Un lago di sangue. Questo ci appare discendendo nella nona bolgia. Una mattanza splatter indicibile. Pura macelleria diabolica.

Chi poria mai pur con parole sciolte

dicer del sangue e de le piaghe a pieno

ch’i’ ora vidi, per narrar più volte?   

Cosa dici in sostanza? Chi potrebbe mai raccontare pienamente in prosa quel sangue e quelle piaghe che io ho visto. E non contento ti lanci in cinque terzine, la bellezza di quindici endecasillabi, dove in una sorta di estenuante panoramica cinematografica restituisci la vastità dell’orrore. Una fantasia degna di Bosch. Quindici versi, novantasette parole, il canto sterminato di corpi squartati.

Perché questo è chiaro: la violenza è sangue!

E tu lo sapevi bene. Forse noi non ci rendiamo conto di cosa potesse essere la vita in un Comune come quello della Firenze del 1300, dove era normale vedere uomini aggrediti per strada, o ammazzati sul momento. E questa violenza non era esercitata da soggetti borderline, o disagiati, ma era agita dagli uomini più autorevoli e potenti. Una violenza impunita.

A questo portano i giochi di potere, le lotte interne e fratricida, gli effetti collaterali e perversi del regno della Lupa. Che sia brama di potere o scontri ideologici o religiosi, poco importa. Alla fine la violenza porta sempre al sangue.

È una febbre superba. Un delirio dell’anima. Come quella che brucia Bonifacio VIII per il quale ciascun suo nimico era cristiano. Bonifacio è il leader di una potenza (spirituale) mondiale. È il presidente bombarolo o fondamentalista di turno.

In un incubo premonitore, Ugolino si vede azzannato assieme ai figli durante una caccia infernale. Ma Ugolino cos’è se non un traditore, un doppiogiochista, il predatore lupesco tutto proiettato nelle imprese mondane, incapace di dire una sola parola per dare conforto ai propri figli, esempio emblematico di un paterno “evaporato”.

E compare la violenza, meno cruenta, ma non per questo meno terribile persino nel pudore di una Pia de’ Tolomei, la quale dice pochissimo del probabile femminicidio del quale fu vittima (e come lei dice pochissimo la pudica Francesca), la violenza diventa la contorsione sintattica di una frase che sembra stravolta, piegata, resa quasi innaturale.

Ricorditi di me, che son la Pia;

Siena mi fé, disfecemi Maremma:

salsi colui che ‘nnanellata pria

disposando m’avea con la sua gemma.

E quello che chiede, come le migliaia di donne, vittime mute e silenti, è quello di essere “ricordata”. Di non finire nell’oblio. Di essere liberata da una preghiera.

Quel delirio è il nostro. Che sia la violenza sfogata da un hater davanti alla tastiera, che sia la violenza di un gruppo di giovani che si accanisce su una persona disabile o su un senza tetto, o che sia la violenza di certi slogan politici pensati ad arte per sciogliere i legami sociali e far inferocire gli uni con gli altri.

Tutto ciò che divide, separa, mette contro, per te è sempre stato un allontanarsi dall’umanità. Un gioco al ribasso. Un rendere gli individui simili a bestie.

E se volessimo scomodare un po’ di numerologia e giocare con le strutture e le architetture del tuo poema, potremmo divertici (o meglio ancora stupirci), vedendo che su 100 canti, il canto centrale della Commedia finisce per essere il canto diciasettesimo del Purgatorio, un canto che fatalmente parla di amore. L’amore al centro del poema. L’amore al centro delle nostre vite. Ma se di questo canto, composto da 139, volessimo cercare il centro, ci accorgeremmo che al verso 69esimo troviamo un:

Beati

pacifici, che son sanz’ira mala!

Beati i pacifici, beati i costruttori di pace, beati coloro che credono nella pace. La pace è la grande parola su cui tu hai costruito il tuo pensiero. Pace politica. Pace sociale. Pace interreligiosa.

“E vo gridando pace” come Verdi, tuo grande ammiratore, fa cantare al suo Simon Boccanegra.

Certo possiamo anche considerare che come esiste un’ira mala possa esistere un’ira bona. Una spinta ad agire. A non restare ignavi, tiepidi, indifferenti alle cose del mondo. Il tuo sentimento di pace non è un sentimento di rinuncia, di contemplazione lontana dal mondo. La pace va conquistata. Guadagnata. Con amore e sapienza. E forse anche con la rabbia. Con il grido.

Bisogna faticare. Dobbiamo sporcarci le mani. Dobbiamo sudarcela questa pace. Non c’è alcun dubbio. Nessun misticismo asettico e smammolato è presente nel tuo pensiero. Persino i Santi si arrabbiano nei cieli, quando non ne possono più di noi. La Commedia è una chiamata all’azione. Questo il messaggio dal regno dei morti: la pace va costruita in vita. La pace è rendere la nostra vita un Paradiso.

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