Il primo disco che acquistai (correva l’anno 1983) fu “Avalon” dei Roxy Music. La band all’epoca era già sciolta e non si riformò mai più se non per una serie di tour estemporanei. La formazione nasceva nel crogiolo degli anni ‘70, in un magma incredibilmente vitale e creativo che, tra gli anni ‘60 e ‘70, partendo dalle isole britanniche, avrebbe completamente rivoluzionando la cultura musicale europea. Opinione di chi scrive, infatti, è che, se si eccettuano le esperienze musicali di Lou Reed e i Velvet Underground, tutte le rivoluzioni musicali della seconda metà del ‘900 partono dal UK. In questo clima straordinariamente fertile nei primi anni ‘70 un diplomato alla scuola d’arte (particolare da tenere bene a mente) di nome Bryan Ferry fonda la band, dandole da uno dei più bei nomi della storia della musica: “Roxy Music”. Ferry sostenne sempre che l’ispirazione gli era venuta cercando qualcosa che potesse tenere assieme la parola “Rock” con “Sexy”. I membri originali, oltre a lui, erano il chitarrista Phil Manzanera, il sassofonista Andy MacKay, il bassista Graham Simpson, il batterista Paul Thompson e un signore di nome Brian Peter George St. John le Baptiste de la Salle Eno, conosciuto come Brian Eno, agli effetti sonori, che successivamente passò alla storia come l’inventore della musica “ambient” e che fu membro della band per i primi due dischi: “Roxy Music” e “For Your Pleasure”.

Brian Ferry

Seppur attorniato da musicisti di prim’ordine, Bryan Ferry era il deus ex machina della band, della quale era l’autore di tutti i testi e le musiche, il cantante e front man, oltre che il pianista. E, altro particolare da ricordare, l’artista visuale e autore delle cover dei dischi e dell’estetica generale della band. Infatti, nessuna analisi dei Roxy Music e di quello che hanno rappresentato, e tutt’ora rappresentano per la storia della musica contemporanea, può tralasciarne il lato estetico, importante alla stessa stregua di quello musicale. Musica ed estetica (o estetismo), arte e vita. Tutto si mescola nei Roxy Music e viene distillato in un’originalissima sintesi che è stata catalogata come “art–rock”.

La prima fase della carriera della band, corrispondente ai primi due album, è caratterizzata da un metodo compositivo assai originale, che deve molto alle esperienze artistiche dei college o della “Trouvaille” che furono sperimentate dalle avanguardie del 900. Le canzoni, infatti, più che brani unitari, sono trattate come assemblaggi di elementi diversi. Lo sviluppo dei pezzi è imprevedibile. Iniziano in una maniera, cambiano radicalmente percorso, tornano al motivo iniziale, si troncano improvvisamente. Sono molti brani in uno. Ferry, durante le interviste, ha dichiarato di essere stato assai interessato a comporre musiche che fossero collage di motivi diversi, e in effetti nei primi due dischi dei Roxy Music la forma-canzone caratterizzata dalla sequenza strofa – ritornello – strofa è completamente sovvertita e sostituita da un montaggio di elementi anche assai diversi tra loro. Il tutto spruzzato da una dose massiccia di glamour. Bryan Ferry si esibiva in smoking attorniato dai membri della band che indossavano costumi di scena. Rimane storica la foto della band con indosso degli originali vestiti che è nell’inner cover del primo album, il quale significativamente in copertina ritrae una modella in lingerie languidamente sdraiata. Ma il mondo sfavillante dei Roxy non deve trarre in inganno, il make up di gran classe in realtà dissimula una realtà che è assai più inquietante e oscura di quanto non lasci a vedere.

Manifesto del periodo è “In every dream home san hearthache”, contenuta in “For your Pleasure”, la quale con uno dei testi più originali della musica contemporanea racconta la torbida storia d’amore dell’io narrante, un dandy decadente, per un sexy toy, una bambola gonfiabile. Eccezionale la musica. Ferry salmodia il testo su un tappeto melodico costituito da accordi di un organo che si dipanano con un andamento spiraliforme, ai quali si sovrappongono qua e là come tele di ragnatela lugubri accordi melodici della chitarra di Manzanera. Fino all’esplosione finale, nella quale l’andamento lento e oscuro della melodia cantata viene completamente sovvertito dall’esplosione tellurica dell’assolo di chitarra accompagnato dalle poderose rullate di batteria di Thompson. Una teatralizzazione della musica che suggerisce un finale drammatico per una storia decadente e triste.

Una parte della critica musicale dopo primi due album ha ritenuto esaurita la carica rivoluzionaria della band, forse ascrivendo le sue intuizioni innovative all’opera di Brian Eno, il quale lasciò la band dopo appunto i primi due album, condizionata dallo spessore della successiva carriera del musicista. Ma è un giudizio estremamente frettoloso che non tiene conto del fatto che i Roxy Music furono la creatura di Ferry e soprattutto dello spessore dei lavori della band successivi all’uscita di Eno che non hanno nulla da invidiare al fulminante “uno –due” degli LP degli esordi. “Stranded”, il terzo album e il primo senza Brian Eno in formazione è anche il primo in cui Manzanera e MacKay compaiono come coautori con Ferry di alcuni brani. Meno sperimentale dei primi due lavori, quello che perde in originalità compositiva lo guadagna in fruibilità. Sembra quasi che Ferry e compagni abbiano sottoposto a un processo di affinamento e levigatura i brani che vengono resi più essenziali rispetto ai patchwork musicali che li avevano preceduti. Contiene dei grandi esercizi di stile. “Amazona” con il suo andamento “funky” e sinuoso che espressionisticamente evoca le anse del fiume  e i continui cambi di ritmo che si concludono in un torrenziale assolo di chitarra che scorre come l’acqua di una cascata potrebbe benissimo stare in entrambi i due folgoranti lavori degli esordi. Sigillo sull’opera, il sontuoso artwork con la modella ritratta sdraiata esausta come dopo un travolgente orgasmo.

Brian Ferry

La band si avvia sulla strada che ne farà la principale interprete di un genere di musica soffuso e raffinato e di Ferry, l’unico vero dandy della musica moderna, il menestrello del jet set che sale sul palco in smoking, interprete di uno stile di vita apparentemente all’insegna dell’edonismo e del piacere  ma che come abbiamo visto nasconde le inquietudini sotto una superficie patinata. In questa seconda fase della loro carriera, paradossalmente, i Roxy Music saranno molto più influenti di quanto non lo fossero stati con il folgorante esordio. Infatti, tutta l’ondata del pop levigato e raffinato degli anni ‘80 ha pagato un forte debito all’esperienza musicale di Ferry e compagni. Band come i Duran Duran, o gli Spandau Ballet sarebbero inconcepibili senza l’esperienza d’avanguardia dei Roxy. Qualcuno a sentire nominare le band pop degli anni ‘80 per eccellenza potrà storcere il naso, ma la critica musicale più avveduta ha già rivalutato da lungo tempo lavori come “Rio” dei Duran. E comunque, piaccia o meno ai cultori dell’underground, il nostro immaginario musicale si è fondato sul soft pop degli eighties, che affonda le sue radici nei lavori seminali della band di Ferry e compagni.

 “Avalon” del 1982 è il canto del cigno della band, ormai ridotta a Ferry, Mackay e Manzanera, ma qualitativamente si colloca allo stesso livello del monumentale “For your Pleasure”. La sperimentazione degli esordi lascia il posto a una musica soffusa, notturna, più essenziale nella forma di quanto non lo fossero le complesse partiture dei primi due album. Quello che si perde in complessità formale si acquista in profondità musicale. I brani sono stratificazioni tenui di strumenti e voce che si amalgamano in un mix soffuso, da sorseggiare come un vino raro. Musiche che evocano il crepuscolo e la notte. Le luci della città, letti sfatti dopo che si è fatto l’amore, bicchieri vuoti e sciarpe di seta attorno al collo. Fumo di sigaretta che sale in stanze buie. Perle, oltre le celeberrime “Avalon”, uno dei lenti più belli mai stati scritti, e “More Than This”, il pezzo finale “True to Life”, ballata notturna costruita sul ritmo pulsante dei sintetizzatori in cui il dandy medita con amarezza sulla sua vita. Stupenda “While my hearth is still beating” con il perfetto amalgama tra sax e percussioni “afro”.

Ideale trait di union tra i Roxy Music e la carriera di Ferry solista è il cupo e notturno “Boys and Girls” del 1984 che contiene la celebre “Slave to Love”, il primo lavoro dell’ormai ex leader pubblicato come solista dopo lo scioglimento della band. Come una corrente che prosegue senza discontinuità è difficile separare la fase finale della carriera dei Roxy Music dalla produzione successiva di Ferry, tanto i due periodi si assomigliano fino a essere indistinguibili. Ma questa è un’altra storia…