Ha dentro di sé tutto il sole della sua Puglia. Classe 1997, Martina Pennacchi studentessa disabile fuorisede di Scienze dell’Educazione presso l’Ateneo Scaligero, racconta della sua “fioritura” veronese all’insegna dell’autodeterminazione.

Sei originaria di San Severo, in Puglia, potresti descrivere – come fosse una cartolina – cosa porti con te del tuo paese?
«Bella domanda e ti ringrazio di avermela posta. Purtroppo a causa dell’inaccessibilità di essa, nonostante io ci sia stata per 19 anni della mia vita, non l’ho potuta mai vivere pienamente. Ero costretta a stare a casa, tranne le uscite sporadiche con gli amici che si armavano di pazienza e problem solving per fare serate e godere della mia compagnia. Gli aspetti positivi che porto con me del mio paese sono: l’amore incondizionato dei miei nonni, i sapori dei cibi della mia infanzia e i pochi luoghi in cui sono riuscita ad accedere grazie alle persone che hanno scelto, nonostante le difficoltà dovute al contesto, di viverli insieme a me.»

La vita di un piccolo centro può essere ardua per chi è in condizione di disabilità a causa delle barriere architettoniche e soprattutto mentali… ne hai fatto esperienza?
«La vita in un piccolo centro è ardua per tutti, in modo particolare per chi vuole essere diverso dalla massa. Io diversa lo sono sia per la mia disabilità, sia per il mio modo di vivere ed intendere la vita. La mia disabilità in quel contesto non è riconosciuta e in più viene considerata un peso. L’autodeterminazione individuale non è per niente incentivata e ti considerano un’aliena se nonostante le tue difficoltà, vuoi provare a crearti la tua autonomia. Il disabile, in quanto tale, deve avere sempre un accompagnatore-trice, non può essere libero di prendere un caffè da solo o fare commissioni. Se lo fai, puoi incorrere in persone che mettono in dubbio la veridicità della tua disabilità dicendo che è tutta una farsa, oppure molto più semplicemente hai talmente tante barriere architettoniche che con tutta la volontà del mondo, non puoi farci nulla. Accetti i tuoi limiti con la consapevolezza che almeno ci hai provato.

Barriere architettoniche a parte, quelle più difficili da abbattere sono le barriere mentali. Ci vorrebbe una bella rivoluzione educativa per far comprendere ai miei conterranei che la disabilità è una condizione estremamente umana, una delle tante peculiarità della persona. Ci rende delle volte diversi davanti agli occhi di chi ha una modello mentale basato su corpi normotipici”. Che poi chi stabilisce quali sono i criteri della “normalità”? Siamo tutti unici ed abbiamo esigenze diverse in base alla nostra persona. A volte oltre ai pregiudizi legati alla mia disabilità, si uniscono quelli del “non essere abbastanza donna” in quanto essendo handicappata come si dice in una piccola realtà, non posso permettermi di essere desiderabile, avere un lavoro ed essere una “buona donna di casa”. Queste tre caratteristiche, si crede nei piccoli contesti non siano conciliabili con la mia natura e non possono coesistere tutte insieme in qualsiasi altra donna: o sei una o sei l’altra.

Poi io che sono disabile cosa posso pretendere? Già esisto e mi fanno sentire un peso per tutta la comunità, perchè faccio sentire la mia voce, perché non sto zitta e non accetto quella pietà e compassione che si riserva ai meno fortunati. La vera empatia sta nell’ accettare l’altro così com’è, facendo di tutto per offrirgli pari opportunità.»

Hai coraggiosamente scelto, nonostante la condizione di apparente svantaggio, di studiare lontano da casa, in un’altra città, dovendoti ricostruire di fatto la tua vita in un posto nuovo.  Raccontaci com’è andata…
«Grazie per l’aggettivo “coraggiosa” ma non penso di essere l’unica di aver fatto una scelta del genere. Anzi, lo spero.  La mia scelta è stata incentivata dal fatto che San Severo mi stava troppo stretta, non permetteva lo sviluppo della mia personalità e della mia autodeterminazione. Andare via non è stato facile, per me che come dicevo prima, non mi era neanche permesso di uscire di casa da sola per fare una passeggiata. È stata dura, molto dura, dovevo in un certo senso farlo. O andavo via o morivo lentamente. Ci ho messo un paio di anni per trovare il mio equilibrio e prendermi tutte le responsabilità che in quanto essere vivente ho, per essere artefice della mia vita e felicità. Curando non solo della mia parte emotiva ma anche il mio fisico e la mia disabilità, che fino ad allora nessuno mi aveva insegnato né a tenerne conto, né tantomeno ad accettarla.»

La “giornata tipo” da studentessa fuori sede e in condizione di disabilità come si svolge?
«Penso che sia identica a qualsiasi altro studente universitario: Seguo le lezioni, studio, mi dedico alla mia fioritura personale, quando riesco mi dedico a qualche hobby e frequento amici. Forse l’unica differenza che può esserci rispetto ad un normodotato e neanche tanto, è la fisioterapia: la costante della mia vita e devo farla più volte a settimana, sempre. Non posso permettermi di saltarla, il mio corpo la reclama e delle volte anche in maniera abbastanza intransigente. Una cosa è certa: Non posso vivere letteralmente senza la mia fisioterapista!»

Cosa credi si possa migliorare per consentire a Verona per una migliore vivibilità ed accoglienza della città?
«A dire la verità a me Verona piace tantissimo e fatico veramente a trovarle dei difetti. Migliorare strade e marciapiedi di alcune zone e rendere più accessibile le sue linee autobus urbani, in modo tale da poter garantire l’autonomia totale per noi persone con disabilità. Sono gli unici due aspetti che mi vengono in mente.»

Martina e sullo sfondo Verona

Secondo te quali sono i “punti forti” di Verona” da valorizzare per rendere la città sempre più attrattiva alle persone con disabilità sia da altre regioni d’Italia, sia all’estero?
«Uno dei punti forti di Verona è proprio quello di prendere in considerazione le esigenze delle persone con disabilità, cercando, come riesce, di soddisfare le esigenze di tutti. Verona è una delle poche città in cui c’è uno studentato accessibile. A Verona, io devo la mia rinascita e la mia presa di consapevolezza, io sono riuscita ad essere indipendente perché c’è un contesto che me lo permette.»

Sei una ragazza intraprendente, indipendente, aperta a nuove sfide ed opportunità. Che cosa significano per te indipendenza e libertà?
«Per me la libertà significa poter essere pienamente sé stessi senza essere giudicati. Ognuno dovrebbe avere delle circostanze bio-psico-sociali che gli permettano in qualche modo di sviluppare le proprie potenzialità. È un concetto abbastanza scontato ma vi garantisco che non lo è. Io sono riuscita a fiorire solo grazie ad un contesto diverso, ai diritti universitari e tutti i piccoli aiuti di persone umane che mi rendono “autonoma” ad esempio buttare la spazzatura, spesa a domicilio … L’autonomia molte volte si basa anche sul saper chiedere aiuto, tutti siamo deficitari in qualcosa, solo collaborando tra di noi possiamo migliorare il mondo e noi stessi.»

Quali sono i tuoi progetti futuri e sogni nel cassetto?
«Il mio progetto futuro principale è quello di continuare ad essere indipendente e tutto questo comporta: Trovare un lavoro, avere la patente e una casa tutta mia. Ce la metterò tutta a realizzare il mio sogno. Delle volte è veramente difficile visto che la società non ti aiuta affatto e tu devi essere pronta a lottare! Contro i pregiudizi e le ingiustizie. Ma se non ci credo io, chi potrà crederci? Abbiate sempre la forza e il coraggio di rendervi felici.»

Di te colpisce l’atteggiamento propositivo e la tenacia. Per chiudere in bellezza cosa consiglieresti – nelle nostre condizioni – non è riuscito a trovare il coraggio di “uscire dal guscio”?
«Consiglierei inizialmente di circondarvi di persone che credono in voi e che non sminuiscano i vostri sogni.  Circondatevi di persone che vi rendono migliori. Non modificate voi stessi per piacere agli altri e siate sempre fedeli ai vostri valori, anche se delle volte questo significa essere soli. Vi auguro di trovare la forza dentro di voi, di amarvi, accettarvi anche se questo vuol dire essere diversi dagli altri. Ed essere etichettati strani”. Siate responsabili della vostra vita, artefici della vostra felicità e non smettete mai di migliorarvi.»