Le recenti elezioni politiche in Irlanda hanno avuto un esito che, seppur in parte anticipato dai sondaggi, lascia un minimo di stupore, per la forza dei numeri ma soprattutto per le prospettive che si aprono di un cambiamento interno e non solo.

Mary Lou McDonald

Alla conta dei seggi, appare evidente quanto dichiarato da Mary Lou McDonald, leader di Sinn Féin commentando il successo del suo partito: «Abbiamo fatto una rivoluzione. Non esiste più il sistema dei due partiti di centro-destra che per anni si sono alternati alla guida del Paese». In effetti, i numeri parlano chiaro: Fianna Fàil 38 seggi, Sinn Féin 37 e Fine Gael 35. Quest’ultimo perde 15 seggi rispetto al 2016 e, pur mantenendo il premier in carica fino alla nomina di un nuovo esecutivo, appare come il vero perdente delle consultazioni. Sarà complicato formare un governo, specialmente se i due partiti storici resteranno fermi sulle posizioni pre-elettorali, che definivano impensabile una coalizione con il partito di sinistra, adducendo come motivazioni la sua natura repubblicana e la vicinanza con le flange della Irish Republican Army (IRA).

Sembra però che “Noi Stessi” – come si tradurrebbe Sinn Féin in italiano – ne abbia fatta di strada dalle difficili commistioni tra la politica e il suo braccio militare, con i suoi leader storici, come James Connolly, Eamon de Valera o Michael Collins, tutti attivamente coinvolti nella guerra d’indipendenza e nella guerra civile che si chiuse con il trattato del dicembre 1921 e la divisione dell’isola in due stati, uno indipendente e l’altro sotto egida britannica.

Questo doppio ruolo, politico e militare, si ritrova negli esponenti di spicco del partito in tutta la storia sanguinosa del Paese, fino ai più recenti Troubles, nome con cui vengono definiti i quasi trent’anni di “disordini” in Irlanda nel Nord; gli anni turbolenti della resistenza armata, degli attentanti e delle rappresaglie, della divisione tra cattolici e protestanti, la separazione tra quartieri e tra città, le troppe morti innocenti. Il triste tempo dei ragazzini con una pallottola nella schiena, lo sciopero della fame di Bobby Sands, le manifestazioni soffocate dai lacrimogeni e le bottiglie incendiarie fatte in casa, le sassaiole. Gli anni della seconda, terribile Bloody Sunday, la domenica di sangue nella città di Derry, cantata anche dagli U2.

Derry nel 1969

Nel 2018, qualcosa sembra cambiare: al posto del leader storico Gerry Adams, i cui legami con l’IRA sono più di un sospetto, ancorché mai ufficialmente confermato, viene nominata la signora McDonald, personaggio di distacco: geografico, trattandosi di una dublinese di classe media, ma anche fisico, non avendo lei alcun legame con le azioni paramilitari di quegli anni. Nei vent’anni dall’accordo per la pace in Irlanda del Nord, siglato il Good Friday del 1998, Sinn Féin è riuscito a liberarsi del pesante retaggio armato e a proporsi come un partito di rottura rispetto alle politiche di austerità cui il Paese è stato sottoposto dai precedenti governi. Si presenta ai giovani elettori, che dei Troubles hanno soltanto letto nei libri, con un programma di equità sociale, facendo leva anche sul malcontento generato dai tagli alla spesa pubblica (la UE, è giusto ricordare, pretese certe manovre in cambio degli aiuti per la crisi finanziaria del 2011).

Nonostante la crescita dell’economia superi ora largamente quella di tutti gli altri paesi europei, con un PIL in crescita di quasi il 6%, gli irlandesi protestano per le lunghissime liste d’attesa per esami medici, gli ospedali al tracollo e i pazienti lasciati nei corridoi, nonché il triplicarsi degli affitti e un aumento vertiginoso dei senza-tetto: si parla di oltre 40.000 persone nei ricoveri sorti un po’ ovunque, su una popolazione totale di 4 milioni. Sinn Féin, ma anche il partito Green, che ha raggiunto il miglior risultato di sempre, hanno cavalcato la delusione degli elettori dei partiti di centro-destra e potrebbe anche riuscire a superare le logiche aritmetiche del Dàil Eireann, il Parlamento irlandese, creando una coalizione con le realtà minori. Non sarà facile, visto che servono 80 seggi sicuri per garantire la governabilità, ma con quasi un quarto dei voti di prima preferenza è doveroso almeno fare un tentativo.

La signora McDonald si mostra fiduciosa di poter diventare Premier, dichiarando esultante alla stampa: «Potrei ben essere io il prossimo taoiseach! Gli elettori hanno chiesto una politica diversa, nuova, un governo migliore. Sinn Féin sarà al centro di tutto questo». Comunque vadano le cose, il forte vento di cambiamento che spira sull’isola di smeraldo potrebbe trascinare con sé effetti forse inattesi da molti, ma sicuramente non insperati dai diretti interessati. Parliamo della questione dell’Ulster, come viene chiamata dal Regno Unito la regione nordirlandese sotto il suo controllo.

i risultati elettorali

McDonald non si nasconde certo, dichiarando alla BBC che «ci si deve confrontare con una nuova generazione in Irlanda del Nord, con il fallimento ripetuto dei partiti unionisti filo-inglesi e con gli effetti che avrà sulla gente l’abbandono della UE da parte del governo britannico; abbiamo una direzione da seguire e chiederemo all’Europa di sostenerci».

In effetti, l’accordo del Good Friday ammette la presenza inglese “solo sulla base del consenso” e prevede la possibilità di verificare tale consenso “attraverso un referendum popolare per l’unità nazionale”. Si profila quindi, all’orizzonte, quella riunificazione dell’isola tanto invocata e voluta dai repubblicani da rischiare e fin troppe volte costare la loro stessa vita. Anni sanguinosi di lotta, di resistenza, di violenze e rappresaglie alla fine vendicate, se possiamo usare questo termine, in modo totalmente legale e legittimo. Quello che la rivoluzione delle armi non è riuscita a ottenere, potrebbe essere raggiunto dall’ordinata e pacifica marcia verso il referendum: l’Irlanda potrebbe essere finalmente unita.

Non sarà domani, forse neanche quest’anno, ma qualcosa si sta muovendo. E non dimentichiamo che in Irlanda del Nord, Sinn Féin è già politicamente importante, governa da anni in una coalizione di scopo con il partito filo-britannico DUP. La delusione percepibile per la Brexit potrebbe avere effetti dirompenti anche sui sopravvissuti unionisti; non tutti la pensano come il deputato DUP sir Donaldson, che riduce la portata del risultato di Sinn Féin a «Meno di un quarto di voti nella Repubblica e meno di un un quarto da noi; non sembra esattamente un mandato forte».

Come dicono gli U2 nella loro splendida canzone dedicata alla domenica di sangue, “the battle’s just begun” – la battaglia è appena cominciata. Fa però sorridere il pensiero, così black humour inglese, difficile da spegnere per chi segue da tempo la vicenda, che sia stato proprio Boris Johnson, un premier inglese, a dare la spallata definitiva al processo per la riunificazione.

Brindiamo alla nuova, pacifica lotta, amici irlandesi. Slàinte mhaith !