Secondo appuntamento per l’Estate Teatrale Veronese che propone, all’interno del 71esimo Festival Shakespeariano al Teatro Romano, il capolavoro Moby Dick, in occasione del bicentenario della nascita di Herman Melville.
II Teatro de Gli Incamminati ha proposto, in prima nazionale, l’adattamento del testo melvilliano a cura di Franco Branciaroli e per la regia di Luca Lazzareschi.
A inizio serata è stato consegnato il premio Renato Simoni, giunto alla 62esima edizione, all’attrice Ottavia Piccolo per le fedeltà al teatro di prosa.
Franco Branciaroli e Lazzareschi lavorano all’unisono per approntare sul palcoscenico un testo quanto mai complesso e denso di riferimenti biblici e letterari e che, curiosamente, ricorda i personaggi e le situazioni delle tragedie del Bardo di Avon.
Con una scenografia essenziale e scarna, Branciaroli punto tutto sul potere immaginifico della sua parola, della phonè, ricordando, alla sua maniera, la lezione di Carmelo Bene, con cui l’attore milanese lavorò negli anni Settanta. La voce risuona potente, stridula, graffiante, si passa dal registro grave all’acuto con semplicità, lavorando e tentando di creare un Achab fuori dagli stereotipi: non un folle ma un saggio eremita che insegue una verità, o che crea la sua verità immanente, che si concretizza nel cetaceo bianco dal soffio luminescente.

Franco Branciaroli e Luca Lazzareschi

Gli fanno da contorno Ismaele, un perfetto Gianluca Gobbi, narratore dalla voce limpida e profonda e unico superstite e testimone, Starbuck, interpretato dallo stesso Lazzareschi, che si in(sc)ontra con il protagonista. Achab/Branciaroli si impone sulla scena tessendo un personaggio tragico degno di Riccardo III che confonde la carte in tavola proponendo una verità polisemica, che offre più interpretazioni che non appaga lo spettatore ma che lo trascina in un vortice di caos metafisico. Come ricorda Cesare Pavese, a lui si deve la prima traduzione in lingua italiana, a proposito di Achab, «Questi insegue Moby Dick per sete di vendetta, è chiaro, ma, come succede in ogni infatuazione d’odio, la brama di distruggere appare quasi una brama di possedere, di conoscere, e nella sua espressione, nel suo sfogo, non sempre è distinguibile da questa. Se poi ricordiamo che Moby Dick assomma in sé la quintessenza misteriosa dell’orrore e del male dell’universo (si veda uno qualunque dei farneticanti monologhi di Achab), avremo senz’altro capito come le tante didascalie digressive, raziocinanti e scientifiche, non si contrappongano al reverente timor sacro puritano ma piuttosto l’avvolgano in un lucido alone di sforzo, d’indagine, di furore conoscitivo, che ne è come dire il riflesso laico».
In definitiva, un adattamento riuscito nelle corde di un Branciaroli perfetto e ancora graffiante che sa riporre la sua soggettività per offrirsi anima e corpo al testo dello scrittore americano.
Repliche fino a domenica 6 luglio.