Partiamo da un assunto: il Giro d’Italia conferma anche quest’anno di essere una delle corse ciclistiche più avvincenti. L’affermazione, sciovinista e non universalmente condivisa, attribuisce in ogni caso i giusti meriti a una competizione sportiva che non delude mai le attese. A renderla meno bella non sono bastate nemmeno una pandemia, il conseguente spostamento in autunno e un elenco di partecipanti non proprio eccezionale.
Basti pensare che solo dopo una settimana di corsa, senza nemmeno aver disputato una tappa alpina, si è già assistito a tutto ciò che un grande Giro può riservare allo spettatore. Molto merito va all’organizzazione, capace di ridisegnare il percorso tra le strade del Sud che, come successo in edizioni passate, hanno riservato colpi di scena e sorprese a non finire.


La prima citazione la merita la cronometro inaugurale, annoverabile tra le prove contro il tempo più veloci di sempre, che ha visto il dominio incontrastato di Filippo Ganna, protagonista tra le strade di Palermo e Monreale di una prova magistrale. Un italiano così forte a cronometro non lo si ricordava dai tempi di Francesco Moser e ora c’è già chi paragona il neocampione mondiale della specialità allo svizzero Fabian Cancellara. Magari! Intanto, però, per il bravo corridore sono arrivate anche altre soddisfazioni con due giorni in maglia rosa e una fuga vincente portata a termine tra le nebbie del valico di Montescuro. Nella sfida contro il tempo, tra gli uomini di classifica maluccio lo “squalo” Nibali, male Fulgsang, bene Yates e Thomas e benissimo il giovane lusitano Joao Almeida, bravo a conquistare la sua prima maglia rosa di carriera nelle successive tappe e ad averla addosso ancor oggi.
Tra gli highlights della prima settimana, trova spazio anche la tappa da Matera a Brindisi, corsa a più di 51 km/h di media (altro record assoluto per una tappa in linea ndr) che ha certificato il dominio di Arnaud Demare nelle volate – già tre vittorie per lui – e confermato che il veronese Elia Viviani sembra proprio avviato sul viale del tramonto.


Veniamo, però, alle tappe successive che hanno definito l’attuale classifica. Dopo le prime scaramucce, andate già in scena nella seconda tappa di Agrigento, con la bella vittorita di Diego Ulissi, abile a primeggiare in un arrivo adatto alle sue caratteristiche di finisseur, il finimondo è successo in occasione della terza tappa, dove una borraccia vagante ha mandato a terra il favorito Geraint Thomas, costringendolo al ritiro per frattura del bacino, con conseguente danno per il team Ineos, come già successo al recente Tour con Bernal. Sulle rampe verso l’arrivo, tra campi di lava e panorami mozzafiato, ha invece virtualmente abdicato Simon Yates, secondo favorito della vigilia. Che sia stato il Covid, a cui è successivamente risultato positivo con conseguente esclusione dalla corsa, o una banale giornataccia non è dato a sapersi. Alla fine della terza tappa il ranking dei favoriti è stato dunque riscritto: Vincenzo Nibali possibile padrone della corsa rosa per esperienza e condizione in crescita, Kruijswijck, mai appariscente ma presente e regolare, Pozzovivo, finalmente rinato e brillante, Kelderman, il classico underdog che passo dopo passo acquisisce la giusta credibilità, Almeyda il nome nuovo come Pogacar lo è stato per il Tour e, infine, Fuglsang, unico superstite di classifica di un’Astana che ha già subito diversi abbandoni. Dopo pochi giorni di gara, il Giro d’Italia sembra dunque partito già da un mese, tanti sono stati gli accadimenti registrati lungo le strade di Sicilia. Tuttavia, non si intravede ancora una squadra in grado di controllare la corsa con una certa continuità. Nemmeno la Trek-Segafredo di Nibali, sebbene il siciliano la utilizzi per mandare continue stilettate agli avversari, e la Ineos, oramai orfana del suo leader e costretta a puntare solo a centrare qualche fuga, sembrano in grado di farla da padrona. Ciò che ne deriva, a beneficio della corsa e degli spettatori, è la sensazione che in ogni momento possa accadere tutto e il suo contrario.

L’arrivo di una tappa nell’edizione dello scorso anno


La prima settimana di corsa è, quindi, andata in archivio nel miglior modo possibile. I diversi spunti tecnici e tattici emersi hanno avuto ottima compagnia nelle impagabili cartoline proposte dalle dirette televisive, con scorci e panorami a tinte autunnali che hanno fatto compagnia a corridori e tifosi, che ne hanno apprezzato un indiscutibile fascino, difficilmente accostabile nell’immaginario collettivo a nessun altro grande Giro a tappe.
Resta da rivedere, invece, la gestione delle borracce da parte degli atleti in corsa. Appare assurdo che ancora oggi si debba assistere a un diffuso disordine nel liberarsi dei vuoti. Alcune raggiungono gli spettatori e da essi vengono raccolte, alcune rimangono a bordo strada, ma è evidente che, al passaggio del gruppo, qualcuna rimbalzi sul ciglio della strada e ritorni tra le ruote dei ciclisti. Possibile che i dirigenti e gli organizzatori non riescano ad arginare il problema? Possibile che ogni volta che il gruppo si appresta a disputare una volata, si debbano vedere decine di borracce che volano? Ma è proprio quello il peso che può far perdere una gara? Tutte domande per le quali la risposta appare forse più scontata di quanto invece non sia, se il problema non è stato ancora risolto, nonostante i regolamenti parlino chiaro. In ogni caso il Giro d’Italia prosegue, pur nelle incertezze legate alla pandemia, davanti a una serie di tappe che potrebbero subire ingenti modifiche al loro percorso a causa di previsioni di meteo avverse con probabilità di neve, almeno ad alta quota. Il borsino aggiornato dei favoriti, dopo un terzo di gara, è ora il seguente: Nibali 30% possibilità di successo finale, Kelderman 25%, Almeyda 20%, Kruijswijck 10%, Fuglsang 10%, altri 5%.