Flagellato da una misteriosa malattia e penalizzato dal maltempo, il kiwi lancia un S.O.S.: la “moria” di cui è vittima sta assumendo una dimensione nazionale e la riduzione della produttività degli impianti sta preoccupando tutti gli operatori della filiera. La piaga che lo sta decimando attacca le radici della pianta, causando un progressivo e veloce deperimento dei frutteti, seguito da un totale collasso fino al loro disseccamento finale. Si stima che la malattia abbia colpito dalla sua comparsa nel Veronese nel 2012, più del 60% dell’intera superficie dedicata inizialmente, ovvero 1.800 ettari. Una fisiopatia di cui non si conosce l’origine, ma il cui problema principale sembra sia legato all’acqua in eccesso nei terreni causata dalle piogge o somministrata con metodi di irrigazione non adeguati (sommersione) e con volumi non corretti.

Colpa del cambiamento climatico? Andrea Foroni, presidente dei frutticoltori di Confagricoltura Veneto e coltivatore di kiwi a Villafranca afferma: «Purtroppo con questo caldo anche nel Veronese stanno crollando tante piante. Sono cariche di kiwi, ma soffrono perché, non avendo più l’apparato radicale, non assorbono più acqua e quindi muoiono. Anni fa c’era una distesa di impianti di kiwi, da Villafranca a Valeggio e Mozzecane. Tutti scomparsi, a causa di questa malattia di cui non si è compresa ancora la causa, nonostante tutte le sperimentazioni messe in campo anche in Veneto. Agrea, centro studi di Verona, aveva avviato un frutteto sperimentale che aveva mostrato margini di miglioramento con una corretta gestione dell’acqua e una significativa baulatura (sistemazione del suolo) del terreno d’impianto, oltre a un buon uso del compost (sostanza organica). Ma dopo quattro anni anche quei frutteti sono morti».

Segnali incoraggianti arrivano da un portainnesto (che comprende le radici e la parte inferiore del tronco) di origine neozelandese, il Sav1, che dotato di particolari caratteristiche di tolleranza all’eccesso di irrigazione, in combinazione a corrette pratiche agronomiche, potrebbe salvare le piante di kiwi. «Ora riponiamo le nostre speranze nella soluzione messa a punto dal vivaista veronese Massimo Ceradini sui nuovi portainnesto presentati a settembre all’Agri Kiwi Expo di Latina, dove sul fenomeno si sono confrontati i massimi esperti e studiosi nazionali. L’ultima ancora di salvezza, dato che nessuna pratica agronomica finora sperimentata negli ultimi anni ha funzionato» conclude Foroni.

Gli interventi che avevano come obiettivo il miglioramento della struttura del suolo con il ripristino delle sostanza organiche, una gestione attenta dell’irrigazione con la creazione di trincee drenanti e la decompattazione del suolo sono stati a oggi poco efficaci.

Un danno enorme per la provincia veronese, che sui kiwi aveva investito massicciamente tanto da concentrare circa l’80% della produzione regionale. Purtroppo nel 2019 si è registrata un’ulteriore diminuzione della superficie totale coltivata ad actinidia, scesa a 2.450 ettari. E i frutteti espiantati vengono compensati solo in piccola parte dall’entrata in produzione dei nuovi impianti, messi a dimora negli anni precedenti.

L’actinidia è una pianta da frutto che in natura è piuttosto resistente alle malattie e alle infestazioni da parassiti. Se impiantata e concimata in maniera corretta, infatti, la pianta da kiwi cresce in maniera molto robusta. Originario della Cina, ma selezionato in Nuova Zelanda, il kiwi (il cui nome fu ispirato dal Kiwi, uccello simbolo dello stato dell’Oceania) si diffuse negli anni Trenta in Europa e negli anni Settanta anche in Italia, che è il secondo produttore a livello mondiale con con 25.875 ettari di superficie coltivati e 523,595 tonnellate all’anno. Tra i frutti più nutrienti e a ridotto apporto calorico (circa 79 kcal per 100 grammi di prodotto), il kiwi è una ricca fonte di minerali, fibre, antiossidanti, e vitamine (C, A ed E): la varietà gialla, contiene oltre 161 mg di vitamina C (circa tre volte in più dell’arancia a parità di peso), mentre la varietà verde (Hayward) oltre a questa vitamina contiene fibre, sali minerali e antiossidanti.

In Veneto nel 2019 il raccolto è stato di circa 37.100 tonnellate (-35,3% rispetto all’annata precedente) e su livelli produttivi ampiamente inferiori rispetto agli standard medi della coltura. Fino a pochi anni fa nella zona di Cittadella, in provincia di Padova, vi erano oltre 100 ettari di kiwi, una coltura molto redditizia in cui le aziende credevano e investivano. Ora ne sono rimasti meno della metà per colpa della “moria dei kiwi”. A Fontaniva (PD) due aziende agricole hanno espiantato tutto, decidendo di cambiare coltura, dopo anni di perdite di kiwi e di redditività. «Cittadella è stata tra le prime in Italia a credere nella coltura, che era stata avviata negli anni Ottanta da Fabio testi nel Veronese – sottolinea Matthias Paolo Peraro, referente di Confagricoltura per l’Alto Padovano –. L’Italia era prima al mondo e il Veneto era secondo a livello nazionale per produzione. Invece otto anni fa è comparsa questa malattia che ha fatto fuori più della metà dei frutteti. Sono stati fatti studi e sperimentazioni, ma senza risultati. La verità è che i kiwi non hanno mai avuto l’attenzione che hanno altre piante nella selezione, basti pensare alle viti. Il kiwi è ancora propagato per talea e, di conseguenza, anche le piante giovani tendono ad ammalarsi e morire, perché sono figlie delle vecchie. Bisognerebbe invece trovare piante resistenti e innestarle. Ma servirebbero più ricerca e investimenti, che nessuno ha mai pensato di fare.»

Per affrontare e cercare di risolvere il problema una volta per tutte Confagricoltura Padova organizzerà a novembre a Cittadella, un convegno che coinvolgerà l’Università di Padova, la cooperativa Apofruit ed esperti in difesa fitopatologica di Verona: «Noi non vogliamo perdere questo settore, perché siamo stati gli unici nel Padovano a tenere duro in questi anni e ci crediamo ancora – spiega Peraro . Nell’Alto Padovano abbiamo un terreno ottimale, ricco d’acqua e sassoso, che evita i ristagni tanto dannosi per i kiwi. Inoltre si tratta di una coltura che è stata a lungo redditizia, se pensiamo che produceva 250 quintali a ettaro, mentre oggi fatichiamo a farne 100 a causa della moria. Infine, si tratta di un settore che ha pochi antagonisti a livello mondiale. Il nostro kiwi viene raccolto in autunno, ma poi è conservato in frigo fino a febbraio-marzo, quando non c’è più prodotto estero, a partire da quello cileno e argentino. Perciò i prezzi sono sempre stati soddisfacenti. Aggiungo che nella zona di Cittadella abbiamo tanti giovani che ci credono ancora e stanno investendo. Ma i costi dell’impianto sono alti: 45.000-48.000 euro a ettaro, senza contare le 600-800 ore di manodopera necessarie per il raccolto. Perciò chiediamo sostegno per un settore che può dare ancora lavoro, redditività e un futuro alle nostre aziende».

Virosi, batteriosi, malattie fungine, fisiopatie come la “moria” sono fenomeni che colpiscono molti tipi di piante coltivate oltre al kiwi, come la vite, l’olivo, il castagno, il pesco, il melo, il limone e altri ancora. A questo si aggiunge l’invasione di insetti e organismi alieni che giungono nelle campagne italiane soprattutto con le piante ed i semi dall’estero causando significativi effetti ambientali, paesaggistici ed economici. Il quadro è peggiorato dall’accumulo di concimi chimici nel terreno e dalle alterazioni climatiche che possono indurre variazioni nelle produzioni agricole a causa di effetti diretti sulla fisiologia e sulla morfologia delle colture e di effetti indiretti sul ciclo degli elementi nutritivi e sulla comparsa di patogeni e insetti dannosi. Uno scenario in cui gli agricoltori non possono essere lasciati soli.