Rapper, producer, activist, business man, a volte stylist, scrittore e attore.
Si definisce così qualche settimana fa sul suo profilo Facebook, chiedendo ai suoi fan di scegliere la versione preferita.

Tolulope Olabode Kutnasce, in arte Tommy Kuti, nasce in Nigeria 29 anni fa e quando ha appena due anni, con i genitori arriva in Italia, per la precisione a Brescia. Cresce, poi, a Castiglione delle Stiviere vicino Mantova ed è un rappresentante delle seconde generazioni. Laureatosi a Cambridge in Inghilterra ha deciso di rientrare nella sua patria, l’Italia.

Sarà a Verona il 14 novembre – nell’ambito del Festival del cinema africano – per presentare il suo libro “Ci rido sopra. Crescere con la pelle nera nell’Italia di Salvini” (edizioni Rizzoli), un titolo che la dice lunga su quello che Tommy pensa e dice.

Kuti a Pechino Express con il compagno di viaggio.

Diventato famoso come rapper, ha avuto una spinta nella carriera grazie alla sua partecipazione l’anno scorso alla fortunata trasmissione “Pechino Express”, ma non ha bisogno di visibilità per dire quello che pensa.

«Esulto quando segna super Mario» è uno dei primi versi di “Afroitaliano” il brano che lo ha portato di più alla ribalta e non è un caso che di Balotelli, poi, sia diventato anche amico.

«Siamo in una fase delicata per l’Italia – ci racconta Tommy raggiunto al telefono nella sua casa milanese – gente come me e Mario potrebbe pensare ai cavoli propri ma è, invece, importantissimo che parliamo e diciamo la nostra. Il tema del razzismo negli stadi è scioccante secondo me, ritengo sia assurdo che in Italia sia una battaglia fatta solo dai giocatori di colore, come Mario. Se lui non avesse tirato quella palla non si sarebbe fatto questo clamore e discusso del tema… di certo c’è che gli altri non risolvono i problemi per noi.»

Mario Balotelli con la divisa della Nazionale

Tommy ha le idee chiare sulla vicenda che tiene scacco da giorni il mondo del calcio ma non solo «trovo assurdo il silenzio, ad esempio, su questa vicenda degli altri giocatori e la classe politica non ha colto l’occasione, per approfondire il tema, non hanno fatto proposte ma si sono concentrati su Balotelli, sul suo gesto e sui presunti cori.»

Una sorta di occasione sprecata, dunque. «Si penso di si. Inoltre penso che in Italia in generale non si dia tanta voce agli stranieri, quindi io continuerò a dire la mia. Sono un comunicatore, vado anche nelle scuole a parlare di razzismo… non so se scriverò ancora libri, ma continuerò di sicuro a comunicare.»

Copertina del libro

Il libro che porta in giro da qualche mese nasce dai social. «Da sempre scrivo quello che penso e alcune case editrici mi hanno cercato chiedendomi di trasformare i post e le canzoni in questo libro – racconta Tommy – lo spunto poi me lo ha dato mio padre di cui ho trovato un diario che lui ha scritto quando siamo arrivati in Italia e così ho voluto raccontare un viaggio transgenerazionale»

Mi chiedo e gli chiedo come era l’Italia di oltre 25 anni fa, quella vissuta dai suoi genitori immigrati «la paura per l’immigrato, per lo straniero, allora era indefinita, c’era più curiosità che paura. Oggi invece quella paura si è definita e disegna una immagine negativa. Oggi quelli della mia età e della mia origine se ne vanno soprattutto in Inghilterra dove anche io sono andato a studiare.»

Però lui è tornato «perché voglio fare qualcosa qui e non vedo altri della mia età che si impegnano a raccontare la situazione, una situazione che vede il nostro Paese totalmente privo di “alfabetizzazione alla integrazione”.»

Tommy a Verona ci ha anche vissuto, quindi il clima scaligero lo ha respirato in prima persona. Per due anni ha collaborato con Afriradio, la web radio dei Comboniani e con il Festival del cinema africano che ora lo ospita con il suo libro. «Verona, si, bella città ma ricordo un episodio significativo: dovevo registrare delle interviste alla gente in piazza Bra, una sorta di vox populi e nessuno dei veronesi si fermava, perché pensavano tutti che volessi vendergli qualcosa. Molti mi trattarono con arroganza. Ho proprio respirato aria di razzismo… di contro gli stranieri, tanti turisti, invece si prestavano normalmente. E’ un problema serio, e non credo che a Verona, come nel resto d’Italia, sia cambiato molto, c’è tanto da fare ancora.»

E forse la chiave di volta sta in un’altra frase della sua canzone più nota e dove un Fabri Fibra in versione psicologo chiede a Tommy se si senta più italiano o africano. E lui risponde «Afroitaliano, perché il mondo è cambiato.»