Daniele Zivelonghi, sindaco di Fumane dal 2019, è stato nominato coordinatore provinciale dell’associazione Avviso Pubblico, che da ormai 25 anni costituisce una rete di enti locali contro le mafie. Con lui abbiamo parlato del suo nuovo ruolo e della presenza mafiosa nella nostra provincia.

Avviso Pubblico è una rete organizzata di amministratori locali che dal 1996 si batte per l’affermazione della legalità, della trasparenza e della giustizia sociale. Principio di fondo è non lasciare da solo di fronte al malaffare chiunque amministri la cosa pubblica, e costruire, giorno dopo giorno, una sempre più solida cultura della legalità.

Sindaco, prima di tutto congratulazioni per l’elezione. Che cosa prevede la sua nuova nomina?

«Grazie mille. I comuni e gli altri enti locali soci di Avviso Pubblico hanno deciso di affidarmi questo ruolo e, malgrado i molti impegni importanti, ho voluto assolutamente accettare e dare il mio contributo a questa importante causa. Si tratta di un ruolo prettamente operativo, il mio compito è far sì che i vari enti locali collaborino per l’attività dell’associazione. Non ho alcun ruolo politico di indirizzo, ma seguo l’orientamento che tutti insieme come associazione ci diamo.»

Il venticinquesimo anniversario di Avviso Pubblico sarà festeggiato il 22 maggio con alcune iniziative online, informazioni sulla pagina Facebook

Cosa significa per un amministratore fare attivamente antimafia a Verona?

«Dal punto di vista della criminalità organizzata nei nostri territori possiamo dire che le apparenze ingannano.

La cittadinanza spesso non ha l’impressione di vivere in un’area in cui le mafie sono presenti eppure, nel corso degli ultimi decenni in Veneto e in particolare a Verona, la mafia si è radicata ben più di quanto si pensi. 

Fare antimafia significa mettere in allerta gli amministratori locali, perché il rischio dell’infiltrazione mafiosa è silenzioso e subdolo e spesso riesce a passare inosservato. Il primo argine è la buona pratica di amministrazione, lavorare bene, e poi è importantissimo fare rete, per far sì che chi fa politica a livello locale non corra mai il rischio di sentirsi solo di fronte all’illegalità. Purtroppo la mafia è una realtà criminale che spesso è molto più forte e strutturata di un singolo sindaco o di un assessore. Fare fronte comune tra gli enti locali è vitale per tenere la legalità in una posizione di forza, mantenendo alto il livello di attenzione.»

Panorama di Fumane, foto Adert, licenza CCBY – SA 4.0

Le inchieste degli ultimi anni dimostrano che la presenza delle mafie, in particolare della ‘Ndrangheta, è ormai stabilmente radicata a Verona. Secondo lei i veronesi ne sono sufficientemente consapevoli?

«Credo che l’infiltrazione mafiosa tenda a rivelarsi a livelli che non sono quelli della vita quotidiana. Il cittadino medio veronese spesso non ha la percezione di una presenza mafiosa, e, in effetti, non la può avere. Non tutti si interessano di grandi cantieri, non tutti hanno a che fare con grandi transazioni finanziarie, pochi fanno parte di certe sfere economiche. Per questo il cittadino normale non ne può essere direttamente consapevole. La mafia, nei nostri territori, agisce e si palesa dove il giro di denaro è molto importante.»

Rispetto ad altri territori in cui la mafia è storicamente più radicata, quali sono i contesti in cui un cittadino veronese potrebbe trovarvisi a contatto? 

«Può accadere quando si ha a che fare con grossi affari, in particolare compravendite di terreni lottizzabili o lottizzati, o comunque si trova a dover gestire un business molto importante. Se non ci sono interessi economici di dimensioni importanti, è molto difficile che un cittadino venga a contatto diretto con la mafia.»

Le attività di sensibilizzazione fatte nelle scuole aiutano a creare una cultura della legalità, ma secondo lei quale parte della popolazione ha più bisogno di sviluppare anticorpi?

«L’attività di sensibilizzazione va fatta a trecentosessanta gradi. In particolare la presenza nelle scuole è importante non solo per ciò che riguarda l’antimafia in quanto tale, ma per costruire una cultura della legalità tout-court.

Significa insegnare al cittadino a non cercare scorciatoie, instillare un senso civico per cui denunciare non significa essere infami, ma essere responsabili di una legalità diffusa.

È la battaglia contro l’omertà. Non ci si può fare gli affari propri se ad essere a rischio è la legalità, che è una condizione fondamentale per il vivere sereno.» 

Qualcuno ha scritto che la mentalità veneta del “testa bassa e lavorare” sia un terreno fertile per l’infiltrazione mafiosa. È d’accordo?

«Sicuramente questo è un aspetto che può costituire un rischio per favorire la penetrazione mafiosa in un territorio. È una mentalità che non presta particolare attenzione all’interesse collettivo della comunità. È un fattore di rischio in più.» 

Quali strumenti ci sono per gli imprenditori che vogliono contribuire a fare terra bruciata intorno alle mafie?

«Lo strumento principe è la segnalazione, ma prima di tutto è importante fare rete e sapere di non essere soli. Purtroppo molto spesso un imprenditore che si accorge di essere su un terreno pericoloso e di dover fare marcia indietro si trova intrappolato tra il nemico e il vuoto della mancanza di supporto. Questo rende il denunciare una scelta difficile, mentre dobbiamo lavorare perché diventi un passo più spontaneo e naturale, sapendo che, voltandosi verso la legalità, l’imprenditore troverà porte spalancate. Chi denuncia non dovrebbe trovarsi a scegliere il male minore, perché dalla parte della legalità non ci dovrebbe essere alcun male.»

Facendo un passo indietro, quali sono i segnali che un imprenditore dovrebbe cogliere per capire di essere di fronte a una presenza mafiosa? 

«Nel concreto ogni situazione ha delle specificità uniche. In generale si dovrebbe fare attenzione quando si è di fronte a una proposta economica al limite della legalità o se ci sono dei riferimenti a scorciatoie o corruzioni. Questi sono senz’altro campanelli d’allarme.»

Federico Cafiero De Raho, attuale procuratore nazionale antimafia. Foto di Filippo Coppoletta

Lei ha parlato di “male minore” tra mafia e Stato. Quanto è importante la percezione da parte dei cittadini di uno Stato amico e di una burocrazia che assista e non ostacoli?

«È senz’altro importantissimo, direi fondamentale, che i cittadini percepiscano lo Stato in questo modo, come un partner anche nei momenti di difficoltà. Questa è la direzione in cui lavoriamo, è il sogno di ogni buon amministratore.

Purtroppo credo che lo Stato debba fare molta strada per farsi percepire amico, ma penso che nelle nuove generazioni di amministratori la tendenza sia sempre più questa.

Anche per questa ragione è importantissimo essere presenti nelle scuole, dove si forma la classe dirigente di domani.»

Una parola chiave della questione è “semplificazione”. Quando si parla di mafie questa può essere un’arma a doppio taglio?

«Il tema della semplificazione della burocrazia è importante per agevolare il cittadino onesto e per dargli un’idea di Stato che lo agevoli e lo assista, per quanto ponga pure il rischio di eliminare anche dei filtri contro la criminalità organizzata. È un equilibrio molto delicato e pericoloso su cui bisogna lavorare attentamente. Io sono convinto che la semplificazione sia importante soprattutto come segnale di fiducia verso i cittadini onesti che, apprezzando la presenza di uno “Stato amico” diventano loro stessi il primo argine contro la mafia, denunciando e opponendosi al malaffare.» 

Lei è sindaco di uno dei comuni della Valpolicella, una zona che fa da tirante per l’economia veronese. Lei ha mai avuto la sensazione di un interesse mafioso nei confronti dell’economia del vino?

«Non direi. Per ciò che ho potuto conoscere, la mafia tende a non investe nella singola cantina o il singolo bar, ma occupa una posizione trasversale rispetto ai settori produttivi, operando su un sistema economico finanziario difficile da identificare. Magari prestando soldi o riciclando a un livello che spesso non è quello immediatamente produttivo.»

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