La seconda settimana del Tour de France si è conclusa con il botto. Sulle rampe del Grand Colombier è andata in scena la prima grande selezione tra gli aspiranti al podio del Tour de France. A uscire dalla classifica sono stati due nomi su tutti: Nairo Quintana e il campione in carica Egan Bernal, entrambi staccatisi già nel percorrere le prime rampe dell’ultima asperità di giornata. Addio sogni di gloria per loro, rimbalzati a circa sette minuti, e chiamati ora a rimanere in gruppo per onor di firma e sponsor.


Chiariamo subito che la tappa con l’arrivo in salita del Grand Colombier, non è stata una battaglia epica e nemmeno sarà una tappa da consegnare agli annali della corsa transalpina, se non appunto per la cotta di Bernal. Spettacolo poco, soprattutto se ci si attendeva un corpo a corpo tra gli uomini più in forma. Era impossibile per chiunque uscire dalla scia del treno Jumbo-Visma, la squadra del leader Primoz Roglic, che ha saputo arrivare con sei suoi elementi fin quasi in vista dell’arrivo, spianando la salita come fosse un qualunque traguardo di pianura. Sembrava quasi di assistere ad una delle innumerevoli prestazioni del team Sky negli anni d’oro di Wiggins e Froome, invece, giorno dopo giorno, stiamo scoprendo che la squadra olandese ne è imitazione anche migliore, capace di curare ogni minimo dettaglio. Ne è esempio proprio la straziante ascesa di Bernal, sempre più simile nelle espressioni al nostro Fabio Aru, aggrappato al mozzo del suo fedele compagno. Soli? nemmeno per sogno: alla loro ruota, come l’avvoltoio che attende il momento giusto per assalire la preda, Wout Van Aert, uno dei migliori gregari di Roglic, già vincitore di due tappe al tour, una Strade Bianche e soprattutto una Sanremo. Un’azione di marcamento a uomo anche dietro al gruppo a sei minuti. Perfidia e genialità, ma soprattutto questione di differenza tra chi ha gambe, e lucidità, e chi no. Che bellezza il ciclismo!

Il ciclista sloveno Primoz Roglic

Ovvio che in questo contesto di corsa in cui la Jumbo-Visma sta dimostrando un predominio indiscusso, sia difficile per qualsiasi altro corridore portare attacchi al leader Roglic, che di sicuro dal canto suo, quale specialista delle corse contro il tempo, ha in mente anche la cronometro della penultima tappa, come occasione utile a rafforzare la sua leadership. Può fare, e ha fatto, il ragioniere, anche in considerazione che nemmeno lui conosce fino in fondo la reale capacità di tenere durante tutto l’arco delle tre settimane di corsa. Tutto scritto, quindi? Affatto. Nonostante una condizione ottimale e, come detto, la squadra migliore, Roglic è ancora molto vicino in classifica ai suoi principali avversari. È rimasto coperto il più possibile, ha gestito con saggezza ogni situazione, stando lontano da rischi inutili – molto frequenti lungo le strade del Tour -, ma forse avrebbe potuto e dovuto sfruttare meglio questo stato di grazia. Se è indubbio che gli avversari stanno cedendo uno dopo l’altro, messi al gancio dalle frenate dei suoi più fidati colleghi, è altrettanto vero che Tadej Pogacar, secondo in classifica, sta correndo senza il minimo timore reverenziale e ogni giorno di più mostra di saper sfruttare le occasioni in modo ottimale. Non si trascuri che, senza il ventaglio della prima settimana, Pogacar sarebbe primo in classifica. Vista l’inconsistenza della sua squadra, priva dei ritirati Aru e Formolo, non è poi così male che la responsabilità di tenere la corsa controllata sia andata ad altri. Lo stesso finale di tappa del Grand Colombier è prova delle volontà battagliere di Pogacar, capace di rintuzzare lo scatto finale di Roglic e di aggiudicarsi tappa e abbuoni. Sarà dunque la terza settimana a dire se la poco sbarazzina condotta di corsa di Roglic pagherà dividendi o se, viceversa, avrebbe dovuto osare sfruttando meglio lo stato di grazia suo e della squadra. Di solito al Tour de France siamo abituati a dare ragione a chi, in luogo dello spettacolo, bada al sodo, ma molti segnali fanno pensare che lo scontro fratricida tra sloveni possa riservare esiti inattesi.

È, in ogni caso, l’anno della Slovenia. Si va ad ondate, con gli inglesi prima, poi i sudamericani. Degli italiani, orfani di Nibali, unico atleta competitivo nelle corse di tre settimane, non v’è più traccia. Bravo Simone Consonni a piazzarsi terzo nell’arrivo a Lione, bravo il sempre generoso Matteo Trentin, ancora in lizza come outsider per la maglia verde, ma poco altro.
Proprio la classifica della maglia verde, storico terreno di conquista di Peter Sagan, rimane una delle competizioni a latere della maglia gialla che più sta animando la corsa francese. Il velocista Sam Bennet sembra intenzionato a interrompere il dominio di Sagan e al momento è in testa grazie ad una vittoria di tappa e a una ricerca ossessiva di primeggiare nei traguardi volanti. I due atleti se le stanno dando di santa ragione con la Bora Hansgrohe, squadra dello slovacco, sempre molto impegnata nel proporre imboscate e variazioni tattiche anche alle tappe apparentemente meno adatte per permettere un recupero del proprio atleta.
Tra i migliori gesti atletici della settimana, menzione per Dani Martinez sul Puy Mary, partito con ambizioni di classifica non confermate dalla strada, ma capace di primeggiare dopo un duello senza esclusione di colpi con gli atleti della Bora Kamna e Schachmann – quest’ultimo investito poche settimane fa durante il Giro di Lombardia -. Risultato che conferma che anche il ciclismo informatizzato e delle radioline non diventerà mai una scienza esatta, e che a volte può vincere il solo contro due della stessa squadra.

Infine, in attesa della terza settimana di corsa, si può tracciare un primo insoddisfacente bilancio sulla sicurezza degli atleti. Troppe le cadute, troppi gli infortuni anche gravi a esse conseguenti. Romaine Bardet nemmeno questa volta è riuscito ad arrivare a Parigi senza cadute, ma questa volta ha rischiato davvero grosso terminando la tappa dopo aver subito una commozione cerebrale. Bauke Mollema si è ritirato per fratture multiple e Sergio Higuita pure, per citare solo alcuni dei protagonisti che negli ultimi giorni hanno abbandonato il Tour. Come sempre succede, si guardano con ansia gli atleti percorrere strettoie e stradine, evitando all’ultimo spartitraffico ostacoli di ogni genere, si osservano gli stessi rialzarsi dopo una caduta a 70 km/h, apprezzandone l’orgoglio e il coraggio, ma poi alla fine cambia poco o nulla. A primeggiare è lo spettacolo, da ricercarsi in percorsi sempre più esigenti e vari per compensare al controllo esasperato della corsa, così come gli interessi di bandiera che vedono le ammiraglie fermarsi a soccorrere il proprio atleta e non l’avversario. Se ne discute molto e il tema è complesso, dato che solleva questioni di responsabilità e salute, non certo facili da analizzare senza pregiudizi. La sensazione, però, è che il mondo professionistico sia sempre più esasperato e che questo, nonostante qualche indubbio accorgimento in tema di sicurezza, comporti comportamenti al limite, tanto più esasperati tanto più è alta la posta in palio. E ormai sempre più spesso il ciclista più forte è anche quello più capace di gestire gli imprevisti, più capace a stare in piedi o semplicemente più fortunato.

Foto: zimbio.com