Più che colpo, una mazzata. Anzi, un incubo. Quindici minuti di buon calcio e una grande occasione da gol non sono sufficienti per vincere le partite. Uscito tra gli applausi a Bergamo, dal Chievo contro il Cagliari si attendevano altri segnali rinfrancanti. Dopo sedici giri di lancette è avvenuto il patatrac. La prima crepa è diventata voragine e la notte si è fatta inopinatamente fonda.

I gialloblù ci hanno messo del proprio nel trasformare una gara in una lunga agonia. Per alimentare audaci sogni o coltivare ardite speranze servono temerarietà e soprattutto costanza. Al primo scossone invece la squadra si è disunita. Prima con la testa che con i piedi.

Dopo la rete dell’uno a zero di Pisacane, il tempo a disposizione sarebbe stato ampiamente sufficiente per provare a recuperare una partita cruciale – e fin lì, con gli ospiti pure non a proprio agio. Invece è restata solo un’ipotesi sulla carta. La verità è gli automatismi che avevano sorretto la struttura della formazione di Di Carlo sono saltati nella misura in cui la fiducia di poter recuperare la partita è venuta meno.

Il treno va

Al quarantacinquesimo minuto Hetemaj e soci si sono trovati sul binario con il fazzoletto in mano, fuori tempo massimo. Con l’aria di chi vede transitare probabilmente l’ultimissimo treno possibile per la salvezza. Non hanno trovato la forza di correr dietro al talento di Barella, mortificati dalla paletta rossa degli impenetrabili guanti di Cragno. Senza l’energia e la fiducia sufficienti per prodigarsi in un affannato disperato tentativo di aggrapparsi al predellino.

Nel calcio vince solo chi segna. Chievo-Cagliari non ha fatto eccezione. La contabilità della gara offre una chiave di lettura chiara. Sei tiri, zero gol per i padroni di casa. Quattro con tre marcature per Cigarini e compagni. Senza Pellissier si sono confermati i limiti di un attacco che, in linea teorica, la porta avversaria la vedrebbe pure ma, nel momento del dunque, fa una clamorosa fatica a concretizzare. Anche al netto della malasorte, che pure contro la formazione sarda si è materializzata, oggi sarebbe stucchevole appellarsi alla dea bendata. Così come alla direzione di gara di Abisso – nomen omen – per quanto a tratti indisponente e che ha confermato semmai l’infelice stagione delle giacchette nere nel rapporto col Chievo.

A nove partite al termine della stagione i calcoli è ormai facile farli. E se il conto finale è corretto farlo solo alla fine, si deve trovare il modo per renderlo meno amaro e quanto più dignitoso possibile.