Il Ministero della Salute aveva emanato a metà agosto le nuove linee guida in merito alla somministrazione della pillola abortiva RU486, dopo aver ricevuto parere favorevole del Consiglio superiore di Sanità e la determina dell’Aifa, che ha rimosso i limiti all’uso del farmaco risalenti al 2009. In pratica, non è più obbligatorio sottoporsi a ricovero fino alla conclusione del percorso assistenziale ed è possibile ricorrere alla RU486 fino alla nona settimana di gravidanza, mentre finora il limite è di 7 settimane più sei giorni. Le disposizioni tengono conto delle raccomandazioni dell’Oms e si rifanno all’esperienza pluriennale di diversi Paesi in cui l’Ivg farmacologica avviene in day hospital e in ambulatorio.

Per capire come stia reagendo la Sanità veneta e veronese, e che conseguenze ci possano essere per le donne che richiedono un’interruzione volontaria di gravidanza, ne abbiamo parlato con la ginecologa Maria Geneth, presidente dell’Aied di Verona, il consultorio familiare privato riconosciuto dalla Regione Veneto, che fa parte di una rete di associazioni presenti in tutta Italia e si occupa di salute della donna, del bambino e della coppia.

Maria Geneth,
presidente di Aied Verona.
Foto di Julia Lindblom

Dottoressa Geneth, le nuove linee guida sull’uso e la somministrazione della pillola abortiva RU486 sono già operative in Veneto, in particolare a Verona?

«Pochi giorni fa ho parlato con una delle colleghe ginecologhe non obiettrici dell’ospedale di Borgo Trento, la quale mi diceva che loro ancora non hanno ottemperato alla nuova normativa, quindi ad oggi all’ospedale di Borgo Trento l’Ivg farmacologica si fa entro la settima settimana. Al contrario, un collega medico ginecologo che lavora a Bologna mi raccontava che in Emilia Romagna le nuove linee guida sono già operative e a pieno regime di applicazione. A Verona si è detto che è necessario un lasso di tempo per organizzarsi diversamente, in seguito a questo ampliamento dei tempi di somministrazione. Io ho parlato finora solo con i colleghi di Borgo Trento. Oltre a quella struttura, in provincia di Verona gli ospedali dove si pratica l’Ivg sono San Bonifacio, Villafranca e Legnago, e di queste strutture ancora non ho notizie. Teniamo conto che a Borgo Trento in particolare, tra il caso drammatico del Citrobacter e le ormai note conseguenze del Covid-19, sono in una situazione più complessa.»

La RU486 è sicura per la salute della paziente?

«In molti paesi europei i tempi più lunghi per praticare l’Ivg farmacologica sono già considerati congrui, e di fatto non abbiamo particolari segnali di un aumento delle complicanze legate all’uso di RU486. Tutte le ricerche ci confermano una minore incidenza di problematiche post assunzione, a parte il sanguinamento che è del tutto normale. D’altra parte, anche l’Ivg chirurgica ha un bassissimo tasso di complicanze. La RU486 le abbassa ulteriormente.»

C’è una tendenza a preferire la procedura farmacologica rispetto a quella chirurgica?

«A volte la scelta ricade sull’Ivg chirurgica perché ogni donna, indipendentemente dalla nazionalità, ha un vissuto diverso. Quando devo fare una certificazione per procedere all’interruzione volontaria, spiego che ci sono le due possibilità, e il fatto che con la farmacologica il processo implichi per alcuni giorni delle perdite di sangue, per qualcuna è un deterrente. Ci sono donne che preferiscono entrare in ospedale, fare anestesia e intervento, e tornare a casa praticamente subito dopo senza strascichi di sorta. Chi non vuole elaborare troppo la sua vicenda abortiva, in genere preferisce l’intervento chirurgico, perché ti consente di entrare in sala operatoria e uscirne poco dopo con una normale mestruazione come unica conseguenza.»

Emergono delle problematiche in Regione legate alla somministrazione di RU486?

«In Veneto, pur essendo una regione storicamente di centro-destra e tradizionalmente cattolica, le cose non vanno male. L’atteggiamento dei colleghi ospedalieri, anche di quelli che la donna incontra in ospedale e non direttamente implicati nell’intervento di Ivg, non mi risulta siano ostili o refrattari. Ma la situazione è molto differenziata da regione a regione. In Lazio, ad esempio, il tasso di obiettori è decisamente più alto di quanto non sia in Veneto e a Verona. Le colleghe romane mi dicono che da loro la situazione è veramente catastrofica, con liste d’attesa infinite che comportano per la donna l’obbligo di spostarsi in altre regioni.

In Veneto, nonostante il tasso di ginecologi obiettori sia alto, come del resto un po’ in tutto il Paese, i servizi in realtà funzionano, i tempi di attesa sono congrui e ragionevoli e mi risulta che, ad oggi, nessuna donna a Verona sia stata obbligata ad andare fuori città per una Ivg.

Può succedere che per questioni legate alla privacy o alla propria notorietà, la donna scelga una clinica privata fuori città per interrompere la gravidanza, ma certamente non per una questione di problematiche sui tempi legate al servizio pubblico.

C’è da dire anche che il numero delle Ivg sta calando molto, e in maniera costante, in questi ultimi anni, quindi per ogni ospedale bastano due o tre ginecologi non obiettori per non creare liste d’attesa particolarmente lunghe. A Borgo Trento, se non sbaglio, sono quattro i ginecologi non obiettori, di conseguenza non vi è alcun problema legato all’efficienza del servizio. C’è però un dato sul quale bisogna lavorare e riguarda le donne straniere, che sebbene siano all’incirca il 9% della popolazione totale in Veneto, costituiscono più del 30% delle interruzioni volontarie di gravidanza

C’è un diverso accesso al servizio se la donna è di origine straniera?

«Per la mia esperienza posso dirle che, ad esempio, le donne provenienti dall’area del Maghreb che si rivolgono a noi per una certificazione per Ivg sono molto rare. Così come tra le donne nigeriane, ad esempio, c’è chi preferisce acquistare la pillola su internet, ricorrendo all’auto-somministrazione. È molto più probabile che da noi arrivino per la certificazione donne di origine balcanica, romene e moldave in primis. Comunque non ci sono differenze abissali nell’uso che fanno del servizio pubblico le donne nate in Italia e quelle straniere. Chiaro che, avendo meno conoscenze e meno contatti, una donna straniera può avere qualche difficoltà in più nel comprendere il percorso da fare, e in qualche caso succede che arrivino in ritardo rispetto ai tempi previsti per una Ivg farmacologica.»

foto di Gustavo Fring/Pexels

Ritiene sia fattibile che, come previsto dalla normativa, una donna possa assumere la RU486 anche in un consultorio?

«In Emilia Romagna questo avviene già, e funziona. Loro hanno anche un tasso di obiezione minore, ma al di là di questo, sono operativi da tempo. Penso che a Verona il carico di lavoro dei consultori pubblici sia già notevole, quindi inserire anche questo tra i servizi già offerti alle pazienti sarebbe complesso. Andrebbe aumentato il personale, perché la cosa in sé al momento non è assolutamente praticabile, per garantire tempi e modi appropriati. Io faccio parte della generazione dei babyboomer che tra non molto andrà in pensione, ai miei tempi non esisteva lo sbarramento per le specializzazioni, mentre oggi c’è. Quindi quando non ci saremo più noi ad operare, ci sarà un reale problema di sostituzione numerica. Anche all’AIED avremmo oggettivo bisogno di più ginecologhe, ma le poche che arrivano alla conclusione degli studi hanno una possibilità di scelta immensa e pressoché illimitata, in primis la possibilità di andare a lavorare in ospedale.»

Cosa pensa del fenomeno dell’obiezione non per motivi religiosi? È vero che sia una scelta che dà maggiori possibilità di carriera?

«Se lavori in un ospedale privato le dinamiche interne sono differenti, ma nel momento in cui sei invece dipendente pubblico di uno Stato che ha una certa legge, dovresti a mio avviso essere pronto a fornire la tua opera affinché la legge sia applicata. È chiaro che viviamo in un paese cattolico, e infatti per far passare la legge 194 c’è stato bisogno di lasciare la possibilità di obiezione. Nella nostra pur piccola realtà cittadina, sia a Borgo Trento che a Villafranca i primari del reparto di ginecologia sono non obiettori, quindi direi che in una realtà con molte ombre dipende ancora molto da regione a regione e da struttura a struttura. In sostanza, le cose potrebbero sempre migliorare, ma a Verona in particolare la situazione è buona, c’è dialogo tra noi privati e i medici ospedalieri, c’è disponibilità nel sostenere le donne nel percorso di Ivg anche in situazioni limite. Non possiamo davvero lamentarci, rispetto ad altre realtà drammatiche nel resto del Paese.»