Sono passati già due anni da quando il Movimento 5 Stelle si imponeva trionfalmente con più del 31%. Ricordi che sembrano lontani, visto che il consenso è dimezzato: un patrimonio di aspettative consumato in fretta, eroso dalla delusione e dalla constatazione che la buona volontà non è sinonimo di competenza e che l’ambiguità programmatica (evidente nel conflitto sulla questione regolarizzazione migranti, ad esempio) funziona nel prendere voti ma non nel governare, specie se si deve indicare una direzione.

Ciò che spiace davvero, oltre all’ennesima disillusione dell’elettorato, affamato come non mai di nuovi Cola di Rienzo, è lo scontro tra sogno e realtà: un movimento che nasceva democratico, con iscritti sulla piattaforma Rousseau in rappresentanza della cittadinanza attiva, sul modello della democrazia diretta ateniese, a poco a poco è stato scavalcato da ambizioni e protagonismi personali che hanno finito per soffocare le idee (peraltro spesso contraddittorie). Il sogno si scontra con la necessità della politica vera fatta di compromessi e di non detti, di scambi e rospi da ingoiare, di decisioni rapide e non sbandierate: utopia con un voto online.

La piattaforma Rousseau, fiore all’occhiello del progetto, che inizialmente aveva sollevato molte polemiche sulla trasparenza della gestione, da giudice di ogni decisione si è trasformata così in uno strumento secondario a cui scaricare la responsabilità di decisioni imbarazzanti (come nel caso delle alleanze nelle recenti elezioni regionali) o da condizionare, come nel caso dell’approvazione del Governo giallo-verde. Come le magistrature romane in tempo di principato, la piattaforma si avvia mestamente a diventare un organo secondario e consultivo.

A questo prezzo, quali sfolgoranti personalità politiche a livello nazionale ha lanciato il M5s?
Luigi Di Maio, prima ministro del Lavoro e ora degli Esteri, capo politico del Movimento (fino al gennaio 2020). Tantissimo in pochissimo tempo. Risultati? Il Reddito di Cittadinanza sembra uno strumento di mero assistenzialismo e i navigator, addetti al collegamento tra aziende e lavoratori, hanno inciso pochissimo; l’impressione è che l’unica disoccupazione sconfitta sia stata quella dei navigator assunti; il suo grido del 28 settembre 2019, “abbiamo sconfitto la povertà” risulta oggi, come ieri, grottesco. Passato alla Farnesina, si è per ora fatto notare per l’assenza: mentre altri paesi (Croazia in testa) lavorano ad accordi bilaterali per accogliere i turisti europei, l’Italia tace; i nostri confinanti ci isolano come appestati, come Austria e Slovenia; viene infine informato buon ultimo della liberazione di Silvia Romano. Più presente, invece, nelle paparazzate e sui giornaletti di gossip: tra qualche anno al Grande Fratello?

Danilo Toninelli, ex ministro delle Infrastrutture, si è dato molto da fare per ottenere ben poco: è probabilmente riuscito a far pagare il nuovo ponte Morandi ad Autostrade per l’Italia, ma non a revocare le concessioni, sua solenne promessa.

Il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina sta gestendo una fase molto difficile con molta fantasia, poca condivisione e risultati molto discutibili; l’ultima proposta, in ordine di tempo, è quella di assumere docenti con un concorso con domande a crocetta con risposta multipla: anche se bocciata (per fortuna!) è scelta sintomatica per i Cinquestelle quella di valutare le capacità (qui, di insegnare) con la bravura nei quiz. Vito Crimi, capo ad interim del Movimento, si è reso celebre per la sua denuncia delle scie chimiche; Alfonso Bonafede, ministro della Giustizia, è al centro delle polemiche per la scarcerazione dei boss mafiosi, ha scampato la sfiducia il 20 maggio per un pelo e, scosso dal coccolone, si è ricordato improvvisamente della riforma della giustizia; Vincenzo Spadafora, allo Sport, si è inimicato il mondo del calcio; l’ex ministro della Difesa, Elisabetta Trenta, al centro di vari scandali, dal direttore di “Analisi Difesa” Gianandrea Gaiani è stata giudicata così: «Una visione assai limitata del Comparto Difesa, pacifista da oratorio e Casa del Popolo, ma oggi quanto meno inadeguata anche solo a comprendere le sfide attuali». Un panorama deprimente. Con la prima repubblica, almeno, si poteva ricamare sugli aspetti luciferini dei dirigenti DC.

Alla fine, cos’è rimasto delle battaglie del Movimento? Il taglio degli stipendi dei parlamentari M5S. Scelta lodevole, perché un onorevole guadagna almeno 10 volte un normale stipendio e sarebbe normale aspettarsi capacità e competenze incomparabilmente superiori all’uomo della strada. Visto il panorama dei parlamentari italiani, non è proprio così. Tuttavia, constata la qualità dei ministri più visibili espressi dall’M5s, vien da chiedersi: in questo caso, la restituzione è implicita valutazione della qualità dei propri parlamentari? E soprattutto: uno stipendio ridotto basta a giustificare la sopravvivenza di una classe politica scadente? Possiamo tollerare politici mediocri solo perché “con lo sconto”?

«Apriremo il Parlamento come una scatoletta di tonno» gridava festante Beppe Grillo, infiammando molti italiani che speravano nel cambiamento. La verità è che se il Movimento non trova un orizzonte ideale da proporre rischia di finire pure lui sott’olio.