Tornare in laguna era un miraggio, un desiderio coltivato a lungo e sempre riacceso. Il senso dell’acqua, il dondolio del tempo, la musica del dialetto, il rumore del passo ripetuto dal ponte alla calle, il muro che finisce e si dilegua nei riflessi del rio, la scoperta ogni volta inaspettata di un telero, di un quadro sparsi in una chiesa oppure una trifora dietro la fondamenta.

E poi la voce dei campi, quei brandelli di vita vera che avevano segnato una buona parte della mia adolescenza e del mio percorso di studi mi avevano lasciato una eredità intrisa di nostalgia, la saudade che molti conoscono. A Verona ci sono arrivata per amore, e ci sono rimasta per più di 35 anni – d’altronde da mestrina, quindi non veneziana doc, abitare a Verona era già un privilegio. Grande e bella città, dall’altra parte del Veneto e a me completamente sconosciuta, adagiata con una sinuosa esse sull’Adige, costellata di ponti, ricca di storia e di ricordi nel gioiello incastonato del suo centro, Verona mi era sembrata all’inizio una valida alternativa alla laguna.

Un giorno, attraversando il Ponte della Vittoria per andare a scuola, l’Adige mi ha catturata: l’acqua era limpida e vivace, ricca di toni di verde in cui riconoscevo il mitico “verde Veronese” di veneziana memoria. In classe stavamo facendo proprio un’attività su Paolo Caliari detto il Veronese, in collaborazione con l’insegnante di arte. La gita a Venezia diventava quindi una necessità e uno stimolo.

Oggi, grazie ad un lungo percorso che vede come protagonisti il cammino spirituale, il mio compagno di vita e la passione per il cinema, il sogno si è realizzato: vivo al Lido di fronte a Venezia, giace proprio davanti a me immersa nel colore mutevole e intenso della laguna, perché, ora lo vedo, il colore dell’acqua cambia a seconda del tempo, dell’azzurro del cielo o del grigio delle nuvole, del sole forte o della foschia.

Il futuro incerto della Serenissima

Uno dei video, divenuti virali, che testimoniano
la presenza dei delfini in Canal Grande

In questo strano periodo tutte le nostre città sono state avvolte da un’atmosfera rarefatta, immerse in una vita lontana nel tempo, costrette a ritornare ad un ritmo fuori misura rispetto alla cosiddetta normalità. Tanto più per le città d’arte, e per le città che hanno fatto del turismo una valida ragion d’essere.

Venezia allora è diventata un simbolo, insieme a Firenze, Roma, Verona e tante altre. Ma Venezia pare aver superato il limite: dal tutto pieno al tutto vuoto il salto è stato preoccupante e sconcertante. Venezia senza turisti riscopre la sua vocazione e la sua venezianità ma, allo stesso tempo, sembra perdere la fonte principale del suo sostentamento. Di cosa vive l’antica Serenissima se non di turismo?

I problemi e i dilemmi sono talmente vari e vasti da lasciar senza fiato. La laguna però oggi riluce di colori incredibili, l’acqua dei canali è più trasparente, lo “stravedamento”, il profilo delle montagne che si vede nettissimo dietro la città in giornate limpide, è un fenomeno che si è ripetuto tante volte quest’anno, l’aria del mare profuma di iodio e, cosa rara, in Canal Grande sono arrivati i delfini che sono usciti in mare aperto verso San Nicolò. Ma se restano chiusi alberghi, ristoranti, bàcari, negozi, affittacamere, musei, mostre, gondole, motoscafi, come si vive?

Una città sempre più sola

Insomma Venezia torna ad essere un laboratorio di ricerca: una città che galleggia, insieme alle sue isole, in uno specchio d’acqua mista chiamata laguna, un unicum ambientale dove la gente abita e coltiva la vita, un equilibrio precario tra la natura originale e straordinaria e l’esigenza reale dei suoi abitanti di poter lavorare, guadagnare, avere una casa e render vitale Venezia e l’estuario. Una storia complicata che si riallaccia a scelte del passato, che hanno favorito a volte l’economia a scapito della situazione ambientale e del patrimonio artistico.

Una tra le tante questioni aperte è l’annosa situazione del trasferimento di molti veneziani di città e delle isole in terraferma, con la conseguente realtà di una città che, pur avendo un grande centro storico perché lo è tutta nell’insieme, subisce una diminuzione della popolazione residente per motivi economici. In poche parole, le case costano troppo compreso il mantenimento. La pandemia attuale ha quindi messo in luce in modo evidente il dilemma, non risolto, tra l’impatto ambientale su un patrimonio artistico millenario e l’esigenza della vita reale.

Lenzuola appese ad asciugare in una calle nel sestiere di Castello, foto di Cristiana Albertini

Grandi Navi, ancora lontani dal cambiamento

Un altro problema molto serio riemerso in questi giorni è quello delle “grandi navi”. All’inizio di aprile 2021 il Consiglio dei ministri approva un decreto legge, detto Decreto Draghi, dal titolo “Disposizioni urgenti in materia di trasporti e per la disciplina del traffico crocieristico nella laguna di Venezia”, un lancio del decreto entro 60 giorni e un’entrata in vigore di un bando di concorso per raccogliere idee, proposte e progetti di fattibilità e individuare soluzioni più idonee per realizzare punti di attracco, utilizzabili dalle navi adibite al trasporto di passeggeri superiori alle 40 mila tonnellate di stazza lorda, e anche navi porta container adibite a trasporti transoceanici.

Si attende un riequilibrio idrogeologico dei territori lagunari e manutenzione dei sistemi di sicurezza, soluzione attesa da anni anche dall’Unesco. Per il momento la soluzione cosiddetta transitoria viene così indicata:

togliere le grandi navi dal passaggio nel Canale della Giudecca e nel bacino di San Marco e farle circolare a Porto Marghera, attraverso il canale Vittorio Emanuele già esistente, raggiungibile dalla bocca di porto di Malamocco attraverso il canale dei Petroli.

Il canale Vittorio Emanuele ha bisogno di un lavoro di scavo e preparazione per essere usato dalle navi da crociera (la proposta era stata già stata fatta nel 2012 col decreto Clini-Passera).

Il 14 aprile il presidente del Veneto e il sindaco di Venezia annunciano che la compagnia di navigazione Msc conferma la scelta di ripartire da Venezia con due navi da crociera i primi di maggio.

Il decreto Draghi impone un cambiamento ma il processo è solo all’inizio e nulla è ancora pronto, quindi le cose restano così, le navi ripartono dalla Marittima, attraverseranno il canale della Giudecca e passeranno davanti a San Marco per uscire dalla bocca di porto a San Nicolò e poi in mare aperto.

I lavoratori del porto ricominceranno, le promesse fatte per far ripartire il comparto sono mantenute. E l’impatto sull’ecosistema di Venezia resta e sull’inquinamento pure, ma i passeggeri saranno accontentati. Il porto sembra salvo e così gli interessi.

La questione è complessa e dura da molto tempo: lo sanno bene quelli del movimento No-Grandi Navi che hanno cercato di coinvolgere la popolazione e fare azioni di cambiamento, per una maggiore consapevolezza del problema anche tra i veneziani stessi.

Un testo illuminante è il Libro Bianco dell’agosto 2014 dal titolo Venezia, la laguna, il porto e il gigantismo navale, a cura di Gianni Fabbri e Giuseppe Tattara, ambedue di Cà Foscari, un testo che ha fatto storia e che chiarisce molti punti.

Se la pandemia ci dovesse lasciar qualcosa spero sia una maggiore consapevolezza. Anche per questo, è bene dare voce ai veneziani, a quelli che abitano al Lido e sulle isole, ai mestrini, voci diverse di un territorio fuori dagli schemi. Per capire come agire per dare un futuro a questa città e, magari, migliorarla per le prossime generazioni.

Leggi anche: