In un Paese distratto da proteste sociali e DPCM a ruota libera, è passata quasi inosservata la nascita del primo debito comunitario europeo.

Nei nostri articoli precedenti, abbiamo spiegato che l’Italia, non avendo risorse naturali, trova i fondi per sostenere la sua enorme e farraginosa spesa sociale, troppo spesso sbagliata nello scopo e negli strumenti, in due modi soltanto: le tasse degli onesti cittadini e il debito. Sul primo punto, si son visti in questi giorni i giornali nazionali gridare allo scandalo, in quanto il sommerso sarebbe stimato per volumi ormai equivalenti a quelli dei redditi regolarmente denunciati. Esiste una seconda Italia che, unendo le forze con la prima, ci farebbe fare un bel salto di qualità; una metà oscura fatta di opportunisti ed egoisti senza scrupoli come di persone strozzate da una mole di adempimenti fiscali che per numero e incidenza non ha eguali in Europa. Commercianti e imprenditori perduti di fronte a un fisco complesso, iniquo e poco trasparente, in cui si è arrivati a dover pagare tasse sui redditi futuri, sperando e pregando che poi ce ne siano.

Quanto al debito pubblico, l’Italia è sul podio europeo da sempre, si può dire che abbia insegnato a tutti come si fa (o, forse, mostrato a tutti come NON fare). Ogni nuova spesa va a debito, ogni imprevisto crea nuovi titoli di stato da piazzare su mercati sempre più preoccupati per il nostro default e quindi a prezzi crescenti. Una pezza a questo problema l’ha messa la Banca Centrale Europea, con i suoi programmi di quantitative easing, una sorta di acquisto massivo di titoli dei paesi fragili, a tassi equi e calmierati. Un’altra mano la darà il Recovery Plan europeo per il sostegno alle economie colpite dalla pandemia, con i suoi tre pilastri fondamentali: i fondi della Banca Europea per gli Investimenti (fondi BEI), il ricorso a condizioni allentate al meccanismo di stabilità (il famigerato MES) e il fondo SURE, parola che in inglese richiama la sicurezza, intesa come di mantenimento del posto di lavoro.

Il SURE è uno strumento temporaneo, attivabile dagli Stati membri fino a tutto il 2022, che mira alla protezione dei posti di lavoro e dei lavoratori stessi. La UE ha stanziato un massimale di 100 miliardi di euro in prestiti a condizioni agevolate ma con vincolo stretto di destinazione per le politiche di mantenimento dell’occupazione, come ad esempio regimi di riduzione dell’orario, lavoro agile e misure analoghe per i lavoratori autonomi. L’Italia, come accennato, lo utilizzerà per coprire in parte la Cassa integrazione per l’emergenza Covid e i bonus per autonomi e professionisti. Lo strumento fa parte del bilancio comunitario, trae forza dal rating AAA sovranazionale e dalle garanzie fornite dagli Stati membri (per un quarto del totale previsto, € 25 mld, di cui € 3 mld da parte dell’Italia). Finora gli Stati membri a richiedere tale strumento sono stati 17, per € 87,9 mld; non stupirà molto apprendere che principali destinatarie sono l’Italia (€ 27,4 mld) e la Spagna (€ 21,3 mld), mentre sono per ora assenti i paesi “ricchi” che già si finanziano con emissioni proprie a tassi ragionevoli, a differenza nostra.

Proprio in questi giorni si sono avute le prime erogazioni, per € 17 mld (di cui 10 solo all’Italia). La UE si è presentata sul mercato dei capitali con due emissioni praticamente perfette: totalmente garantite dal bilancio comunitario (che tecnicamente andrà negoziato nei prossimi mesi ma non stiamo a guardar il capello), in parte garantite dai bilanci dei singoli stati e per di più con il marchio di “social bond”, che in questi tempi sensibili, dà agli investitori la certezza che i fondi avranno un utilizzo equo e solidale. Non poteva andar male ed è andata meglio delle aspettative, con il Commissario alle politiche economiche, Paolo Gentiloni, a definire il successo “molto più di un’operazione di mercato, ma un enorme atto di fiducia nei confronti del Recovery Plan europeo e nel nostro comune futuro economico”.

Per un pur minimo dettaglio, basti dire che sono state proposte due emissioni: un bond da € 10 mld a 10 anni e uno da € 7 mld a 20 anni, entrambi con prezzi di entrata molto bassi. Il mercato ha risposto in modo incredibile, in un’ora da un migliaio di investitori sono arrivate richieste per € 233 mld, permettendo così di aumentare l’importo del bond più lungo (previsto in € 5 mld) e abbassando i prezzi quasi a zero, a tutto vantaggio della UE ma anche degli stati membri beneficiari dei prestiti, su cui le condizioni economiche vengono trasferite direttamente, senza alcun aggravio. La Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, sottolineando questo passo senza precedenti nella storia dell’Unione europea, ha rimarcato come questo coraggio sia richiesto dai tempi straordinari che stiamo tutti vivendo, per aiutare i Paesi più colpiti in tempi rapidi. Sulla scia di questo iniziale successo, sono infatti previste nuove emissioni per coprire almeno le richieste finora arrivate in modo da effettuare le nuove tranche di erogazione quanto prima.

I detrattori di tale strumento, così come di ogni altro che potrebbe in qualche modo limitare l’autonomia dello Stato italiano staranno già bofonchiando che insomma, anche questo è debito, tanto vale continuare con i nostri titoli, liberi da vincoli e indipendenti, tanto ce li compra la BCE e gli interessi pagati tornano pure in parte a casa, come dividendi di Bankitalia. Verissimo, ma bisogna fare i conti con la fine progressiva del QE e pensare che forse uno strumento non esclude l’altro ma possono convivere serenamente a beneficio di una rinascita della nostra economia. Allo stesso modo in cui sarebbe opportuno ragionare in modo razionale e senza preconcetti di partito sull’eventuale ricorso al MES che, nella sua formula riveduta e alleggerita potrebbe costituire un ulteriore aiuto (quanto necessario lo scopriremo sulla nostra pelle) per la programmazione di medio periodo. Sempre che, una volta tanto, ci si sieda intorno a un tavolo e si decida di voler guardarci, nel medio periodo. Sarebbe anche questa una meravigliosa prima volta.