A marzo le canzoni sui balconi, oggi le urla di piazza. Prima e seconda ondata, nel mezzo la spensierata allegria degli spritz alle rotonde sul mare. Sembrano passati secoli, ma non sono che pochi mesi. Il Covid, però è una brutta bestia, per non dire di peggio. Mica se n’era andato lui, nonostante gli annunci profetici dei Zangrilli parlanti (chissà le risate che si è fatto). Era lì ad attendere, buono buono, il momento propizio per coglierci tutti in castagna. Come Annibale a Canne, quando mise la legione romana nella tenaglia. Il virus si allatta dalle nostre emozioni e si riproduce approfittando delle umane debolezze. Abbiamo tutti voglia di tornare a vivere, di riprenderci le nostre vite; la gente è stanca, fa fatica, la mazzata è pesantissima. Dobbiamo però avere la forza di non cadere in facili tentazioni: non è questo tempo di ulteriori divisioni in un mondo che ne ha già sin troppe. Il nemico non è questo o quel governo (le opposizioni più che abbaiare “tutti a casa” non portano sul tavolo uno straccio di proposta credibile), ma il Covid. Se non ce lo mettiamo bene in testa, difficilmente ne verremo fuori.

Più o meno tutti gli Stati delle democrazie occidentali navigano a vista e si stanno muovendo nella stessa direzione, sia pur con sfumature diverse. Domenica Giuseppe Conte ha annunciato la chiusura di bar e ristoranti alle 18; ebbene, un paio di giorni e chiudono anche in Francia e Germania. Errori ne son stati fatti, e vorremmo ben vedere, ma questa pandemia, come abbiamo da queste colonne già più volte sottolineato, sta mettendo a nudo tutti i mali di un sistema socioeconomico ormai asfittico. La corsa all’oro sta finendo, non perché noi non abbiamo più voglia di correre, ma perché è l’oro stesso che si sta per esaurire. 

Il mondo uscito dalla guerra offriva due strade, capitalismo da una parte, socialismo dall’altra. Il liberismo capitalista che abbiamo scelto (e meno male,  visto come son andate le cose oltre cortina) è un modello che ha creato benessere diffuso e opportunità di crescita per decenni. Ci chiediamo, però: da quando non ne crea più? Da quando le economie se le sono inghiottite un boccone alla volta gli alligatori della finanza, forse? Eh già, ora piangono ma è tardi. Il liberismo sfrenato si è mangiato tutto, e per alimentare la sua cupidigia ha tagliato pezzi di stato sociale, vero cardine dell’ordinamento democratico, la più grande conquista del secolo scorso. La globalizzazione ha fatto il resto, col piede sull’acceleratore. Colpevolmente, i governi che si sono succeduti, hanno lasciato fare, un pezzo alla volta, sempre di più, contribuendo in tal modo ad allargare in modo inaccettabile la forbice delle ineguaglianze. Tra tutti, quello attuale, che barcolla e a malapena sta in piedi con le stampelle, è il meno attaccabile sotto questo punto di vista. È stato travolto da un meteorite e si difende come può. Non ci sentiamo di gettargli per questo la croce addosso più del dovuto.

Ma non è questo il punto, la questione è semmai un’altra ed è ben più complessa: è l’archetipo che mostra crepe e non regge. Da tempo il motore batteva in testa ma la macchina, sia pur a singhiozzi e a colpi di pillole ricostituenti, andava avanti. Il Covid ha succhiato l’acqua dal radiatore, e ora quel motore rischia di fondersi. Se la passava però già piuttosto male di suo, usurato per aver fatto tantissima strada su fondi sconnessi e pochi tagliandi sul libretto. Pochi, perchè i tagliandi costano e i quattrini scarseggiano. «Taglio e guadagno, taglio e guadagno», e via andare, finché non scoppi. Le cose vanno più o meno così.

Ci chiediamo ancora: ma siamo ancora convinti che quel sistema sul quale abbiamo prosperato per così lungo tempo, sia ancora il modello giusto? Il virus ci sta mostrando di no. È giunto allora il momento di prendere quei due sistemi rimasti contrapposti per un secolo, trarre il meglio dall’uno e dall’altro per miscelarli in uno nuovo, il liberalsocialismo verde, ovvero libertà d’intraprendere, investire e creare sviluppo entro il perimetro di politiche sociali e ambientali forti, chiare e decise. Strada intrapresa a suo tempo dalle socialdemocrazie del Nord Europa. Ne saremo capaci? Non sappiamo. Ma in un Paese con un’evasione fiscale pari a un Pil (lo stato sociale si paga con le tasse), ci sentiamo di poter dire che la vera sfida che ci attende sia proprio questa.