Bambina prodigio prima, artista invidiabile e matura ora. Si tratta di Veronica Marchi, cantautrice dalla bella voce che a Verona ha dato tanto. Pianista, chitarrista, cantante. Tutti e tre questi ruoli convergono nella Marchi. Una rarità nell’ambiente. Perché arrabattarsi è un conto, riuscire ed emozionare un altro.

Hai cominciato a cantare quando avevi meno di dieci anni ma il tuo disco d’esordio è del 2005. Che ricordi hai dei tuoi approcci alla musica e della situazione veronese dell’epoca?

«Ho dei ricordi precisi del 2005 e dei due/tre anni che hanno preceduto l’uscita del primo disco. Ricordo una Verona fervente di band che suonavano musica originale di ogni genere. C’erano i primi blog di confronto tra musicisti, si andava nei locali a sentire cosa “facevano gli altri”. Io, dalla mia, ero innamorata di Lecrevisse e Maryposh. Mi sento orgogliosa di aver potuto dividere il palco per otto anni con Andrea Faccioli del primo gruppo ed essere stata la cantante del secondo per sei anni. Vuol dire forse che sono tenace per qualcosa! Dei primi passi nella musica, da bambina, invece ricordo bene l’urgenza di scrivere, quell’esigenza naturale di buttare tutto in canzone come unica forma di comunicazione. Giocavo molto con le parole.»

La Veronica Marchi matura ha all’attivo tre dischi. Quali tra questi ami di più e quali canzoni preferisci del tuo repertorio?

«Domanda molto difficile perché come sai ogni canzone è un figlio, impossibile preferirne uno ad un altro. Posso dire che ho amato molto La Guarigione, il mio terzo album, perché vissuto come un grande ponte di abbandono di cose che non volevo più e di scelte radicali che hanno reso il suono magico e intoccabile. Mentre sono sicura che la canzone a cui sono più legata sia Bambina, dal mio primo disco. Io mi ricordo dei miei 15 anni, quando l’ho scritta, in cui ho sentito nettamente che stavo tracciando qualcosa di me e che quel brano non mi avrebbe mai stancata.»

Nella tua lunga esperienza live hai girato locali a Verona, in Italia ma pure all’estero. Quali sono le situazioni che hai preferito, perché e quali i luoghi veronesi indimenticabili, del presente e/o passato?

«I primi live risalgono al 1997, primo locale esplorato Frankie Disco Pub. Non esiste più, come non esistono più tantissimi locali che un tempo almeno a Verona hanno fatto la storia. Posso dire di aver avuto l’onore di suonare più volte a Il Posto, nella sua sede storica, nel quale si mescolavano vari generi e livelli artistici. Sono riuscita a calcare quel palcoscenico e in particolare ricordo una serata di jazz organizzata dalla scuola di canto che frequentavo (quella di Anna Bakja). Cntai Natural woman, sconsigliatami dalla mia insegnante. E io che avevo 15 anni, nel pieno della fase adolescenziale di ribellione, la cantai comunque. Mi ricordo un pubblico esaltato sin dal primo verso, la conferma per me che il jazz avrebbe fatto parte della mia vita per sempre. Un’altra esperienza live indimenticabile è stata la perentesi con Maryposh, in particolare una data in un piccolissimo locale di Catania. A fare la differenza è stato il pubblico, ancora una volta. Mi stavano ad un centimetro dal corpo, attenti e partecipi, senza aver mai sentito prima d’ora i nostri brani, un’energia vitale pazzesca a cui non ero per niente abituata. Poi la presentazione del mio primo disco, Polo Zanotto, Verona, 300 persone solo per me in ascolto religioso, a celebrare il primo passo discografico, e direi che anche a questo non ero per niente abituata. Infine un’esperienza recente, ovvero il tour in Repubblica Ceca, senza ombra di dubbio. Perché là io e Maddalena eravamo come delle regine, ad ogni nota potevamo sentire che l’interesse e l’ascolto erano vivi, anche se nessuno capiva una parola! Per la prima volta non ho avuto bisogno di presentare i brani. Ogni singola nota veniva assimilata senza spiegazioni e questo mi ha sconvolto, mi ha fatto capire che la musica arriva anche dove non immagini.»

Come selezioni i musicisti che suonano con te e che tipo di rapporto hai con loro?

«Ho iniziato a fare live a 14 anni, per cui sono passati più di vent’anni e sono cambiate molte cose. Ho sempre avuto una particolare preferenza per la dimensione acustica, sono partita da lì cercando due chitarristi con cui uscire a fare live. Eravamo molto diversi, io facevo sul serio (forse troppo) e loro volevano solo divertirsi. Questo è stato il metro di misura che ho utilizzato fino al 2000, quando ho incontrato Maddalena Fasoli, che suona con me da oltre quindici anni. È stata la prima con cui ho sentito di avere un sodalizio serio, con cui la costruzione del live aveva un senso oltre al divertimento che già è insito nel fare musica. Mi piacciono i musicisti versatili, quelli che non si fermano al loro primo strumento ma che sperimentano e sanno ascoltare. Mi piace che un musicista con me si senta libero di portare le sue idee. Io ho più spesso sposato le scelte dei miei musicisti piuttosto che seguire a muso duro le mie, specialmente negli ultimi cinque anni. Nel suono si sente questo cambiamento, questa apertura.»

Come detto hai fatto parte dei Maryposh ed inciso con Mondo Marcio, Bikini The Cat, Simone Lo Porto, Marian Trapassi, Ruben, Enrico Nascimbeni. Che ricordi hai di queste collaborazioni?

«Dei Maryposh il ricordo più forte. Essere parte di quella band significa dare anima e corpo, sono assoluti in quello che fanno. È stata un’esperienza che mi ha forgiata, segnata e fatto crescere soprattutto come donna. Nelle altre esperienze che hai elencato ci sono state tante emozioni differenti tra loro, ho sempre cercato di imparare qualcosa ogni volta che ho avuto qualcuno vicino più “grande” di me.»

Hai suonato accompagnando grandi artisti (Cristina Donà, Antonella Ruggiero, Davide Van Des Froos) e collaborando con altri (Nicolò Fabi, Natalino Balasso, Serafino Rudari). Che impressione ti hanno fatto e quali hai preferito? La stessa domanda te la giro per quanto riguarda artisti/gruppi veronesi.

«Di alcuni di loro sono stata solo un’opening, per cui li ho sfiorati da vicino, altri invece li ho proprio vissuti fino infondo, come Natalino Balasso, il più esigente e il più dolce. Una persona senza mezze misure che ha saputo insegnarmi il valore della precisione della messa in scena e su questa base l’arte di saper improvvisare divertendosi con serietà. Di Niccolò Fabi porto dentro l’umanità. Mi ricordo che una volta a Padova si scusò perché in apertura prima di me (e fu lui a volermi con sè) era stata imposta anche un’altra artista dalla casa discografica. Non credo capiti così di frequente che un grande artista ti dedichi uno spazio più volte e solo per stima. Nel mondo musicale veronese sono molte e forse troppe le persone da ringraziare, sia per mancanza di fiducia sia per massima stima dimostrata. Un aneddoto si può raccontare, divertente. Ai tempi del primo disco un giorno incontrai un ragazzo con capello lungo e aspetto vistosamente metallaro che mi disse “guarda devo farti davvero tanti complimenti, io e la mia ragazza abbiamo comprato il tuo disco e ci siamo innamorati ma ti prego non dirlo in giro altrimenti mi ammazzano”!»

Avendoti seguita in più occasioni so che pretendi silenzio durante i tuoi concerti. Quali sono le situazioni più difficili che ti sono capitate?

«Non pretendo il silenzio, semmai lo spero, lo agogno, in fondo so che siamo bestie disabituate all’ascolto, non do più la colpa agli altri per le cose che non posso capire o gestire o che sono più grandi di me. Lascio libere le persone. La cosa bella è che andando avanti con l’età il silenzio si crea da solo, mi sento “vecchia” e forse la maturità porta tranquillità che si trasmette agli altri. Mi viene da ridere ripensando a quella Veronica che nei primi anni del secolo, se volava una mosca nel locale, si incazzava e mollava baracca e burattini interrompendo il concerto.»

Cosa pensi degli addetti ai lavori che operano nel mondo della musica? Quali sono quelli che ritieni seri ed affidabili?

«Ho incontrato tante persone diverse, nella mia carriera. Finti manager, persone serie, parole alate, promesse mantenute. Posso dire che la differenza la fanno le persone, le loro intenzioni, il rapporto umano che si instaura solidamente e che prosegue nel tempo proprio perché c’è una stima reciproca di fondo, mentre quando c’è solo un interesse dettato dal suono del guadagno non si arriva e non si ottiene nulla.»

Quante copie hanno venduto (circa) i tuoi singoli demo/album?

«2.000 copie del primo e del secondo disco, 1.500 del terzo (non so dirti digitale dei tre dischi) mentre per CoVer sono state vendute all’incirca 1.000 copie in due anni.»

Discografia:

Veronica Marchi (2005)

L’acqua del mare non si può bere (2008)

La guarigione (2012)

Formazione dal 2001: Maddalena Fasoli, Nelide Bandello, Bruce Turri (ex- Enrico Quattrina, Mauro Falsarolo, Michele Mandolo, Andrea Faccioli, Davide Cazzola, Steve Palmieri, Dario Benzoni, Jacopo Bertacco, Laura Masotto, Kumiko Hosotani, Martino Adometti, Nicola Monti, Massimo Rubulotta, Lucio Enrico Fasino, Eric Cisbani, Gianluca Mancini, Giorgio Marcelli).

Intervista tratta dal libro Verona Rock (Delmiglio Eitore) uscito nel 2016