Svelata la Corsa Rosa. Un altro romanzo popolare che si scrive. Perchè il Giro d’Italia siamo noi, nel racconto di una corsa che tocca le nostre città, i nostri borghi e va per campagne e colline  attraversando laghi, fiumi, monti e mari e vive nei ricordi dei nostri nonni e dei nostri padri. Nessun altro evento sportivo può raccontare un Paese come una corsa tappe in bicicletta che ti passa davanti a casa. Apri le imposte, e sei parte del racconto. Dall’8 al 30 maggio, ventuno tappe,  partenza da Torino e arrivo a Milano, sarà il Giro dei ricordi e degli anniversari, questa edizione numero 104: dai 700 anni dalla morte di Dante, ai 160 dell’unità d’Italia, dai 100 anni di Alfredo Martini, l’Enzo Bearzot del nostro ciclismo, ai 90 della maglia rosa (nel 1931 “la locomotiva” Learco Guerra fu il primo ad indossarla nella sua Mantova). 

Un Giro molto accattivante che offre terreni di caccia un po’ per tutti; due sole cronometro, una all’inizio e l’altra alla fine, otto arrivi in salita, il tappone dolomitico a Cortina, sei tappe per i velocisti. Ce n’è per tutti i gusti, e a parole siamo in quella fase in cui tutti possono dire la loro e accreditarsi per la maglia rosa. Ma siccome nel ciclismo conta più allenare le gambe che la lingua, le parole vanno prese per quello che valgono: poco o nulla. Sarà solo Radio Corsa a dire. 

Il Giro torna a Verona, dopo il suo ultimo atto in Arena due anni fa. Da Ravenna a Verona, lungo il tragitto del Dante Alighieri esule nel settecentesimo anniversario della sua scomparsa. Tappa piatta, sì e no qualche cavalcavia, che si concluderà con una volatona di gruppo in Corso Porta Nuova. I veronesi sperano sia quello il giorno di Elia Viviani, reduce da una stagione più di bassi che di alti, che proprio al Giro conta di ritrovare gamba e smalto per lanciare la sfida olimpica sull’ovale di Tokyo. L’altro campioncino di casa nostra è Davide Formolo, che nella carriera è arrivato al punto di far vedere cosa vuol fare da grande. Lo scorso anno, ci stava riuscendo ma sul più bello la fortuna non lo ha assistito: secondo alle Strade Bianche dietro l’imprendibile Van Aert, vittoria di prestigio in una tappa di montagna al Delfinato; poi la caduta al Tour de France ha compromesso tutto. Il percorso gli offre più di un’ occasione per piazzare la botta buona e lui il colpo in canna ce l’ha nella forza delle gambe e nell’animo di sfrontato attaccante. 

Poca pianura, tanti sali-e-scendi per un corsa nervosa e fumantina come lo sono gli italiani; come sempre, già nella prima settimana, se ancora non sapremo chi vincerà il Giro, sui taccuini segneremo quanto meno i nomi di coloro che non potranno vincerlo. Tante le tappe di montagna; spiccano l’arrivo in vetta allo Zoncolan dal versante, si fa per dire, più commestibile, ma con le ultime rampe a dir poco terribili; c’è poi il tappone dolomitico con arrivo a Cortina dopo essersi sciroppati Fedaia, Pordoi (Cima coppi) e Giau. Occhio all’arrivo a Sega di Ala, in Lessinia appena sotto il Passo delle Fittanze, sui tornanti spaccagambe della  Sdruzzinà, salita durissima, ruvida, morsi di acido lattico che i ciclisti veronesi ben conoscono. Nel 2013 al Giro del Trentino quelle rampe fecero perdere le staffe persino a un baronetto compito come Sir Bradley Wiggins che per la disperazione gettò con rabbia la bici contro un muretto. 

I nomi su cui puntare sono essenzialmente due; il colombiano Egan Bernal della corazzata britannica Ineos Grenadiers, quelli che Luna Rossa ha appena affondato nelle acque del Golfo di Hauraki a Auckland: vincitore del Tour due anni fa, ma giù di corda lo scorso anno, in Italia viene per il riscatto. L’altro è il fiammingo Remco Evenepoel, fermato lo scorso anno da una rovinosa caduta al Lombardia, il predestinato a numero uno del ciclismo che verrà. E poi i vari Landa, Hindley, Kruijswijk, e tanti altri, senza dimenticare il rosso londinese Tao Geoghegan Hart, l’ultima maglia rosa, sempre se verrà a difenderla. Ci sarà invece di sicuro il guascone Peter Sagan, garanzia di spettacolo.

Il Giro sarà anche la corsa degli italiani, ma non ci sorride dal 2016; di Vincenzo Nibali l’ultima vittoria; e se a lui siamo ancorati, significa che di strada il nostro ciclismo non ne ha fatta molta. Al vecchio Squalo non possiamo chiedere ancora la luna, e allora il suo compagno di squadra Giulio Ciccone potrebbe rivelarsi la nostra carta più spendibile, mentre sul friulano Matteo Fabbro qualcosa scommetteremmo per la maglia della meglio gioventù. Filippo Ganna è il nostro TAV, e chissà che dopo quanto ha fatto vedere lo scorso anno (vinse la tappa con arrivo in salita sulla Sila), non possa dire la sua anche per la classifica. Sarà il secondo Giro d’Italia nella pandemia; una corsa che come sempre idealmente unirà per tre settimane un Paese che nell’unità diciamo non affonda storicamente radici proprio profonde. Ora più che mai, ne abbiamo però molto bisogno. Viva il Giro!