Per molti, questa città, è come una zattera delle meraviglie, fatta di luci fioche, stretti ponti e maschere da fotografare in ogni angolo. Per molti altri è semplicemente il tragitto Ferrovia-San Marco e ritorno, con una veloce capatina a Rialto, per farsi un autoscatto sotto il ponte o, nel peggiore dei casi, per sedersi coi piedi in ammollo, istigando qualche gabbiano, attirato dal mercato del pesce lì vicino.

Per alcuni è una città misteriosa e fuori dal comune, ma destinata a inabissarsi assieme ai suoi vecchietti perennemente arrabbiati e ai suoi numerosi negozi di cianfrusaglie. Per altri ancora, Venezia è decadenza discutibile: l’intonaco scrostato dalle facciate dei palazzi, le alghe cullate dalle increspature dell’acqua, che danzano indisturbate attaccate alla base degli imbarcaderi e l’odore, talvolta pungente, della laguna che sale verso l’isola.

Per me, invece, Venezia è pace e riconciliazione. È casa e via di fuga al tempo stesso. È silenziosa arte, che si insinua violenta nei nostri occhi, non appena varchiamo la sua soglia e che ci attrae inevitabilmente all’interno dei segreti della sua eterna bellezza. La decadenza poetica di alcuni suoi scorci è per i miei occhi fonte imprescindibile di piacere, che narra di un passato ormai lontano e che mi spinge a desiderare di essere, anche io, una minuscola tessera della sua meraviglia.

Questa città d’acqua, descritta da Tiziano Scarpa come un pesce, è per noi mortali di ineluttabile incanto, contro cui non possiamo far altro che arrenderci.

Tutto ciò, però, deve essere conservato e tutelato intelligentemente, al fine di permettere anche alle generazioni future di goderne appieno: ciascuno di noi dovrebbe, almeno una volta nella vita, vivere Venezia non da turista, per poterne assaporare ogni sfumatura e retrogusto. Proprio per questo motivo, dal mio punto di vista, questa città è un bene di tutti gli esseri umani, che, però, non dovrebbe essere mangiato così avidamente e lasciato a morsi, con altrettanta velocità, sul tavolo del banchetto.

Turisti affollano piazza San Marco, foto di
Annachiara Mezzanini

Troppi passi la stanno calpestando e troppa distrazione, unita a un pizzico di menefreghismo, stanno intaccando un patrimonio artistico e culturale irrepetibile.

Venezia è più bella quando è sola, nell’assoluto e quasi surreale silenzio della notte o nei giorni di novembre, quelli più tranquilli, in cui il turismo d’assalto è ormai scemato e in cui passeggiare privi di meta per le calli non è solo un gesto di diletto, ma di bisogno fisico.

Venezia è più bella il giovedì mattina, quando, poco prima che il mondo prenda la sua forma quotidiana, si sveglia leggermente in ritardo, sbuffando tra i campanili delle trecento chiese che custodisce.

Venezia è più bella al tramonto: vissuto anch’esso in solitudine, sul battello che porta al Lido o su una panchina a Sant’Elena, con i passi ritmati delle persone che si allenano come unico sottofondo.

Anche la Biennale, quando c’è, è bella nella calma dei giorni precedenti all’arrivo dell’inverno: bagnata dalla nebbia del tardo pomeriggio e illuminata dai primi lampioni accessi. Il freddo che sale dall’acqua ti intrappola nel tuo cappotto e, così accoccolato, ti fa girovagare intontito lungo i Giardini.

Citando nuovamente Scarpa, a Venezia ti devi perdere. Un po’ perché la meraviglia che ne diviene è tale da mozzarti il fiato, un po’ perché, solo camminando in assenza di scopo e rumore, la città si palesa ai nostri occhi nella sua forma più autentica e originale. Una passeggiata così permetterebbe anche all’animo più arido di ritrovarsi in se stesso e di scoprirsi nuovamente.

Non possiamo e non dobbiamo rimanere indifferenti di fronte alla decadenza nociva, quella fatta di rifiuti, di maleducazione e di interessi di pochi e discapito di molti.

Venezia, il nostro scrigno di arte, storia e cultura, non può essere lasciata andare verso il largo: non possiamo permettere alla grande balena blu, che la sorregge da secoli sul proprio dorso, di allontanarsi da noi, impaurita dalla nostra sconsideratezza e desiderosa di proteggere, almeno lei, la perla di questa città.