Giuseppe Battiston, in un dialogo che assomiglia molto più ad un soliloquio, porta in scena lo spettacolo Winston vs Churcill che conclude la stagione della rassegna “Il Grande Teatro” del Teatro Nuovo di Verona.

L’attore friulano, supportato in scena dall’attrice Maria Roveran, esplora una delle figure enigmatiche del contesto politico del novecento avvalendosi del testo “Churchill, il vizio della democrazia” di Carlo Gabardini, per la regia di Paolo Rota.

Lo scrittore Carlo Gabardini

Scena spoglia sulla quale si staglia un palco tondo contornato dalla luci di un palcoscenico, quasi un’isola nella quale troneggia la poltrona del protagonista. Un Churchill ripreso negli ultimi anni di vita relegato nella sua casa, malato e sopraffatto da deliri di onnipotenza, eccessi verbali e alcolici. Il dialogo con l’infermiera è solo un pretesto per muovere il personaggio ad indagare se stesso ed il buio della sua anima. Battiston offre tutto se stesso in scena e da sfogo alle sue capacità istrioniche proponendo un personaggio esagerato, infantile, contraddittorio che cerca risposte alle sue colpe e colpisce per l’arroganza pretestuosa e puerile. La giovane infermiera (Roveran) viceversa rappresenta il super-ego freudiano che riporta al presente e all’ordine l’Es martoriato del protagonista.

Il Teatro Nuovo di Verona

La recitazione di Battiston (a tratti meravigliosamente gigionesca) è al servizio del testo creando una figura che ricorda la complessità di Hank Quinlan, protagonista della pellicola Ll’Infernale Quinlan di Orson Welles (citato da Battiston). Gli inserti di musica classica e metal sottolineano lo spaesamento continuo del personaggio, descritto mai oggettivamente e sempre al contrario: ciò che rimane di lui è la confusa voglia del regista di immortalarlo come descritto dagli altri e ciò lo riduce a pura icona, a simulacro ormai svuotato dai mille aggettivi e giudizi negativi e positivi che si sovrappongono. Se qualcuno cercava chiarezza e un ritratto oggettivo del protagonista si ritroverà deluso.

Uno spettacolo inattuale (in senso nietzschiano) dal quale si esce confusi e pieni di quesiti ancora inebriati dall’odore e dal fumo del sigaro che Battiston tiene in bocca per gran parte della pièce.