Pietro Bianchi Fedrigoni: l’ennesimo cervello italiano all’estero.

Il veronese Pietro Bianchi Fedrigoni dieci anni fa, nel 2009, decise di cambiar vita. Dopo essersi laureato in Bocconi e aver lavorato come commercialista in vari studi di Milano, aveva maturato nel tempo la convinzione di aver bisogno di un cambiamento e così tornò in Bocconi, questa volta come docente in Accounting. Lì nelle aule e nei corridoi ha iniziato a respirare aria diversa, internazionale, tipica di un ambiente coinvolgente come quello accademico.

E così, da un giorno all’altro si mette in testa di fare il dottorato all’estero. «Scelta forse folle, per un trentenne, ma in quel momento della mia vita avevo bisogno di nuovi obiettivi e soprattutto nuove sensazioni» ci racconta. «Quello che facevo all’epoca mi piaceva e volevo approfondirlo e il dottorato diventava per me un passaggio obbligato, specialmente per fare un certo tipo di carriera accademica internazionale». A quel punto è diventato necessario scegliere la destinazione più adatta e per le coincidenze più incredibili della vita sono finito all’IE Business School a Madrid». Una scelta che si è rivelata vincente. «Madrid è una città davvero moderna e completa, che offre tantissimo al cittadino, con tutti i vantaggi e svantaggi della metropoli con, però, servizi tangibili che la rendono, sorprendentemente, quasi a misura d’uomo.»

Lo skyline di Miami

Nell’ottobre 2013 Pietro si trasferisce a Miami per terminare la tesi di dottorato con un luminare americano che lavorava su temi vicini alla sua ricerca. «Inizialmente dovevano essere cinque mesi, che poi si sono poi trasformati in cinque anni. Da studente mi hanno poi assunto nella stessa istituzione, la prestigiosa University of Miami. A malincuore dovetti lasciare la Spagna, una separazione che, però, non è stata cosi dura visto che con me è venuta Beatriz, mia moglie, con la quale viaggio spesso a Siviglia dove vive la sua famiglia». Per Pietro è stata, per sua stessa ammissione, una scelta un po’ incosciente, dettata dall’opportunità lavorativa. Per chi come lui lavora nel mondo accademico, gli Stati Uniti rappresentano una sorta di sogno, The American Dream. Le risorse che le istituzioni americane mettono a disposizione per la ricerca sono molto competitive e marcano una grande differenza con il resto del mondo.
«L’opportunità lavorativa deve essere soppesata con lo stile di vita americano», ci spiega ancora Bianchi, oggi Assistant Professor alla Florida International University di Miami. «Gli Stati Uniti sono molto differenti dall’Italia. È un Paese di grandi distanze dove la macchina è il simbolo della libertà personale. La gente non passeggia per le strade e non esiste il concetto di vedersi con gli amici in piazza per bere un aperitivo. Qui si vive una vita frenetica, dove il lavoro è il centro dell’esistenza dell’individuo. Quando chiedo a un collega come sta, la risposta è sempre la stessa: busy, ovvero impegnato. Ecco, non sono sicuro che il vivere negli States sia un upgrade dal punto di vista della qualità della vita.»

Pietro Bianchi Fedrigoni, Assistant Professor, Florida International University, Miami

Se da un lato il dinamismo e il pragmatismo americani risultano, quindi, affascinanti e rappresentano per Pietro una fonte continua di ispirazione, dall’altro per un italiano forse alla lunga può mancare, in quelle zone, il vivere la quotidianità “alla europea”. Una quotidianità fatta di valori come la famiglia e gli amici, che negli Stati Uniti hanno sicuramente la loro importanza, ma che vengono vissuti in maniera diversa. «Molto spesso mi scontro con colleghi e amici americani per il loro continuo anteporre la carriera e il successo a tutto. Faccio un esempio: un mio collega è originario della California dove tuttora risiedono i suoi genitori. L’autunno scorso gli chiesi se avesse intenzione di raggiungere i suoi durante la pausa del Thanksgiving (il giorno del ringraziamento) che per gli americani rappresenta ciò che per noi è il Natale. Con mia grande sorpresa mi rispose che aveva cancellato il volo perché aveva la testa concentrata su un progetto e non voleva distrazioni. Laddove non c’è una base comune di valori è difficile incontrare affinità. Detto questo, Miami è una città cosmopolita dove la presenza della cultura latina, soprattutto cubana, riduce la distanza tra la mia visione della vita e quella dei miei colleghi americani. Inoltre, un clima formidabile per 10 mesi all’anno insieme alle spiagge la rendono una città desiderabile. Anche se può sembrare paradossale, l’inserimento comunque non è stato facile. Oggi, cinque anni dopo posso dire che mia moglie e io sentiamo Miami la nostra casa».

Tramonto rosa a Miami

Quale sarà a questo punto il prossimo passo di Pietro? Di sicuro la professione accademica negli Stati Uniti è molto dinamica. «Il mio obiettivo è ottenere la tanto agognata tenure, ovvero la cattedra. Con mia moglie parliamo a volte della possibilità di tornare in Europa per stare vicino alle nostre famiglie. Se sorgesse l’opportunità la valuterei, ma per il momento il nostro prossimo futuro è a Miami».

A questo proposito, come vive la relazione con la propria città, Verona, da questa lontana prospettiva? «Gli amici e gli affetti ti mancano, ma da qui è come se rimanesse tutto congelato, sospeso nel tempo. A Verona ci torno quando posso. Non c’è nulla di più bello che prendere uno spritz in Piazza Erbe per sentirmi di nuovo a casa!».