Donne, lavoro, maternità: temi su cui “Heraldo” indaga con continuità con dirette, storie e articoli che danno il quadro di un mondo sfaccettato ma con molti aspetti problematici. Di fatto, la parità sostanziale è ancora lontana e in questo periodo di emergenza Coronavirus tale evidenza si è fatta ancora più netta. Perché? Cosa non va? Ne abbiamo parlato con tre esponenti dell’amministrazione veronese: Ilaria Segala, assessora alla Pianificazione urbanistica e all’Edilizia e dal 2010 al 2014 presidente dell’Ordine degli ingegneri di Verona, Elisa La Paglia, consigliera comunale PD con esperienza di incarichi amministrativi, libera professionista e attiva nel sociale, e Maria Fiore Adami, consigliera comunale, prima nelle file di Battiti per Verona e da aprile 2019 in Fratelli d’Italia, e presidente della V Commissione consiliare per le Politiche sociali, sanitarie, abitative e per le Politiche per l’istruzione.

Quali sono a suo giudizio gli elementi che impediscono a una donna di raggiungere ruoli apicali?
Maria Fiore Adami: «La questione è essenzialmente culturale. Il gender gap presente sul mercato del lavoro nazionale rimane ancora ampio. Quando parliamo di pari opportunità, spesso si usa il termine uguaglianza, credo oggi sia invece necessario parlare di equità, termine che non può prescindere da un dato oggettivo che è la differenza; ritengo infatti che le differenze debbano essere considerate un valore più che elemento di confronto e solo in questo modo si può rompere quel glass celling che è ancora radicato nel sistema produttivo, nel mercato del lavoro e nella società in senso globale.»

Ilaria Segala: «C’è una questione legata al tema familiare e ai pregiudizi. I ruoli apicali vengono raggiunti prevalentemente da donne senza figli, sia perché la carriera soffre delle pause legate alla maternità sia perché, in molte famiglie, ancora non c’è un’equa condivisione di impegni tra genitori. Si dà per scontato, poi, che alla donna non si possano affidare ruoli di responsabilità perché si presume che, un giorno, non potrà garantire il 100% della propria energia fisica e mentale poiché distratta da impegni familiari. Tutto questo è frutto del condizionamento di vecchi modelli. Invece, una madre può non solo vivere il suo ruolo lavorativo appieno ma anche può e deve presentare alle proprie figlie la possibilità di un modello alternativo.»

Elisa La Paglia

Elisa La Paglia: «In un Paese con scarsi e molto costosi servizi di welfare e di sostegno all’infanzia c’è un’oggettiva difficoltà a portare avanti la carriera per le donne se il carico familiare di cura non è equamente ripartito, fin dal colloquio di assunzione. Spesso la maternità è percepita come un problema organizzativo e un costo, non un valore aggiunto per la società e per la produttività, si giudicano i dipendenti non per il loro effettivo rendimento ma per il tempo di disponibilità che si offre all’azienda. Chi spegne la luce vale di più di chi ottimizza il tempo.»

I numeri parlano di moltissime laureate, più degli uomini, persino il 73% e il 65% nei corsi sanitari-paramedici e geo-biotecnologici. Nelle materie tecniche, però, sono molte meno. Può essere un elemento chiave della discriminazione?
La Paglia: «Questo è il frutto degli stereotipi di genere. Forti pregiudizi, alimentati spesso della pubblicità, che influenzano bambini e bambine già dai primi anni di vita: alle bambine le bambole ai bambini le costruzioni. Si badi bene i pregiudizi non si superano obbligando i bambini a giocare con altro ma offrendo loro maggiori possibilità affinché possano far emergere passioni, talenti, curiosità non vincolate a standard anni Cinquanta.»

Adami: «Le ricerche ci dimostrano che le scelte universitarie non sono legate a livelli di abilità inferiori delle donne rispetto agli uomini nelle materie scientifiche né riferibili a una diretta conseguenza di un modello occidentale di tipo patriarcale, ma sarebbero correlate a preferenze di tipo individuale naturali favorite da una libertà sociale che il Paese in cui si vive garantisce; chiaramente, se la scelta è fatta sulla quantità e non sulla qualità l’elemento di discriminazione esiste.»

Segala: «Nel campo scientifico, spesso le donne hanno un curriculum e risultati superiori ai loro colleghi maschi eppure scelgono prevalentemente un percorso di studio non scientifico o carriere meno impegnative, magari col part-time, perché già indirizzate, in prospettiva e quasi inconsciamente, alla gestione di una famiglia. Bisogna, invece, spronare le ragazze a scegliere un percorso scientifico perché non solo ce la possono fare ma questo permetterebbe loro migliori possibilità di lavoro.»

Ilaria Segala

Per la task force organizzata in questa emergenza si parla di una sorta di quota rosa, come in politica. Le quote rosa in politica hanno funzionato in termini di quantità e qualità?
Segala: «Per correttezza, tengo a precisare che anch’io faccio parte delle quote rosa. È anche vero però che non sono del tutto d’accordo sul metodo: nel mio caso è stata fatta una scelta tecnica, ma spesso ci sono quote da riempire e si inseriscono persone “a caso”: basti guardare cosa succede nelle partecipate. Trovare donne che vogliano fare politica è ancora più difficile – ed è un altro aspetto del problema – perché sono scarsamente motivate in famiglia dal momento che è un lavoro che non ha orari.»

La Paglia: «Le quote rosa sono uno strumento necessario e temporaneo. Ci è voluta una protesta nazionale per far inserire delle donne nella task force di governo. E come si è dimostrato le donne con curriculum adeguato erano davvero tante. Le quote rosa nei cda delle aziende hanno dato eccellenti risultati, fonte “Il Sole 24 ore”, media più alta di crescita nei cda con quote rosa. In particolare, le donne si sono dimostrate la carta vincente per quelle società sull’orlo del fallimento verso il rilancio.»  

Adami: «Il concetto di quota rosa non mi è mai piaciuto. Oggi, però, ahimè rimane strumento certo e di garanzia per l’accesso delle donne posizioni apicali. Credo, comunque, che la riserva osti con il concetto di meritocrazia, che dovrebbe essere l’unico parametro di selezione. Da amministratore locale e nella mia breve esperienza politica credo che le maggiori difficoltà riguardino il persistere di uno stereotipo sociale in cui la donna è ancora relegata a mansioni di cura. Le fatiche per affermare la propria credibilità e autorevolezza richiedono uno sforzo maggiore.»

C’è forse un atteggiamento delle donne tra loro meno collaborativo, meno di squadra rispetto agli uomini o è uno stereotipo?
Adami: «Da quando ho assunto il ruolo di presidente della V Commissione con delega alle Pari opportunità ho incontrato a Verona un nutrito numero di associazioni femminili che collaborano e si impegnano profondamente su temi e questioni delle donne. Noto però che nelle tante occasioni di confronto il dibattito è spesso condiviso tra sole donne: serve la partecipazione degli uomini. Devo ammettere che negli anni tale partecipazione è sempre maggiore. Lo scorso anno, il 25 novembre, nei vari interventi durante giornata dedicata al contrasto della violenza sulle donne, ho rilevato una folta partecipazione maschile. Credo, infatti, che solo gli uomini, in questo caso scendendo in piazza a contrastare la violenza sulle donne, possano muovere la coscienza pubblica.»

La Paglia: «Il diritto al divorzio, il diritto di famiglia, l’interruzione volontaria di gravidanza e potrei andare più indietro alla nostra stessa libertà e democrazia, non ci sarebbero se le donne non avessero fatto squadra. Così come ci sono stati tanti uomini con cui le donne han fatto squadra portando a casa risultati fondamentali per parità di genere.»

Segala: «La mia esperienza mi dice il contrario, credo sia uno stereotipo. Anzi, forse perché abituate alla gestione, dove ci sono donne manager la possibilità e la qualità del lavoro di gruppo e di squadra è anche migliore.»

Con le scuole chiuse, i dati dimostrano che a sostenere il peso della famiglia e a dover rinunciare a lavoro e carriera sono soprattutto le donne. 
Segala: «La quarantena ha sottolineato la disparità: è la donna che si deve prendersi ferie e pause per l’accudimento della prole, anche perché lo stipendio più pesante è in genere è quello dell’uomo. Bisogna ammetterlo però: questo Governo si è dimenticato della famiglia o se n’è accorto molto tardi. Nel frattempo, ciascuno si è arrangiato come ha potuto, appoggiandosi magari ai nonni, sempre che li avesse. Nei paesi del Nord Europa, ho notato, è molto diverso: il sistema è molto meno rigido anche in faccende ritenute a torto marginali come la flessibilità degli orari scolastici. Rigidità non sempre giustificabile: i ragazzi, anche abbastanza grandi, non possono uscire da soli da scuola e tornare a casa, cosa che invece noi tutti abbiamo facevamo ai nostri tempi.»

Maria Fiore Adami

Adami: «Bisogna essere onesti e vedere che la mancata attivazione è solo una questione di carenza di fondi. Sappiamo che il quoziente familiare è uno strumento di politica fiscale per intervenire a favore delle famiglie garantendo una riduzione del carico fiscale sulla base della dimensione familiare. Credo che oggi si necessiti di avere un quadro effettivo delle dimensioni delle famiglie facendo un’analisi più capillare dei reali benefici della sua applicazione. Oggi più che mai, perché il Covid-19 rischia di creare una nuova classe di famiglie povere, dove chiaramente la numerosità della famiglia non può essere il solo parametro da tenere in considerazione per le agevolazioni ma che sia da focalizzare sulla solvibilità della famiglia presa come unità di analisi. Oggi quello che serve è intervenire con nuova liquidità per permettere che il sistema famiglia non vada in default con tutti i riverberi sul piano anche sociale del fenomeno.»

La Paglia: «Anche l’assegno unico familiare purtroppo, già approvato alla Camera lo scorso novembre, fortemente voluto dal PD, non è stato ancora applicato. La crisi economica-sociale conseguente alla pandemia sarà probabilmente un’ecatombe per le condizioni lavorative delle donne e questo per diversi motivi; alcuni oggettivi, altri, come al solito, culturali: molti uomini svolgono mansioni manuali, ad esempio muratori, elettricisti, idraulici, che quindi li portano fuori di casa, lasciando alle donne la cura dei figli, degli anziani e lo smart working, i miracoli insomma;  statisticamente sono di più le donne rispetto agli uomini ad avere la modalità del part-time, quindi se una famiglia deve rinunciare ad uno stipendio rinuncerà al più basso.»