Giunge anche a Verona al Teatro Nuovo, all’interno della rassegna “Il Grande Teatro”, lo spettacolo Si nota all’imbrunire, solitudine da paese spopolato, in scena fino a domenica 19 (qui i dettagli), scritto da Lucia Calamaro e interpretato da un Silvio Orlando in splendida forma.

La Calamaro, attrice e regista laureatasi alla Sorbona di Parigi in Arte ed Estetica, affronta il tema di ciò che lei definisce solitudine sociale. Afferma l’autrice: «Essere isolati dalla società è un male oscuro e insidioso, tutti noi infatti, in quanto essere umani, abbiamo bisogno del contatto con gli altri, un bisogno che ci permette di sopravvivere.»

La mise en scène è semplice ed essenziale e riproduce l’appartamento del protagonista, Silvio Orlando, un padre di famiglia che, dopo la morte della moglie, si è rifugiato nel suo mondo senza più contatti con i suoi cari e con l’esterno. Incapace ormai di qualsiasi slancio comunicativo ed emotivo si scontra con i figli che si recano a trovarlo in occasione del suo compleanno e dell’anniversario della morte della consorte. L’incontro farà scattare le insofferenze, le idiosincrasie di un personaggio che si muove spaesato nel suo appartamento. La recitazione per sottrazione dell’attore napoletano è sublime e si fonda sull’ignavia: un umorismo acre pervade i rapporti con i figli, un attacco continuo, la non accettazione delle loro scelte di vita e dei loro comportamenti. Si ride e si sorride ma sempre amaramente, la resa è sempre e comunque tragicomica: in filigrana ritroviamo lo spessore di alcuni personaggi di Samuel Beckett o di Ionesco, quel teatro dell’assurdo cosi ben conosciuto dalla regista.

L’immobilità di Orlando nella sua staticità, nelle sua volontà rinunciataria di stare sempre seduto, che gli viene più volte contestata dal figlio, ricorda il protagonista di Finale di partita di Beckett incapace di reggersi in piedi. I figli, anche loro segnati, colpiti dalle continue critiche e mancanza d’amore e di rispetto del padre, tentano di riportarlo alla realtà, alla vita ma inutilmente. Tutto lo spettacolo si riassume nelle battuta del protagonista: «Io per me desisto». Una scelta drammatica consapevole, da una parte, ma che denota l’incapacità, l’inettitudine (come il protagonista della Coscienza di Zeno di Italo Svevo), la malattia dell’incomunicabilità. Si esce dalla rappresentazione avendo riso amaramente di un personaggio a cui potremmo assomigliare nel futuro e tutto ciò ci impaurisce e ci pone inquietanti quesiti.

Tutte le foto sono di Maria Laura Antonelli