Ci mancava, in questo gennaio tribolato, il ritorno di Bernardo Gui, l’inquisitore del Il nome della rosa, che nell’A.D. 2020 riappare nelle spoglie di Pico, il cane antidroga. A Verona il piano di contrasto agli stupefacenti prevede controlli antidroga sui bus e nelle classi e test, previa autorizzazione delle famiglie, per i ragazzi. Cose che, per la verità, erano già state fatte qualche anno fa nella città scaligera e ancora oggi in tutta Italia.

L’obiettivo non è fare campagne persecutorie nei confronti di ragazzi, scuole e famiglie” è il messaggio istituzionale. Messaggio che, peraltro, è stato inteso proprio in questi termini sia dalla Rete degli studenti Medi, che da FB dichiara che questa strategia contribuirà a far sentire gli studenti “come dei criminali da controllare e a vivere in un clima di terrore che non aiuterà chi si trova in difficoltà, ma contribuirà a farlo allontanare maggiormente dalle istituzioni” e pure dai rappresentanti di vari licei veronesi, sentiti da L’Arena, nelle dichiarazioni dei quali traspare la necessità di un progetto più ampio. Il problema ovviamente esiste, e non è un caso che sembrerebbero le famiglie dei ragazzi delle scuole superiori di primo grado (=medie) le più propense ad accettare i test, anche forse per la non punibilità (vista l’età) dei figli. Diverso il discorso alle superiori. Mi diceva una ragazza qualche giorno fa: «Se voglio farmi un canna me la faccio, chi si credono di essere?», ma anche altri hanno segnalato il senso di propaganda politica dell’iniziativa. Insomma, se l’obiettivo della comunicazione istituzionale era coinvolgere, rendere consapevoli e rassicurare, è stato fallito in pieno.

Perché il punto è questo: possibile che la risposta sia solo la repressione? Nemmeno una domanda sulle cause? La droga (come l’alcool, peraltro…) è una piaga da combattere certo, ma la sola repressione, lo insegna la storia, fallisce sempre. Partiamo da alcune affermazioni che potrebbero stupire gli adulti: i nostri ragazzi sono stressati. Sembra incredibile, ma è così. Stressati, con attacchi di panico, anoressici, bulimici e molto altro. E soli. La droga è una soluzione? Certo che no; ecco, magari avrebbe aiutato non chiudere i negozi “cannabis light” che sottraevano fette di mercato alla criminalità e garantivano un minimo di qualità, ma non sia mai che si tocchino gli interesse di quelli che comandano davvero.

Ma c’è un’alternativa a questo Stato carceriere (per il tuo bene, s’intende)? Qualche tempo fa si segnalava come l’Islanda avesse affrontato il problema con questi risultati: “Dal 1998 al 2016, la percentuale di giovani, compresa tra i 15 e i 16 anni, che abusa di alcol è scesa dal 48% al 5%, mentre quella che fuma cannabis dal 17% al 7%. Anche i fumatori di sigarette sono calati drasticamente: dal 23% al 3%”. Sono dei maghi alchimisti, gli islandesi? No. Hanno impostato una strategia di ampio respiro: basta pubblicità ad alcolici e sigarette; attività extrascolastiche pomeridiane, sportive e artistiche, anche per i ragazzi poveri (con sussidi appositi); coprifuoco alle 22 d’inverno e mezzanotte d’estate; più tempo in famiglia (e, quindi, orari lavorativi più flessibili). Per un progetto come questo servono soldi, energie, tempo. Serve che la routine quotidiana permetta alle famiglie di stare insieme (dove sono finiti, su questa questione, i difensori della famiglia tradizionale?). Serve recuperare la parola, che è la medicina dell’anima per eccellenza. Siamo disposti a rivedere le nostre priorità? Certo che no. Meglio, allora, il simpatico pastore tedesco Pico che ti sgagna i polpacci se ti fai le canne e la schedatura al contrario (non vuoi fare il test? Allora sei un cripto-drogato!). Così, quando saranno grandi, i nostri ragazzi potranno essere sani alcolisti o sani dipendenti di farmaci che normalizzano l’umore perché, diciamoci la verità, basta vedere in che stato è la nostra scuola pubblica per capire quanto ci importa dei giovani.