Don’t cry, baby Donald! E vabbè, è fatto così. Lo si sapeva, direte voi, però… Si chiude in camera come un infante a fare i capricci e, del tutto ignaro del senso del ridicolo nel quale sta sprofondando, affoga il ruolo istituzionale che ricopre, in un bicchier d’acqua tra sguaiate urla di complotto e annunci di fantasmagoriche battaglie legali. C’è pure spazio per il quadretto famigliare: al genero che invano cerca di farlo ragionare e scendere a più miti consigli, mostra picche e, più che cinguettii, su Twitter sputa schiuma di rabbia e veleni. Mai un presidente americano aveva preso a schiaffi in tal modo la democrazia e le istituzioni del suo Paese, da quelle parti qualcosa di sacro: a tempo debito se mai, come ha annunciato, Trump vi farà ricorso la Corte Suprema ne terrà conto. Quei signori hanno la memoria lunga e in quanto a severità non son certo teneri. Donald nel frattempo ostenta tranquillità sul green del campo da golf (suo), ma nella sacca piagnucolano pure le sue mazze. Son brutte giornate, la botta fa male.

Da ventotto anni, Bush padre, un presidente USA non veniva spedito a casa dopo un solo mandato. Allora, era il 1992, Bush concesse immediatamente l’onore della vittoria a Bill Clinton, mettendo davanti a divisioni e rancori il bene della nazione. E per non dire di Al Gore quando la vittoria la riconobbe a Bush, stavolta figlio, nell’intricata vicenda dei riconteggi del voto in Florida, dove il governatore era il fratello del vincitore e, allora sì, qualche suspicione affiorava legittima. Altri tempi e, soprattutto, altro stile. Ora la situazione è a dir poco grottesca: da una parte Trump chiuso e asserragliato nelle mura del suo ego, dall’altra, là fuori, il mondo. Se in ballo non ci fosse il destino della prima democrazia al mondo, ci vedremmo bene il compianto Renzo Palmer a presentare una puntata speciale di Oggi Le Comiche. Se ne farà una benedetta ragione, Trump? Non crediamo. Ma tant’è, si volta pagina. O almeno ci si prova.

L’agenda è bella fitta; il disastro della pandemia in un Paese, che mai così diviso è ora da ricompattare, politiche sociali, trattato di Parigi sul clima, scomunica all’OMS, guerre commerciali con l’Europa, Medioriente, terrorismo islamico, la grana nucleare con l’Iran, le amicizie pericolose in Russia, la tensione con Cina e una politica estera isolazionista, effetto della bolla “America First”, che ha solo prodotto danni. Si vedrà.

Su scala internazionale, con la sconfitta di Trump il populismo sovranista si becca intanto un bel scappellotto. Anche a casa nostra. A nessuno è sfuggito il tifo ultrà che Giorgia Meloni e Matteo Salvini hanno esibito per Trump in questi quattro anni e durante la campagna elettorale americana. Più mimetizzata lei, smaccatamente pacchiano (sai che novità) lui, con quella mascherina dedicata a The Donald che suscita ilarità e ironie sui social. Da anni Salvini si erge a paladino del Made in Italy. “Prima gli Italiani”, recita lo stornello. E qui viene l’inghippo. Anzi, casca il somaro.

Lo sa, Salvini, che Trump nella contesa dei cieli con l’Europa ha applicato dazi del 25% ai prodotti europei, minacciando a più riprese di inasprirli e allungarne l’elenco? Deve essergli sfuggito, che nella blacklist trumpiana sono finite primizie della nostra industria agroalimentare quali formaggi, salumi e liquori, acuendo, in una fase di congiuntura negativa come questa, le difficoltà a fare impresa per centinaia di aziende italiane. L’hanno, non si sa come, per il momento scampata i nostri vini, comparto sul quale la scure si è abbattuta su francesi e spagnoli. Un colpo al cerchio e uno, è proprio il caso di dire, alla botte. Domanda: ma con che faccia Salvini si rivolgerà ora a questa gente? E con che faccia gli chiederà il voto promettendo tutela, dopo essersi apertamente (un eufemismo) schierato dalla parte di chi gli ha dichiarato guerra? In Lega Giancarlo Giorgetti, un saggio, fiuta aria nuova e tende ora la mano a Biden, ma Salvini tace al riparo di uno stridente, chissà se imbarazzato, silenzio. E forse, quando la faccia rischi di perderla nel bronzo, proprio un male non è.