A Treviso, fino al 9 giugno, nella medievale Casa dei Carraresi – di proprietà della Fondazione Cassamarca, destinata a ospitare convegni e rassegne d’arte – è aperta la mostra dedicata a Inge Morath, la prima fotografa che è riuscita, negli anni Cinquanta, a far parte della celebre agenzia fotografica Magnum Photos.

Inge Morath nasce in Austria, a Granz, nel 1923. Dopo gli studi di lingue a Berlino, lavora come traduttrice e giornalista. Amica del fotografo Ernst Hans, inizialmente realizza testi per i suoi reportage. Viene così invitata da Robert Capa a unirsi all’agenzia Magnum in qualità di redattrice e ricercatrice – fu la prima donna che riuscì a entrare nella celebre Agenzia Fotografica. Comincia così a fotografare per la Magnum, diventando nei primi anni Cinquanta suo regolare membro, svolgendo anche il ruolo di assistente a Henri Cartier-Bresson.

Negli anni seguenti viaggia per tutto il mondo: Nordafrica, Medio Oriente, Europa, dando vita a diversi reportage fotografici e alla fine degli anni Cinquanta realizza curiosi ritratti fotografici con maschere disegnati dall’artista Saul Steinberg. Nel 1961, realizza un reportage fotografico sul set del film Gli spostati e in quella occasione conosce lo sceneggiatore della pellicola, Arthur Miller, marito all’epoca della protagonista Marilyn Monroe, che sposerà un anno dopo nel 1962.

Fra i suoi soggetti più popolari si ricordano i ritratti di importanti personalità del Novecento: Pablo Picasso, Pablo Neruda, Doris Lessing, Marilyn Monroe, Fidel Castro, Philip Roth, Hans Arp, Alexander Calder, Pierre Cardin, Yul Brinner, Audrey Hepburn, André Malraux, Christian Onassis, Alberto Giacometti ed Henry Moore. Muore a New York il 30 gennaio 2002.

L’esposizione Trevigiana, che attualmente accoglie più di 150 opere di Inge Morath, è articolata su tre livelli, più una sala superiore dedicata alle proiezioni. Le sezioni in cui è suddivisa la mostra, allestite nelle salette dell’antico palazzo, ripercorrono le tappe dei suoi principali reportage ‒ Venezia, Londra e il Regno Unito, Spagna, Iran, Stati Uniti, Francia, Cina, Romania, Russia, Austria, Irlanda ‒ mentre le ultime due sezioni sono dedicate al progetto Masks, del 1966, ai lavori del disegnatore Saul Steinberg e ai ritratti di personaggi pubblici. Nel 1956, Inge Morath conosce il disegnatore Saul Steinberg e rimane colpita della sua creazione di maschere realizzate su sacchetti di carta e scatole di cartone.

La maschera diviene così una metafora della vita, che viene indossata da ogni persona come scudo per affrontare la società, per nascondere e proteggere. Nasce così il progetto Masks, in cui Inge Morath ritrae diverse persone con addosso queste maschere aventi espressioni diverse. Una saletta dell’esposizione trevigiana mostra proprio questo reportage. Molto conosciuta è pure la fotografia Lama vicino a Times Square (1957), presente nella mostra, in cui si vede un lama che sporge dal finestrino di un taxi e che fa parte di un progetto più ampio dedicato agli animali impiegati sui set cinematografici.

La prima cosa che si rileva dal lavoro di Inge Morath è la sua passione viscerale per la fotografia, manifestazione di un legame molto profondo con una disciplina che all’epoca era considerata prettamente maschile. Un legame che è cresciuto nel tempo, grazie alle esperienze vissute e a un rapporto inteso e sentito che l’ha portata, attraverso la sua determinazione e il suo coraggio, ad affermarsi come la prima donna di successo nel mondo della fotografia.
Inge studiava perfettamente la lingua, le tradizioni , la cultura di ogni Paese che visitava: sapeva parlare tedesco, inglese, francese, spagnolo, rumeno, russo e persino mandarino.

In ragione di questa sua incrollabile curiosità e solida preparazione, nelle fotografie di Inge Morath si rileva un approccio intellettuale e una volontà d’indagine culturale che vanno al di là di una semplice documentazione fotografica dei luoghi, dei popoli e delle tradizioni, ma appare chiara una determinata empatia e desiderio di entrare in profondo contatto con i soggetti ritratti. Che si trattasse di persone comuni o di personaggi pubblici il suo interesse era incondizionato e si focalizzava sempre verso l’intimità di ciascuno, l’aspetto più autentico.

Una fotografia molto nota ed esposta in questa mostra è Marilyn Monroe durante le riprese del film “Gli spostati”. In questa si vede l’indimenticabile attrice passeggiare a piedi scalzi sotto gli alberi, mentre ripassa la parte assegnatale per il film. Un’icona, emblema della seduzione, e che qui, al contrario, viene immortalata in uno scatto dove emerge il suo lato più intimo e riflessivo.

Inge Morath si distingue per una visione senza filtri del mondo che la circondava, un’artista che cercava l’anima di chi ritraeva. Curiosa e vivace, viveva la fotografia come parte integrante della propria vita, una passione così intensa da farle raggiungere il successo. Le sue fotografie mostrano la sua forte sensibilità ed empatia e al contempo rappresentano delle pagine del suo privato diario di vita, come lei stessa affermava: «La fotografia è essenzialmente una questione personale: la ricerca di una verità interiore».