I ristoranti, le trattorie e i bar hanno riaperto da una ventina di giorni. Finito il lockdown, hanno ottenuto di servire i clienti nei locali alla distanza di “almeno” un metro; e con l’obbligo di rispettare alcune regole a tutela della salute degli avventori.

Com’è stata la ripresa? Ho provato cinque ristoranti o trattorie e alcuni bar, nel corso di queste due settimane dalla ripartenza. E il risultato è un quadro con luci e ombre. Se la prevenzione del Covid-19 è una cartina di tornasole della professionalità; ebbene questa è l’occasione per comprendere quali pubblici esercizi sanno fare il loro mestiere. E quali ristoranti, trattorie o bar hanno a cuore i clienti.

Il tema dell’igiene e della sicurezza degli alimenti è un argomento di lungo corso nei locali pubblici. Tant’è che per esercitare la professione di camerieri o baristi occorre aver seguito corsi sulla sicurezza alimentare. La comunicazione è poi fondamentale – specie quella interpersonale – nel decretare il successo o il fallimento di un locale.

Tutti noi andiamo al ristorante di sicuro per il cibo. Ma, ci dicono gli esperti, anche per stare bene in un ambiente confortevole. Tant’è che già molto prima del Coronavirus uno studio sui clienti della ristorazione ci dava un dato interessante: i clienti amano sedere su tavoli distanziati fra loro. Si va, infatti, in trattoria o al bar certo per socializzare; ma con le persone con cui ci accompagniamo o con cui stiamo. Non tanto con gli estranei al nostro tavolo.

Ci piace essere accolti. Ci piace sentirci a casa. Ci piace sapere che il cibo è cucinato e servito rispettando le regole d’igiene. E ci piace quel certo locale perché il titolare o i suoi collaboratori ci sanno accogliere. Il tema dell’accoglienza e della “cura dell’altro”, nella ristorazione, è talvolta trascurato; specie da chi pensa solo a fare cassetta o ha scambiato una trattoria, un bar o una pizzeria per uno stabilimento con persone che mangiano come alla catena di montaggio.

Quali sono, allora, i punti di forza e le criticità di ristoranti, pizzerie, bar e trattorie che ho visitato fra il centro di Verona, la periferia sud (Borgo Milano e dintorni) e l’Est veronese? Il primo punto è l’accoglienza al momento di entrare nel locale. Ebbene, solo in un ristorante ho trovato un’applicazione delle regole anti-Covid come opportunità di migliorare il servizio al cliente. Nel senso che ho trovato un ristorante migliore rispetto all’epoca pre-Coronavirus.

In quest’unico caso i tavoli erano distanziati di almeno due metri, anziché uno. Si dirà: avevano spazio. Certo, avevano spazio; ma in ogni caso hanno dovuto rinunciare a un certo numero di posti a sedere.

La cameriera che ci ha accolti – oltre alla cordialità e al dimostrare il benvenuto a clienti che tornavano a mangiare nel locale – ci ha subito messi a nostro agio. E ci ha spiegato che avevamo il detergente in boccetta a nostra disposizione e da portarci a casa. Ci ha detto che c’era il menù scritto su un foglio, che avrebbe poi stracciato; oppure che potevamo usare il “QR code” leggibile sul tavolo attraverso lo smartphone. L’olio extravergine di oliva era poi servito in minuscole bottiglie da portarci a casa: usa sorta di “regalino” quanto mai gradito. Ma anche il modo per promuovere un olio di qualità e di produzione locale.

Quanto al menù, a una riduzione del numero dei piatti rispetto a prima del Coronavirus ha corrisposto una maggiore attenzione ai prodotti del territorio e alla qualità degli ingredienti. Della serie: non hai più dieci primi, una dozzina di secondi e sei dessert fra cui scegliere; ne hai la metà. Ma quella metà è fatta di piatti curati nel gusto e nella freschezza.

Dalla carta dei vini erano sparite le etichette di altre regioni d’Italia. E la lista, ridotta ma di alto profilo a prezzi congrui, si concentrava sulle piccole cantine della zona in cui ci trovavamo.

Un tavolo al centro del locale a un certo punto ha ospitato una decina di persone, con bambini, di due famiglie diverse. Sono stati collocati in un tavolo che un tempo sarebbe stato per 14 clienti: facendone accomodare solo dieci, il ristorante ha consentito il rispetto della distanza di un metro fra commensali, ma senza ostentare questo “distanziamento fisico”. Anzi, trasmettendo l’idea che più si sta larghi e meglio si mangia, senza privarsi della conversazione.

La cameriera che ci serviva mi ha spiegato che i titolari avevano organizzato incontri formativi con esperti di sicurezza alimentare e anti-Covid; e con esperti di tecnica di accoglienza del cliente. Da parte sua, l’accesso al sito (via smartphone) del ristorante ha consentito di pregustare i piatti in anteprima, in fotografia, con una presentazione degli ingredienti.

Quella trattoria aveva colto l’occasione del Coronavirus per rifare il sito web del locale e per promuoversi nei confronti dei clienti. Chi voleva, poteva lasciare l’email per iscriversi alla newsletter del locale; e per essere informato sui servizi offerti ai clienti, fra cui quello del takeaway e della consegna di alcune pietanze a domicilio.

Nei bagni, puliti e accoglienti, ho trovato in evidenza il dispenser con il disinfettante. L’invito era di usarlo per migliorare l’igiene personale nel gustare i cibi al tavolo. Infine, il pagamento è stato fatto con moneta elettronica; e al tavolo.

Quali conclusione trarre? Che alcuni ristoratori (ma anche titolari di bar e pizzerie) hanno subìto – come si subisce una tempesta malefica – le nuove regole anti-Covid, senza coglierne il valore di rassicurazione e “cura” del cliente. Sono ristoratori che non hanno approfittato del bisogno di rassicurazione del cliente per creare una relazione duratura. E non hanno approfittato di questa fase di maggiore digitalizzazione, per impostare una diversa comunicazione online: non hanno offerto al cliente un miglior modo di informarsi; e non hanno consentito al locale di promuoversi al meglio. Sono rimasti al palo. Fermi al passato.

Uno è il punto dirimente, per i ristoranti che si sono presentati alla ripartenza. E uno è il nodo focale anche per intercettare i turisti che verranno. Ovvero l’accoglienza, la cura e i servizi al cliente sul piano della salubrità degli alimenti, della sicurezza personale rispetto a contagi, della cura e rassicurazione del cliente. E di una comunicazione, sul piano personale e su quello online, che mostri quanto il cliente – nella sua umanità e nei suoi sentimenti – sia al centro del lavoro e della professionalità di un ristoratore, titolare di pizzeria o tenutario di un bar.  

Il servizio di ristorazione (ma non solo); la comunicazione; il marketing dei servizi – come sottolinea Jeena Cucciniello nel blog Brand Journalist – non possono essere che a “misura di persona”. Solo così trattorie, bar, ristoranti e pizzerie possono pensare di essere pronti ad accogliere – con una esperienza memorabile – i turisti che verranno.