Olga Tokarczuk oggi ha ricevuto il Premio Nobel per la Letteratura insieme a Peter Handke, ma lo scorso giugno era a Verona per i dieci anni delle Accanite Lettrici.

Ho conosciuto e intervistato la scrittrice polacca in occasione del Festival del decennale dell’Associazione Botta&Risposta e del Club delle Accanite lettrici e Accaniti Lettori, e avere creduto nel suo lavoro con questo leggero anticipo sul Nobel fa capire quanto il lavoro svolto dal nostro club crei un importantissimo legame tra la nostra provincia e il mondo.

È quindi stata una gioia per me oggi leggere la notizia che Olga Tokarczuk ha vinto, assieme a Peter Handke, il Premio Nobel per la Letteratura per il 2018, (l’anno scorso il riconoscimento non era stato assegnato a causa di una serie di accuse di molestie sessuali che ha colpito l’Accademia, ndr) con la seguente motivazione: «per la sua immaginazione narrativa che con enciclopedica passione rappresenta l’attraversamento dei confini come forma di vita».

Olga Tokarczuk, ultima a destra, al decennale delle Accanite Lettrici lo scorso giugno in Valpolicella

Nata nel 1962, ha studiato psicologia a Varsavia, è scrittrice e poetessa tra le più acclamate della Polonia e la sua opera è tradotta in diversi paesi. Ho letto che ha potuto ottenere il passaporto e cominciare a viaggiare anche all’estero solo all’età di 28 anni. Questo giugno, si trovava in Italia perché finalista al Premio von Rezzori, ma l’anno precedente avevo parlato di Olga con la sua bravissima traduttrice, Barbara Delfino, e con la direttrice Bompiani, Beatrice Masini, al laboratorio Traduttori in Movimento a Fosdinovo, e incuriosita ho immediatamente colto l’occasione per invitarla in Valpolicella e alla nostra festa.

Quando finalmente è arrivata alla serata in Villa Bassani a Sant’Ambrogio, ha parlato con il pubblico con grande generosità e coinvolgimento. Credo che riportare qui una parte delle parole che ha condiviso con noi sia il modo migliore per rendervi partecipi del pensiero e della scrittura di una grande donna. Al centro del dialogo il suo ultimo libro pubblicato in Italia, I Vagabondi, edito nel 2007 in Polonia e tradotto quest’anno in italiano. Già l’edizione inglese le valse l’International Man Booker Prize nel 2018, il prestigioso premio letterario assegnato nel Regno Unito ad autori stranieri tradotti in lingua inglese e che premia in egual misura il lavoro dell’autore e del suo traduttore. I Vagabondi è un libro letteralmente composto da frammenti, e narra di viaggi, della storia di una donna che scompare con il figlio durante una vacanza in Croazia, di come la sorella di Fryderyk Chopin porti il cuore del fratello da Parigi a Varsavia, per seppellirlo a casa; di Soliman, che rapito bambino dalla Nigeria e portato alla corte d’Austria come mascotte, alla morte venga impagliato e messo in mostra, di una setta di nomadi slavi.

Mentre leggevo I Vagabondi, mi sono spesso chiesta se la sequenza della narrazione fosse frutto di una ricerca particolare…

«Sono convinta che la storia non vada raccontata in maniera lineare. Credo che non si riesca più a descrivere così il mondo. I filosofi del ventunesimo secolo sostengono che la realtà sia una rete di livelli collegati tra loro ed è così che ho voluto scrivere questo libro, come dei sistemi di eventi.Abbiamo una narratrice di viaggio, ma le varie esperienze che fa si uniscono tramite associazioni, sincronie, somiglianze, e ognuna chiama l’altra. Parlarne in questi termini può respingere il lettore, ma in realtà mi sembra che questo libro si scriva molto bene. Questo è un libro che si può lasciare in aeroporto per il successivo viaggiatore, che può così leggerne un frammento.»

Raccontare storie ci dà il potere di portare ordine nel caos reale?

«Oggi è molto difficile descrivere il mondo. Ogni scrittore si trova di fronte alla scelta se fare finta che questo mondo non esista oppure se decidere di trovare un proprio modo personale di raccontarlo, forse rivoluzionario, forse scandaloso. Quando ho scritto questo libro ho narrato questo nuovo mondo vissuto da persone che viaggiano oggi, turisti, immigrati, nevrotici. Ho cercato forme di racconto nuove. Nessuna di quelle che conoscevo mi sembrava appropriata.»

Eppure I vagabondi è un libro che ti spinge a viaggiare tra le pagine, che sembra fuori dal tempo…

«Quando l’ho presentato al mio editore polacco, pensava fosse uno schizzo, una bozza. Ma io ho risposto: “Tranquilli, pubblicatelo”. Ha avuto molto successo, ha vinto i premi più importanti polacchi proprio per la sua forma. Viviamo in una sorta di crisi del romanzo tradizionale. Da una parte abbiamo lettori abituati alla forma tradizione, tipo la Ferrante. Ci sono diversi luoghi del mondo dove questa forma non regge, non è possibile, mentre è adatta una forma frammentaria. Nel fare zapping in tv incappiano in una sorta di rete di diversi fenomeni che non hanno nulla a che fare con la linearità. È un periodo interessante per la letteratura che si dovrà adeguare a questa nuova realtà.»

Roberta Cattano, a sinistra, in dialogo con Olga Tocarczuk

Nel libro definisci la scrittura “una psicosi controllata, una paranoia… [che si affronta]… con un grembiule da macellaio e stivali di gomma, e in mano un coltello per l’eviscerazione. Dal seminterrato dello scrittore si vedono soltanto i piedi dei passanti, si sente il rumore dei tacchi.” 

«Io e mio marito viviamo in una casa al primo piano, è una sorta di piano rialzato dove scrivo e leggo. Per me è faticoso vivere in questo mondo introverso, dove conduco solo un dialogo interiore. C’è questa vita appartata e poi esiste la dimensione pubblica. Sono due lati della mia personalità che devono in qualche modo coesistere. Per scrivere ho bisogno di questa dimensione isolata, ma quando alzo gli occhi vedo davvero i piedi dei passanti.»

In patria sei una scrittrice molto acclamata, ma non ci sono mai stati dei problemi con i lettori in Polonia?

«Questo libro racconta la Polonia da un punto di vista diverso, ma non è stato criticato il testo quanto me. Ho ricevuto un premio, sono stata invitata in tv e in tre minuti mi hanno chiesto di parlare della storia polacca. Ho detto che è piena di cose spazzate sotto al tappeto. In particolare io detto che i polacchi non hanno il coraggio di parlare di antisemitismo, del sistema sociale e del colonialismo del XVII secolo. Queste dichiarazioni mi hanno causato diversi messaggi di odio sui social.»

Nei Vagabondi un personaggio dice: «Ho studiato psicologia in una grande e cupa città comunista, la mia facoltà si trovava in un edificio che durante la guerra era stato il quartier generale delle SS. Quella parte della città era stata costruita sulle rovine del ghetto… L’edificio della mia facoltà mi appare ancora oggi in sogno, con i suoi larghi corridoi che sembravano scavati nella pietra e spianati dai piedi della gente, gli spigoli consumati delle scale, i corrimano levigati, le tracce impresse nello spazio. Forse è per questo che si sentiva di continuo perseguitata dai fantasmi». Quanto di te c’è in queste parole?

«A volte i sogni diventano realtà e i fantasmi si incarnano per dare senso al mondo.»

Roberta Cattano