Il Veneto, amministrato dal presidente Luca Zaia, è sempre rimasto in zona gialla. Una bella notizia, si potrebbe pensare. In effetti mentre le altre regioni – da quando il premier Conte ha istituito a fine ottobre questa nuova metodologia per differenziare l’intensità dei provvedimenti applicati per contenere la pandemia nelle diverse regioni d’Italia – passavano da un colore all’altro, dal giallo al rosso attraverso l’arancione e viceversa (in un saliscendi continuo di restrizioni e provvedimenti a seconda della gravità della singola situazione) la nostra regione è sempre rimasta solo gialla. E questo perché da una parte i contagi all’inizio risultavano ancora piuttosto contenuti e perché dall’altra Zaia, unico fra tutti i governatori, nel periodo estivo di non-lockdown era riuscito con grande merito ad aumentare notevolmente negli ospedali il numero dei posti letto a disposizione per le terapie intensive da destinare proprio ai malati di Covid-19. Ci si chiede se sia stato possibile anche aumentare l’organico dei medici e operatori sanitari per i nuovi reparti a fronte anche di un indebolimento di queste categorie duramente colpite dal virus nella seconda ondata. L’aumento dei posti letto, dunque, è stato il passo decisivo, forse fondamentale, per risolvere il problema della “coperta troppo corta”, quello cioè che non permetteva di salvare contemporaneamente economia e vite umane. E infatti il Veneto, grazie a questa soluzione, è rimasto sempre nella zona con meno restrizioni possibili, con sì il coprifuoco alle 22 e la chiusura di bar e ristoranti alle 18, ma pur sempre con la possibilità di poter svolgere, con mascherina e distanziamento sociale, una vita pressoché “normale” nel resto del tempo. 

Il Veneto “giallo”

Peccato, però, che tutto questo abbia portato a un pericoloso paradosso. Rimanendo sempre in zona gialla, probabilmente, la gente (e parliamo in generale, sia chiaro) si è sentita abbastanza sicura e fuori pericolo e ciò ha probabilmente fatto abbassare la guardia a molti. Nonostante gli appelli a mantenere comportamenti di sicurezza (mascherine e distanziamento) del direttore generale dell’Ulss 9 scaligera, Pietro Girardi, che da giorni lamenta una profonda sofferenza in tutti gli ospedali di Verona e provincia, la percezione del pericolo è andata scemando. Tanto che anche ieri, solo per fare un esempio a noi vicino, il centro storico di Verona per tutto il giorno è stato pieno di persone intente a fare il classico shopping natalizio. Le solite vie (Mazzini, Cappello, Corso Portoni Borsari e Corso Sant’Anastasia su tutte) stracolme, code fuori dai negozi per poter entrare, locali di piazza Erbe e dintorni senza un posto a sedere libero e tantissimi avventori in attesa. Una situazione non nuova, già vista nei weekend precedenti. Una situazione che, va assolutamente detto, è anche un’ovvia conseguenza del fatto che con queste limitazioni di orario si tende inevitabilmente a concentrarsi nelle poche ore che si hanno a disposizione per i propri acquisti o per bere un tè tra un negozio e l’altro. Forse, ma non siamo certamente degli esperti, per limitare il contagio avrebbe potuto funzionare un provvedimento esattamente opposto: allargare, cioè, il più possibile gli orari di negozi e ristoranti, cercando una maniera per scaglionare gli accessi alle varie zone del centro. Non certo semplice, sia chiaro, ma visto che comunque anche ieri è stato necessario istituire i sensi unici pedonali, a questo punto qualche cosa in quest’ottica si poteva tentare. 

Questi “pienoni” hanno probabilmente reso meno amaro il Natale di ristoratori e negozianti, che hanno così potuto recuperare almeno in minima parte un po’ del profitto perso nelle settimane e nei mesi scorsi, visto che comunque per giorni e giorni le vie del centro storico sono rimaste completamente deserte, rendendo la situazione in tutto e per tutto simile a quella di un vero e proprio lockdown, con l’aggravante però del mancato arrivo di contributi – in quanto non previsti per la zona gialla – destinati invece ai commercianti delle regioni rosse. Contributi che, quando verranno versati, in qualche caso varranno più del fatturato ottenuto durante questi weekend veneti di grande shopping. Insomma, alla fine la coperta troppo corta ha presentato il conto anche a Venezia, Verona, Vicenza e via dicendo.

I weekend che hanno visto una così alta concentrazione di persone in centro, infatti, hanno favorito il propagarsi del contagio, complicando non poco l’attività di medici e infermieri dei vari ospedali cittadini. Tant’è che, numeri alla mano, oggi il Veneto è la regione con il maggior numero di contagi e di decessi e Verona, purtroppo, è la capofila di tutte le province venete, e tra i primi posti d’Italia. A conferma di ciò c’è anche il fatto che il numero di contagi e decessi in Veneto – oggi – è addirittura triplicato rispetto alla prima ondata di inizio anno, quando il “modello Veneto” aveva fatto scuola e il pieno di ammirazione e articoli di analisi sulla stampa nazionale. All’epoca, va ricordato, c’era il dottor Andrea Crisanti a fianco di Zaia, che nei mesi scorsi però ha preferito non avvalersi più della sua consulenza. C’è anche da aggiungere che, come Zaia sottolinea nella sua conferenza stampa quotidiana, in Veneto vengono conteggiati non solo i tamponi molecolari, come avviene nel resto delle regioni italiane, ma anche i tamponi rapidi. La somma fa crescere enormemente il numero dei test processati giornalmente e di conseguenza il numero dei contagi, ma l’incidenza è comunque nei parametri dettati da Comitato Tecnico Scientifico. Per fare un esempio, i dati di ieri, sabato 12 dicembre, registravano nelle ultime 24 ore 5.098 contagi a fronte di 60.589 tamponi (rapidi e molecolari), con un incidenza di positivi dell’8.41%.

In Veneto, si è finiti così in una sorta di imbuto senza via di uscita, in cui i cittadini (commercianti e non) risultano tutti “cornuti e mazziati”. Moltissime vittime – il dato più duro da digerire – e nessun rimborso. Peggio di così era davvero difficile da immaginare. Tanto che si teme, ora, l’adozione di provvedimenti più restrittivi per i prossimi giorni, quelli appunto delle feste di Natale vere e proprie. E questo mentre le altre regioni, al contrario, dopo settimane di rosso o arancione ora stanno tutte virando – con il conseguente ammorbidimento delle restrizioni – verso l’agognato giallo. Proprio quel giallo che ci ha accompagnato fino ad ora e che si sta rivelando un odioso boomerang.

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