I primi passi li ha mossi a Verona, sua città natale, precisamente nel paese di Bosco Chiesanuova, ma è dall’età del liceo, lo scientifico Messedaglia, che Valeria Benatti inizia a fare radio, in quelle emittenti libere passate alla storia per libertà di espressione e per la programmazione musicale gestita in base alle proprie passioni. Poi ci sono stati i giornali, la comunicazione pubblicitaria, la tv regionale, fino al salto di carriera a Milano, con un ruolo di dirigente in Rai e di conduttrice di un programma su La7. Intorno ai 40 anni ecco però la crisi: «Avevo fatto mille cose, lavoravo troppo, i miei figli erano adolescenti e non ero soddisfatta rispetto ai traguardi raggiunti, perché ero troppo impegnata e stavo troppo poco con la famiglia», afferma durante la diretta “Succede alle 31” di domenica 10 maggio Valeria Benatti, che ora da più di 18 anni è la voce del mattino, nella fascia 11-13 su Rtl 102.5 nel programma “Viva l’Italia”.

«Molto spesso è questo il motivo per cui noi donne non restiamo a gestire il potere: vogliamo avere una differente qualità della vita. C’è bisogno di tempo, ma anche nel lavoro cerchiamo libertà, almeno è ciò che desideravo io: in tv sei condizionato da come devi essere, da cosa devi dire, mentre la radio mi ha dato un rapporto più vero con chi ascolta, arrivo come sono senza troppi filtri. Rtl è l’unica radio italiana in diretta 24 ore su 24 per tutto l’anno, e in questo lockdown abbiamo aperto i telefoni tutto il tempo. Spesso rispondo io, non c’è lontananza dagli ascoltatori, che spesso ti raccontano i loro problemi di salute o economici. E noi dobbiamo a maggior ragione andare in onda con il sorriso, anche se non è facile, ma vogliamo divulgare messaggi positivi e dare sostegno.»

Questi due mesi hanno cambiato anche l’utilizzo della radio, come ha rilevato la ricerca dall’istituto GfK, secondo il quale a fronte di una contrazione dell’audience pari al 17%, c’è stato un aumento del tempo medio di ascolto dell’11%, che si estende a tutto l’arco della giornata. «Il drive time si è quasi azzerato, però l’ascolto si è spalmato, e tanto ha fatto la sintonizzazione attraverso la tv – afferma Benatti -. L’aspetto positivo è che pur dando informazioni puntuali, alterniamo molto con musica e la condivisione delle esperienze degli ascoltatori. Le tecnologie oggi aiutano molto, dato che ci ascoltano da tutto il mondo, anche gente bloccata all’estero ci manda messaggi per i parenti e usa la radio per gli auguri di compleanno. Siamo come un caminetto acceso in mezzo alla casa di chi ascolta.»

Dal 2011 Valeria ha anche aggiunto ai suoi impegni l’attività di scrittrice: ha debuttato con il libro Kitchen in love, seguito da Fulminata dall’amore, Love Toys, La scelta di Samir, scritto per sostenere la onlus Cini – Child in need institute, e Gocce di veleno, pubblicato nel 2016. «”Da oggi voglio essere felice” è uscito lo scorso gennaio ed è frutto di un incontro con il Caf, il Centro aiuto famiglia di Milano, proprio a seguito del riscontro avuto da Gocce di veleno – riprende Valeria -. Volevo continuare ad occuparmi di violenza, ma questa volta dalla prospettiva di chi ha avuto traumi infantili non risolti, che spesso sono alla base di atti violenti praticati e subiti da adulti. Ho scelto così di fare la volontaria al Centro aiuto famiglia, che ha tre comunità per i bimbi piccoli e due per gli adolescenti. I responsabili del centro mi sono stati molto di supporto, ma tutto ha fatto lo stare con i bambini, condividere i loro pianti e le risate. Ed è stata una bambina con tanti problemi al rientro da scuola a dire la frase che ora titola il libro. Nessuno sa che fine fanno questi piccoli, parliamo di 30mila bambini in Italia, e volevo parlare anche delle famiglie affidatari. Nino, il protagonista del romanzo, è un bimbo immaginario frutto della mia osservazione diretta, e include la vita di una mamma tossicodipendente che non può prendersene cura. Il tema è tosto ma il libro apre alla speranza, perché se ben curati questi bimbi possono stare bene. Ed è nostro dovere prendercene cura per evitare che abbiano grandi problemi in futuro.»

L’impegno con Child in need institute, che ha la sede italiana a Verona, ha invece una storia più lunga, che risale ancora a quando Valeria ebbe i suoi figli partorendo in casa e, per questo, facendosi accompagnare dal centro Il Melograno. «Dopo aver partorito mi sono avvicinata a questa realtà, che costruisce una rete tra mamme italiane e indiane – spiega -. Spesso le donne in India sono malnutrite, mettono al mondo bambini sottopeso destinati a tanti problemi, se riescono a crescere. “Adotta una mamma e salva il suo bambino” è nato così: aiutiamo ancora oggi mamme e bimbi indiani in difficoltà. E l’emergenza Covid-19 significa oggi soprattutto morire di fame, perché moltissimi lavoratori a giornata non possono uscire a lavorare per il lockdown. Noi con 20 euro possiamo mantenere 5 persone per un mese.»

Non ha difficoltà a definirsi femminista, «anche se non capisco perché sembri quasi di insultare le persone – sottolinea Benatti -. Invece dobbiamo dire grazie alle femministe degli anni Settanta per i traguardi fondamentali che abbiamo raggiunto da molto poco tempo. È chiaro che il patriarcato ha chiuso le porte alle donne e che c’è ancora tanto da fare: ci pagano meno, c’è il tetto di cristallo, gli analisti sono tutti uomini, a noi spesso lasciano sui giornali i pezzi di colore su famiglia, l’amore, come aveva analizzato Michela Murgia. Sono ancora gli uomini a spiegare il mondo alle donne, come non ci fossero esperte che possano dare il loro punto di vista. Basta guardare le task force istituite per affrontare l’emergenza Covid-19: l’80 per cento sono uomini. Invece credo che più donne al potere possano fare bene allo sviluppo, poiché abbiamo cura del mondo, possiamo dare una svolta ecologica, sostenibile al pianeta. In genere siamo anche meno attratte dal potere, sebbene ci siano pure donne odiose e guerrafondaie, ma dovremmo avere il 50 per cento di rappresentanza ovunque. Dateci la chance di governare, probabilmente le cose saranno diverse, visto che ora gli uomini ci hanno portati al disastro.»