Una chiesetta cinquecentesca e un portale di accesso al vecchio parco San Giacomo, dove si trovava l’ex ospedale psichiatrico di fine Ottocento, nel quartiere di Tomba. Due monumenti importanti per l’ospedalità veronese, ma anche testimonianze artistiche dello stato di degrado che di giorno in giorno peggiora e di cui nessuno – o quasi – si prende cura. Sono state numerose le segnalazioni, gli eventi, le mostre, le manifestazioni, le lettere da parte dell’associazione culturale di promozione sociale Ctg Un Volto Nuovo, ma ancora nulla di chiaro si muove.

«Nessuno se ne occupa – lamenta Maurizio Pedrini, vicepresidente del gruppo Ctg Un Volto Nuovo, professore e giornalista. – La chiesetta è in mezzo ad un cantiere e come se non bastasse ora è stata allestita una struttura per il triage Covid.»
Il momento è sicuramente particolare e le attenzioni dell’Azienda ospedaliera universitaria si stanno concentrando sull’emergenza sanitaria, trascurando quel progetto di restauro che era stato pensato anni fa.

Il vice presidente del CTG Un Volto Nuovo, Maurizio Pedrini

«Basterebbe fare qualche intervento di protezione in modo da non perdere questo monumento – continua il vice presidente -. Le finestre sono completamente aperte e il tetto è in condizioni critiche. È un peccato che l’intera zona sia trascurata. Il vecchio parco di San Giacomo accoglie piante maestose e secolari ed era una vera città nella città, che ospitava migliaia di persone, con scuderie e stalle per le molteplici attività agricole svolte dai ricoverati. Oggi il portale di accesso al parco, in totale stato di abbandono, è pericolante.»
Numerosi convegni sono stati fatti con l’Università e l’AOUI. Tutti gli anni si è tenuta la festa “Tutti i colori di Carlo”, Carlo Zinelli, uno dei grandi maestri mondiali dell’Art Brut, tra gli ospiti dell’ospedale psichiatrico attivo fino agli anni Settanta.

L’appello del CTG Un Volto Nuovo


Il Ctg Un Volto Nuovo si batte per evitare il degrado di questa parte storica di quartiere, che in cinquant’anni è stato invaso da nuovi edifici. Il gruppo ha tentato di richiamare l’attenzione dell’Azienda Ospedaliera, della V Circoscrizione, dei consiglieri comunali, assessori e Soprintendenza lanciando un Sos, ma mai un riscontro definitivo. 
«L’indifferenza avvilisce – confida Pedrini. – Il quartiere è composto oggi da nuove presenze che non dimostrano interesse. I nostri alleati dovrebbero essere le scuole, tutte le associazioni e i cittadini. Ognuno può fare qualcosa, anche semplicemente una segnalazione, scrivere una lettera sulla stampa».
Anche con un post su Facebook, il vicepresidente di Un Volto Nuovo esprime sconforto e fa un invito: «Da cittadino di questo quartiere, appassionato di storia, docente e giornalista, che tanti scritti, iniziative e ricerche ha dedicato a questo luogo, chiedo al sindaco, alle istituzioni e alle Fondazioni della mia città di dare un segno di attenzione a questi monumenti, evitando che disinteresse, incuria e ignoranza cancellino per sempre una preziosa pagina del passato.»

Le origini storiche

La chiesa dei santi Giacomo e Lazzaro sorge nel quartiere di Borgo Roma, all’interno dell’attuale Policlinico. L’area apparteneva a San Giacomo alla Tomba, zona di assistenza per gli infermi, fondamentale per la lunga storia delle politiche sanitarie della città. Già nell’VIII secolo sono attestati in questa zona, posta a sud delle mura cittadine, dei punti di cura per i lebbrosi. In seguito nascono molte opere laiche e religiose per il ricovero di pellegrini e malati. Specie nel XIII secolo la ricomparsa della lebbra in Occidente si rende necessaria l’organizzazione di strutture dedicate che nel 1225, per ordine del vescovo Jacopo da Breganze, vengono smantellate per accorpare tutti i lebbrosi un unico complesso, quello appunto dei santi Giacomo e Lazzaro alla Tomba. Cangrande della Scala nel 1327 rinnovò gli Statuti Comunali e garantì una condizione di privilegio per l’ospedale, a patto che accogliesse e trattenesse tutti i lebbrosi e i malati della città e dei sobborghi.

Fu la guerra che poi porto Verona a far parte della Serenissima a causare all’ospedale l’inabilità, ma il Comune, che ne era diventato proprietario, ne curò la ricostruzione. Tra il 1430 e il 1433 si tennero i lavori di ripristino, progettati dall’ingegnere Giovanni Matolino, costruttore della basilica cittadina di Sant’Anastasia, mentre le statue già presenti nel tempio precedente – raffiguranti San Giovanni Battista, San Bartolomeo e Santa Cecilia, attribuite al trecentesco Maestro di Sant’Anastasia – trovano nuova collocazione. Oggi le si può ammirare al museo di Castelvecchio.

Un dettaglio del complesso, che testimonia lo stato di abbandono, ma anche l’interesse da parte di alcuni cittadini per la sua manutenzione

L’ospedale continuò la sua attività di assistenza ai malati, poveri, carcerati, orfani, con l’obbligo di ricovero con reclusione delle persone lebbrose o sospettate di essere portatrici di malattie infettive. Ma con la costruzione di un nuovo ospedale cittadino – nell’area oggi occupata da palazzo Barbieri – e la ricostruzione nel 1545 dell’ospedale di San Giacomo sulla statale per Ostiglia, l’intero complesso perse di importanza, specializzandosi nell’assistenza di malati di scabbia e di rogna.

Il patrimonio fondiario dell’ospedale dei santi Giacomo e Lazzaro aveva nei secoli raggiunto un notevole valore, comprendendo aree di pianura e collinari stimate in 1875 campi, affittati a coloni, patrizi e a cittadini benestanti. Dalla metà del Quattrocento era considerato una potenza egemonica della sanità veronese, ma fu la specializzazione delle varie strutture a decretarne la decadenza. Incise pure il continuo ricorso alle sue casse, per la gestione di alcuni debiti contratti dalla municipalità o per realizzare dei restauri di altri complessi sanitari, a decretarne l’impoverimento. Ridotto a dispensario e centro di prevenzione per le malattie infettive, nel 1797 venne chiuso e gli spazi usati come scuderie per la caserma comunale, a esclusione della chiesa.

Una nuova destinazione

L’ospedale riaprì nel 1879 per accogliere i maniaci e tutti i malati psichiatrici. La Provincia decise di collocare lì la sezione dedicata a manicomio. Il luogo era ideale per realizzare un progetto di recupero dei pazienti attraverso il lavoro in una colonia agricola, appositamente istituita. All’inizio del Novecento la struttura dell’ospedale psichiatrico di San Giacomo assunse forma definitiva sul piano architettonico e strutturale e divenne un centro quasi autonomo, una specie di paese che poteva arrivare anche a 1200 ricoverati, fra i quali i soldati traumatizzati dalla due guerre mondiali.

Nel 1957 iniziò anche l’esperimento dell’atelier di pittura e scultura, favorito dal direttore dell’ospedale psichiatrico Cherubino Trabucchi, nato dall’iniziativa dell’artista Michael Noble, assistito da un giovanissimo Pino Castagna. Un altro giovane emergente coinvolto nel programma riabilitativo fu Vittorino Andreoli, che diede supporto e incoraggiamento anche alla figura di un ospite, quel Carlo Zinelli che qui potè scoprire un linguaggio espressivo, tale da farlo diventare protagonista del fenomeno internazionale dell’Art Brut.

La chiesa dedicata ai santi Giacomo e Lazzaro

La chiesa, consacrata nel 1522, e di cui si vedono oggi i resti, ha una pianta rettangolare ad aula unica, un’abside molto profonda, presbiterio separato da un cancello di legno, volta a botte e quattro cappelle laterali realizzate nei secoli successivi, dedicate alla Madonna con Sebastiano e san Rocco, alle vergini Agata e Agnese e le altre due ai santi Giovanni Battista e Bartolomeo. Nel coro era collocata la pala con la Madonna tra i due santi titolari, che insieme alle statue trecentesche, si trova ora a Castelvecchio. In controfacciata si trovava il gruppo della Crocifissione attribuito al maestro di Sant’Anastasia (oggi in Castelvecchio), rimosso nel 1663 dal priore Camillo Ridolfi perché considerato di «ignorantissimo scultore».

Gruppo scultoreo della Crocifissione di Tomba, attribuito al Maestro di Sant’Anastasia

Si ha notizia di un dipinto di Dioniso Brevio, di Domenico Brusazorzi (la pala della Madonna con il Bambino e san Giovannino, tra i santi Giacomo e Lazzaro fu però destinata all’altare dell’infermeria femminile e non alla chiesa), di ex voto da parte della Compagnia laicale Beata Vergine Sant’Anna, di un restauro nel Seicento del campanile, delle vetrate, dell’oculo e di un’aggiunta di decorazioni in oro. Nel Settecento il vescovo Francesco Barbarigo dotò la chiesa di due confessionali in legno, venne costruita la balaustra, rifatto l’altare delle Vergini, dotato con una pala di Pietro Rotari. Il priore Orti Manara riuscì a far realizzare l’altare maggiore, il tabernacolo, il pavimento e l’intera cappella in pietra, Antonio Cavaggioni dipinse due quadri e una pala d’altare, si acquistarono due dipinti di Francesco Caroto.


Tantissime le opere quindi realizzate per la chiesetta e l’ospedale che ora sono collocate al museo di Castelvecchio e negli uffici amministrativi dell’azienda ospedaliera. Dell’originaria struttura sanitaria, facente capo ai Santi Giacomo e Lazzaro, arrivò ai giorni nostri solo la chiesa di San Giacomo alla Tomba. Prima che sia troppo tardi dovremmo rimettere in salute questi edifici. È inaccettabile che una città ricca di testimonianze storiche e artistiche come Verona non si occupi della conservazione del proprio passato.

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