Era il 23 maggio 1992 quando la macchina di Giovanni Falcone saltò per aria. Col magistrato antimafia morirono anche la moglie e gli agenti di scorta. Se Giovanni Brusca fu il coordinatore di fatto dell’attentato, il mandante ultimo è stato giudiziariamente individuato in Totò Riina.

Falcone simbolo. Con la sua morte, il magistrato palermitano diventa un simbolo della lotta contro la mafia. Un simbolo, però, il cui messaggio pare sempre più disatteso e dimenticato. Anche in vita vide osteggiati tutti i suoi tentativi di costituire un sistema più integrato e aggressivo nei confronti della mafia, sul modello di quello che poi sarebbe passato alla storia col nome di poll antimafia; inoltre, all’epoca fu molto criticato per l’uso dei pentiti anche se, grazie a Tommaso Buscetta, riuscì a svelare e a incrinare un sistema allora totalmente opaco.

Una lotta sempre più solitaria. I politici cominciano a criticarlo per i suoi metodi; i suoi tentativi di ottenere cariche chiave vengono frustrati dai suoi colleghi magistrati e famoso fu il caso de “il corvo”, un misterioso personaggio – all’interno delle istituzioni – che cercò di calunniarlo con accuse false. Probabilmente, una strategia preparatoria all’attentato. Di fatto, sono i legami politica-malavita a costargli la carriera e la vita.

Giovanni Falcone

La morte. La sua morte è stata legata all’azione di un Commissione Provinciale di Cosa Nostra, in reazione alla conferma degli ergastoli del maxiprocesso del 30 gennaio 1992. L’azione di Falcone ha destabilizzato il sistema: grazie alle rivelazioni di Buscetta, si scopre che Salvo Lima, politico DC fedele ad Andreotti, è affiliato al boss La Barbera ed è canale della politica per trattare con i boss. Mafia e politica dialogano, ai massimi livelli. E anche gli omicidi, come quello di Salvo Lima il 12 marzo 1992, a pochi mesi dall’omicidio del magistrato, sarebbero avvertimenti di somma insoddisfazione della mafia alla DC.

La trattativa. Il 6 maggio 2019 la procura generale di Palermo ha chiesto la condanna a 9 anni di carcere per l’ex ministro Calogero Mannino, assolto in primo grado. Molti nel frattempo sono stati condannati. Dopo il cambio di strategia della mafia e la sua svolta terroristica (1992-1993), secondo i giudici si sarebbe instaurato un patto Stato-mafia per trovare una nuova reciproca convivenza, un equilibrio infranto irreparabilmente anche dall’azione del pool di Falcone e del maxiprocesso di Palermo.

Un problema vivo. La morte di Falcone allora fu necessaria al sistema per sopravvivere. Per il Paese, però, oggi sarebbe necessario avere uno, dieci, mille Falcone, visto come, nel silenzio, le varie associazioni criminali si sono diffuse in tutta Italia, Veneto compreso, come feudo dell’Ndrangeta. Chi mai avrà la forza e le capacità per opporsi al sistema di connivenza, tutt’ora operante, deve tuttavia temere più gli amici dei nemici.

L’ipocrisia italiana. Infatti, è Ilda Boccassini a mettere tutto nero su bianco in un’intervista a Repubblica: «Non c’è stato uomo la cui fiducia e amicizia è stata tradita con più determinazione e malignità. Eppure le cattedrali e i convegni, anno dopo anno, sono sempre affollati di “amici” che magari, con Falcone vivo, sono stati i burattinai o i burattini di qualche indegna campagna di calunnie e insinuazioni che lo ha colpito».