche tante aziende che ci contattato per donazione di terreni o per supportare riforestazioni».

Un impianto di piantumazione con pacciamatura a paglia realizzato dall’associazione Rocciaviva nel materano.

Pensate di estendere il vostro impegno oltre i confini regionali?

«Sì. Siamo attivissimi in Basilicata, ma anche collegati a network internazionali, come Ecosystem Restoration Camps, movimento di mobilità e scambi volontari, e Plant for the planet (P4tP), un’iniziativa che mira a piantare più alberi possibili per contrastare l’impatto dell’anidride carbonica. Dalla collaborazione con queste due associazioni, quest’anno è nato il progetto Magnus Lucus, con l’obiettivo di recuperare gli ecosistemi del Sud Italia, creando una cintura verde che contrasti la desertificazione e mitighi i cambiamenti climatici. Anzi, è stata proprio Daniela Saltarin, vice-presidente, direttrice e responsabile di P4tP per l’Italia, che mi ha candidato per il premio Jean Giono. È stato un onore poter portare la mia esperienza così lontano».

E per il futuro che obiettivi avete?

«Il nostro obiettivo ambizioso è di recuperare e riforestare 50 ettari entro il 2030. Con l’aiuto di Veneto Agricoltura, che ora ci accompagnerà nella scelta di arbusti ed erbe autoctoni per arricchire la biodiversità delle nostre terre. Non dimentichiamo, però, da dove siamo partiti: regalando talee da trapiantare e lanciando semi in ogni luogo, nella speranza che attecchiscano nel suolo buono. Recentemente ho visto che un seme lanciato vicino ad una fontana antica e famosa ha dato vita a un sambuco di quasi due metri. Per me è il simbolo della speranza, della determinazione e della costanza. Ci sta dicendo di non mollare».

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