Nella notte tra il 27 e il 28 luglio a Khums, a est di Tripoli, la cosiddetta guardia costiera libica ha ucciso tre migranti sudanesi e ne ha feriti altri quattro durante le operazioni di sbarco di migranti che erano stati intercettati in mare e riportati a terra. Lo ha riferito l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) in un comunicato, citando la testimonianza del suo personale che era presente sul posto e secondo il quale “le autorità locali hanno iniziato a sparare nel momento in cui alcuni migranti, scesi da poco a terra, hanno cercato di darsi alla fuga”. I quattro migranti feriti sono stati portati in ospedali della zona, mentre la maggior parte dei sopravvissuti allo sbarco è stata trasferita nei centri di detenzione libici dove notoriamente vengono consumate su uomini, donne e bambini violenze inenarrabili, abusi di ogni tipo, stupri, torture.

NIma Elbagir

È un inferno in terra la Libia, e nessuno in Europa e nel mondo può fingere di non sapere come l’incidente di Khums non sia che la punta di un iceberg fatto di gravi e sistematiche violazioni dei più elementari diritti umani. Nel 2017 infatti la giornalista della CNN Nima Elbagir invia alla sua redazione un video girato qualche giorno prima nella periferia di Tripoli, in cui si vedono una dozzina di migranti mentre vengono venduti come schiavi per 400 dollari ciascuno: l’inchiesta fa il giro del mondo, scatenando un’ondata trasversale di polemiche e indignazione.

La compravendita di esseri umani in Libia era nota da tempo, ma le immagini esplicite e sconvolgenti inducono il segretario generale dell’ONU António Guterres a definirsi “inorridito” dalle scene mostrate e a dichiarare che i responsabili potrebbero essere accusati di “crimini contro l’umanità”. Il 14 novembre di quell’anno l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Zeid Raad al Hussein definisce “disumana” la collaborazione tra Unione europea e guardia costiera libica. «Non possiamo rimanere in silenzio di fronte a questa schiavitù, agli stupri, alle violenze sessuali e agli omicidi nel nome della gestione della crisi migratoria.» Nel frattempo, il presidente dell’Unione africana, Alpha Condé, chiedeva l’apertura di un’inchiesta, il Burkina Faso e il Mali richiamavano i loro ambasciatori a Tripoli, il Niger chiedeva l’intervento della Corte penale internazionale e il Ruanda si offriva di accogliere 30mila migranti che si trovavano in Libia.

L’inchiesta della CNN è importante per comprendere la malafede del governo italiano nel momento in cui, proprio nel 2017, l’allora Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e l’ex primo ministro del governo di unità nazionale di Tripoli Fayez al Serraj firmano un controverso memorandum d’intesa (il Mou) per il “contrasto all’immigrazione illegale”. L’accordo estendeva di fatto la validità del primo trattato di amicizia tra Italia e Libia sottoscritto nel 2008 dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni con il governo di Mu’ammar Gheddafi, che prevedeva che l’Italia versasse alla Libia cinque miliardi di dollari in aiuti in cambio del pattugliamento costante del tratto di costa libico per impedire ai migranti di partire. E nonostante l’accordo venga duramente criticato fin da subito dalle organizzazioni per i diritti umani, l’Italia decide di rinnovarlo prima nel 2012 e poi di nuovo nel 2017. È a quel punto che il nuovo premier libico Al Sarraj, eletto nel 2015, presenterà al nostro governo la sua personale lista della spesa: dieci navi per la ricerca e il soccorso dei migranti, dieci motovedette, quattro elicotteri, 24 gommoni, dieci ambulanze, trenta jeep, quindici automobili, trenta telefoni satellitari, mute da sub, binocoli diurni e notturni, bombole per l’ossigeno. Totale dell’operazione: 800 milioni di euro. E il 16 luglio scorso la Camera ha approvato un provvedimento di rifinanziamento delle missioni all’estero con 401 sì, 23 no dei deputati di Leu e di alcuni dissidenti del PD e un’astensione, rafforzando ancora una volta la presenza militare in zone strategiche per il controllo migratorio, in primis la Libia e il SahelPer la Libia lo stanziamento previsto è di oltre 58 milioni di euro, di cui 10 andranno proprio alla missione bilaterale di assistenza alla guardia costiera (3 milioni in più rispetto all’anno scorso), per giungere così ad un totale di 22 milioni di euro dalla firma del Memorandum del 2017. “L’obiettivo è fronteggiare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e della tratta di esseri umani tramite l’addestramento dei militari libici”, si legge nel testo del provvedimento che motiva il finanziamento. L’Italia, dunque, persevera diabolicamente nell’affidare la gestione della più grave crisi migratoria nella storia dell’umanità ad un paese che non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951 e a cui demanda di fatto il lavoro sporco, ovvero i respingimenti illegali dei migranti. Ma i rapporti con la Libia pongono il nostro Paese di fronte ad un’enorme questione etica e morale, che il governo italiano non può non affrontare: «Le sofferenze patite dai migranti in Libia sono intollerabili», ha affermato Federico Soda, capo missione in Libia per l’Oim. «L’utilizzo di una violenza eccessiva ha causato ancora una volta delle morti senza senso, in un contesto caratterizzato da una mancanza di iniziative pratiche volte a cambiare un sistema che spesso non è in grado di assicurare alcun tipo di protezione.»

E se la sistematica e feroce violazione dei diritti umani rappresenta il punto più critico nei rapporti tra Roma e Tripoli, tuttavia non è l’unico. Paolo Pezzati, responsabile dello studio sui fondi italiani in Libia per Oxfam Italia, solleva infatti un’altra questione rilevante: la mancanza di trasparenza sulla destinazione di questi fondi. «Non si capisce come siano stati realmente spesi i fondi in Libia e quale sia stato l’impatto effettivo sui diritti umani, infatti gli atti della rendicontazione sono secretati al momento.» Per Pezzati il parlamento stesso dovrebbe pretendere che sia almeno chiarito questo punto, invece di fatto le missioni sono state rifinanziate senza che sia stata verificata l’efficacia degli investimenti. «Ormai le missioni sono state rifinanziate, ma bisognerebbe capire cosa succederà nei prossimi anni. Il parlamento dovrebbe chiedere maggiore trasparenza.»

Nancy Porsia

Il dubbio è che i soldi del governo italiano finiscano per alimentare le mafie e le milizie militari in Libia, che guadagnano anche con il traffico di esseri umani e con la gestione dei centri di detenzione per migranti. E a parziale conferma dei timori, nel 2017 un’inchiesta della giornalista Nancy Porsia aveva documentato per Trt World come il capo della guardia costiera libica a Zawiya, Abdurahman Milad, fosse una delle figure chiave del traffico di esseri umani nella regione. Milad è accusato di avere legami con le milizie di Tripoli che portano i migranti dal Sahara alla costa, prima che siano imbarcati verso l’Italia. Ma già nel 2015, intervistata dall’Adif (Associazione Diritti e Frontiere), la giornalista esperta di Medio Oriente e Nordafrica descriveva così la situazione in Libia: «Sicuramente le milizie libiche hanno avuto la possibilità col passare del tempo di organizzarsi meglio e di strutturarsi in una modalità da “mafia” a tutti gli effetti. Non più collaborazioni sporadiche fra un gruppo e l’altro, ma una vera e propria struttura mafiosa come la intendiamo secondo il fenomeno italiano. L’espandersi di questa struttura mafiosa è stata resa possibile dall’anarchia che attualmente regna in Libia, ma è stata non solo avallata, ma ha assunto una dimensione ancora più potente per l’intervento di mafie preesistenti, straniere e internazionali come quelle nigeriane e sudanesi, parlando nello specifico dello smuggling dei migranti. In sostanza la mafia nigeriana e quella sudanese hanno creato veri e propri corridoi o canali attraverso cui operare il trasporto di esseri umani. Questo ha portato ad un nuovo livello del sistema di sofisticazione del business o sia ad una sua vera industrializzazione.»

Secondo gli avvocati dell’Asgi (l’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione), quello che l’Italia in sostanza sta facendo è delegare alla guardia costiera libica il respingimento dei migranti, una prassi che viola numerose norme internazionali e che è già costata all’Italia una condanna dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel 2012, per aver violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti umani rimandando in Libia alcuni cittadini eritrei e somali che nel paese nordafricano rischiavano di subire trattamenti inumani e degradanti. E mentre gli altri governi europei mostrano un’ipocrita timidezza a intervenire, per l’interesse strategico a lasciare l’Italia sostanzialmente sola ad affrontare la drammatica crisi migratoria in atto, Emergency chiede che l’Italia “cessi al più presto ogni collaborazione con la Guardia costiera libica e riprenda a soccorrere chi chiede aiuto nel Mar Mediterraneo. Ogni collaborazione è da ritenere ormai inaccettabile: esistono innumerevoli testimonianze e inchieste sui maltrattamenti e sugli abusi subiti dai migranti in Libia. È altrettanto inaccettabile che i migranti vengano riportati nei centri di detenzione, in un Paese in guerra, dove vengono violati tutti i basilari diritti umani. Il salvataggio in mare dovrebbe essere competenza europea e dovrebbero essere i singoli governi a farsi carico di un servizio di search and rescue continuo e affidabile”. Difficile darle torto.