Come in tutte le rappresentazioni teatrali se il regista vuole cambiare copione deve osare scelte che non tutti gli attori sono disposti ad accettare: sbagliare tempi e modi nell’avvicendamento dei personaggi potrebbe compromettere lo spettacolo. Per il cast il cambiamento non è né facile né indolore. I nuovi attori per diventare protagonisti devono conquistare la scena sottraendo spazio a coloro che li hanno, anche con merito, preceduti. Chi ha coinvolto il pubblico per tanti anni, ha propri fan che lo seguono fedeli, non si rassegna a svolgere ruoli marginali o, addirittura, a uscire di scena.  

Ora, nella lotta ai cambiamenti climatici, il primo personaggio non più compatibile con la nuova recita energetica è quello più vecchio: il carbone, la fonte energetica più utilizzata dall’inizio dell’era industriale fino ai primi del Novecento, quando è stato superato dal petrolio. Con la sua combustione ha attivato le fabbriche della prima rivoluzione industriale, ha spinto navi, ha riscaldato città intere, prodotto energia elettrica.  

Alcuni di noi hanno ancora impresse nella mente le immagini dei treni che sfrecciavano fumanti nelle campagne, diffondendo il classico odore rugginoso, affascinati da quel ferroviere che con la pala alimentava la fornace di bordo come se fosse  lui, con quel gesto, a spingere la locomotiva. E si ricordano le discussioni familiari durante gli anni ’50 e ’60 per scegliere se acquistare carbone Antracite o Litantrace, in ovuli o in mattonelle, per alimentare le prime cucine economiche. C’erano gli spazzacamini, neri di fuliggine, che si arrampicavano sui camini delle case suscitando l’ammirazione dei ragazzini e il timore delle madri.

Occorre dire che a progresso e romanticismo si univano non di rado sofferenza e tragedia. In ogni parte del mondo uomini lavoravano nelle miniere, era scontato anche il lavoro infantile nelle viscere della terra per estrarre il minerale in condizioni precarie e pericolose.

Nella memoria di noi italiani è impresso il disastro di Marcinelle nella miniera carbonifera Bois du Cazier, in Belgio. La mattina dell’8 agosto 1956, un incendio, sviluppatosi nel condotto d’entrata d’aria principale, riempì di fumo tutto l’impianto sotterraneo, provocando la morte di 262 persone, di cui 136 immigrati italiani.

Il carbone è stato anche causa del primo blocco ambientale della storia quando,  nell’inverno del ’53, Londra è stata costretta a fermare le fabbriche, spegnere i riscaldamenti, rimanere al freddo, per non avvelenare i propri abitanti con i fumi della combustione.

Nel mondo i più grossi consumatori di carbone per usi energetici sono ora Cina con il 56% del totale mondiale, Stati Uniti 14%, India 12% ed Europa con l’8%. I paesi europei che lo usano di più sono Polonia e Germania.

In Italia sono rimaste in attività 12 centrali elettriche a carbone sparse tra Liguria, Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Lazio, Puglia e Sardegna. Otto sono di proprietà dell’Enel, due di A2A, una della E.ON e una della Edipower. Pur rappresentando il 13% del totale della produzione elettrica nazionale sono responsabili del 40% delle emissioni di CO2 dell’intero sistema. Nel nostro Paese non ci sono giacimenti di carbone, eccetto il bacino sardo del Sulcis Iglesiente,  riaperto nel 1997 dopo 25 anni di inattività. Il 90 per cento del carbone che bruciamo arriva via mare da Stati Uniti, Sudafrica, Australia, Indonesia, Colombia, Canada, Cina, Russia e Venezuela.

Fra tutte le fonti energetiche in uso è quella che ha il peggiore rapporto potenza verso emissioni di CO2: a parità di energia fornita, inquina più degli altri fossili.

Un ulteriore elemento che aiuta a capire perché si debba smettere rapidamente  di usare il carbone lo fornisce un rapporto pubblicato lo scorso marzo da Carbon Tracker Initiative un team londinese di analisti finanziari specializzati nel settore energetico, dal titolo significativo “How to waste over half a trillion dollars”.

Lo spreco di più di 600 miliardi di dollari l’anno, si legge, è dovuto al perseverare nell’utilizzo del carbone come materia prima energetica ora che la produzione eolica e fotovoltaica nella maggior parte dei paesi è economicamente più conveniente. La produzione di energia rinnovabile è oggi competitiva con il 95% degli impianti a carbone esistenti nel mondo, ma soprattutto lo è con i nuovi impianti.

Il rapporto stima che in Europa il costo medio di produzione fra tutti i Paesi sia pari a circa 51 dollari/Mwh per energia eolica e circa 49 dollari/Mwh per il solare fotovoltaico. Tali costi si confrontano con quello per una centrale elettrica a carbone che si attesta ad un livello più che doppio a circa 118 dollari/Mwh. Analoga situazione si riscontra in altri paesi inclusa la China.

Pertanto al netto dell’inquinamento e delle emissioni di gas climalteranti, investire in rinnovabili è più remunerativo che finanziare e operare centrali elettriche a carbone. L’Europa ha infatti intelligentemente deciso di abbandonare definitivamente il carbone entro il 2025: meno inquinamento, più risparmi.

Ma chi lo sostituirà?

Sebbene i dati economici e le esigenze ambientali non lascino dubbi sulla scelta,  l’ingresso delle rinnovabili non è del tutto, sempre e ovunque, scontato.

Un esempio lo abbiamo in casa nostra, alla centrale elettrica di Civitavecchia dove l’Enel pensa di sostituire il carbone con il gas. Uno sgambetto da vecchio personaggio sulla via del tramonto, che il metano fa sfruttando pieghe normative e  momentanei sussidi di sistema, alle energie rinnovabili.

A denunciarlo è Roberto Scacchi, presidente di Legambiente Lazio, durante una manifestazione tenuta la settimana scorsa davanti all’impianto: «Inaccettabile che di fronte all’emergenza climatica il Governo continui a puntare su una fonte fossile, in sostituzione di un’altra fonte fossile». Aggiunge poi: «La riconversione ecologica della centrale di Civitavecchia non può che passare alle fonti rinnovabili, fatto dall’insieme di eolico, solare fotovoltaico e sistemi di accumulo, in grado di rispondere alle esigenze energetiche del Paese così come sta avvenendo in molti altri Paesi europei e americani».

Il metano fossile, in effetti, è il personaggio più recalcitrante, con molti sostenitori, l’ultimo forse ad uscire di scena. Sarà una competizione dura, senza esclusione di colpi, che le istituzioni dovranno governare con intelligenza e fermezza se si vuole effettivamente realizzare un piano energetico sostenibile per il pianeta, nei tempi compatibili con l’emergenza climatica.