Durante il Medioevo, e poi nel Rinascimento, le vicissitudini dei santi venivano tramandate oralmente, affrescate sui muri delle chiese a causa dell’analfabetismo delle masse. Rispecchiavano una società dominata dal codice etico della religione. In seguito proliferarono opere come la “Divina Commedia”, “Don Chisciotte”, fino ad arrivare a “Delitto e Castigo”. Il romanzo subì un forte mutamento dopo la rivoluzione francese, un po’ come l’opera lirica smise di parlare di principi, nobili e mise le persone comuni al centro delle narrazione. Dopo il romanzo fu il momento del cinema che parlò italiano nel secondo dopo guerra, quando il paese si stava ancora scrollando le macerie di dosso. Nei decenni seguenti portò in giro per il mondo l’idea di società partorita dagli Stati Uniti. Ogni tempo ha avuto la propria Arte che lo rappresentasse. Oggi spopolano le serie TV, prodotto di massa sdoganato a livello artistico, ormai comparato qualitativamente al cinema. Le puntate durano meno di un’ora, sono fruibili dunque anche da chi ha meno tempo a disposizione. Si possono guardare su tablet e portatili grazie a piattaforme digitali quali Netflix.

Una scena di Stranger Things

Tra queste, ad esempio, “Stranger Things”. Creata e in gran parte diretta dai fratelli Duffer, narra delle vicende di quattro ragazzini, di cui uno viene rapito da un mostro proveniente da un’altra dimensione, il sottosopra. Oltre a essere una storia in bilico fra horror e fantascienza mette in mostra il trauma di crescere, di confrontarsi col mondo degli adulti. La maggior parte dei suoi fan sfegatati si registra fra i trentenni, al massino quarantenni, cosa normale dato che affonda le proprie radici narrative negli anni ’80.

Le prime due stagioni sono notevoli, perché le storie dei ragazzini dell’immaginaria Hawkins fanno sognare e ricordare. Nella terza stagione, però, qualcosa si rompe: vengono inseriti diversi elementi poco assimilabili tra loro, le trame non si amalgamano completamente, alcuni aspetti rimangono nebbiosi anche dopo i titoli di coda. Abbastanza evidente invece è la cura per il vestiario, i riferimenti ai film dell’epoca, le location, gli oggetti e tutto ciò che di materiale si può riesumare. Il lato fisico, quello toccabile, nella serie non ha eguali. Eppure non si respira più l’aria da apocalisse nucleare tipica degli ’80, della Guerra Fredda, delle due super potenze schierate. I comunisti vengono rappresentati come macchiette e sinceramente non fanno paura. Insomma, si nota con forza nella terza stagione quanto sia difficile confrontarsi col passato.

Basti pensare al retrogaming, giocare con videogames di vecchie console quali Super Nintendo, Sega Mega Drive. Ognuno ricorda le immagini di “Donkey Kong Country” o di “Super Mario” quasi fossero in HD, ma, una volta acceso il Mini-snes, un emulatore uscito qualche mese fa e collegabile alle TV di ultima generazione, gli occhi lacrimano per i colori saturi e i contorni squadrati delle figure. Il passato non coincide mai con il ricordo del passato, perché il ricordo vince sempre. Tutti hanno bisogno del tempo, del suo scorrere, di andare avanti e imparare. Quando il tempo si ferma non è un bene, come ricorda “Del tempo e di altre illusioni”, l’albo di Dylan Dog in edicola proprio questo mese.

Lì il passato, il presente e il futuro si svolgono contemporaneamente e ogni sconfitta, ogni delusione, alla fine non insegna nulla. Le azioni non hanno conseguenze, se non in maniera transitoria. Uscendo da una stanza si potrebbe invecchiare di dieci anni, aver scordato l’amore della propria vita, per poi vederlo morire subito dopo. L’accettazione del passato è un tema focale nel mondo nerd, per i trentenni di oggi, cresciuti col mito della tecnologia e del benessere assicurato. Ora si  ritrovano invischiati nella precarietà e hanno deciso di rifugiarsi nella nostalgia. Così facendo si rischia di finire come la famiglia di “Non aprite quella porta”, che dopo aver perso il lavoro a causa dell’avvento dell’automazione, decide comunque di continuare a macellare, in casa propria, i giovani di passaggio.