Pochi giorni fa, il 30 dicembre 2020, l’Istat ha pubblicato i dati di mortalità aggiornati al mese precedente, il 30 novembre 2020. Proviamo ad analizzare i dati ufficiali, unica informazione non contestabile, e a rispondere ad alcune delle principali domande che ci poniamo quotidianamente. Essi prendono in considerazione tutte le morti certificate, prescindendo da una catalogazione delle stesse in base alla causa, pertanto risultano estremamente interessanti per comprendere la situazione al di sopra di ogni contestazione. Unica avvertenza: è necessario valutare il database relativo a novembre non ancora del tutto consolidato e quindi passibile di rettifiche, come da nota dello stesso Istat.

Il Covid-19 è una normale influenza? No, ci sono morti in più per davvero.
In Italia nei primi undici mesi del 2020 ci sono state 77.135 morti in più rispetto alla media dei cinque anni precedenti. Questo dato rappresenta lo 0,1% della popolazione totale italiana, ma in termini di variazione percentuale sulla media degli anni precedenti significa un aumento del 13,13% dell’indice di mortalità.
Ad oggi al Covid-19 sono state assegnate 74.159 morti, numero molto simile a quello che emerge dalla curva di mortalità generale, aspetto questo che fa pensare non ci sia stata affatto una sovrastima dei decessi causa Coronavirus.
Ad un’analisi più approfondita emerge inoltre che l’aumento della mortalità si sia concentrato nei tre mesi di marzo, aprile e novembre con un aumento di mortalità rispetto alla media superiore al 40%. Negli altri mesi l’andamento è stato in linea con gli anni precedenti ad eccezione di settembre e ottobre dove si è assistito ad un progressivo innalzamento della mortalità. Trattasi di una ulteriore conferma di come l’effetto Covid-19 abbia da solo contribuito alla variazione dei decessi.

Ora sono tutte morti per Covid, non si muore più per altre cause.
A leggere i dati Istat, come detto, non si entra nel merito delle cause di decesso. Appare dunque evidente come non sia possibile imputare direttamente le morti alla pandemia. Possono essere anche morti indirette, causa mancanza di posti letto, rinvio di terapie salva vita e quant’altro. Secondo un punto di vista statistico, ma anche di comune approccio al Coronavirus, non è del tutto rilevante comprendere se le morti in più siano causate direttamente o indirettamente dal Coronavirus, quello sarà interesse dei comitati scientifici e medici. Rimane il fatto che la pandemia ha innalzato gli indici di mortalità in Italia e in maniera del tutto rilevante, a meno che non si dia evidenza di altre nuove cause di morte, fin qui non considerate.

Anche prima del Covid-19 morivano persone tutti i giorni.
La considerazione è ovvia, ma la questione è che nelle fasi acute un aumento di mortalità del 40% da un anno all’altro non è accettabile e sostenibile da qualunque società democratica e che si consideri evoluta. Qualcuno ha paragonato gli indici di mortalità del 2020 con quelli del periodo bellico vissuto tra il 1939 e il 1945. Il confronto può sembrare inopportuno, ma non è del tutto irricevibile da un punto di vista statistico. Nel 1944 la mortalità fu di 15,72 persone ogni mille abitanti. Ebbene, a novembre 2020 si è registrata una percentuale di decessi – su base annua – pari a 15,16 ogni 1.000 abitanti, così come a marzo di 17,24 e ad aprile di 14,51 ogni mille abitanti. Valori che sono sostanzialmente paragonabili al contesto bellico vissuto a metà Novecento.
Il ragionamento può anche svilupparsi ulteriormente se consideriamo che l’aumento di mortalità del 13,13% rispetto alla media è stato causato da “solo” tre mesi effettivamente critici (marzo, aprile e novembre) e con il coinvolgimento di solo alcune regioni. Le curve della mortalità lo dimostrano in maniera inequivocabile. Qualora, in termini puramente astratti, dovessimo estendere gli indici di mortalità registrati in una città, ad esempio, come Milano a novembre – che ha registrato valori di gran lunga inferiori a primavera – a tutta Italia e per tutto l’anno, arriveremmo a stimare un numero di morti annui pari a 1.139.000 persone con un tasso di mortalità pari a 18,97 ogni mille abitanti. Il ragionamento è del tutto teorico, ma rappresenta un’ipotesi che ci permette di comprendere quanto una pandemia fuori controllo per un tempo prolungato impatterebbe sulla salute pubblica.

Il Veneto è stato più bravo degli altri.
Può essere, sicuramente lo è stato in termini di predisposizione di posti letto e di contenimento epidemico attraverso i test rapidi. I dati autunnali sulla mortalità, viceversa, evidenziano come il Veneto non sia stato poi così virtuoso nella gestione dell’epidemia. A novembre l’aumento di mortalità su base nazionale è stato del 48,25%, valore inferiore a quanto registrato nelle province di Verona, +64,41%, e Vicenza +54,44%, sebbene superiore alla media veneta del 42,78%. In sostanza un quasi pareggio rispetto agli andamenti nazionali che non può soddisfare appieno, data la riconosciuta qualità della sanità regionale e del suo sistema di tracciamento.
Verona, dal canto suo, sta vivendo una fase estremamente complessa di tensione pandemica. Nel 2020 risulta al 27esimo posto tra le province italiane per aumento di mortalità, +15,15%, ma i dati di dicembre provocheranno un sicuro peggioramento in classifica. Nella città scaligera il Covid-19 ha colpito maggiormente proprio in questa seconda ondata rispetto a primavera dove, nel momento peggiore ad aprile si era registrato un aumento della mortalità rispetto alla media del 52,8%, mentre a marzo si era rimasti abbondantemente sotto il +40%.