Venticinque anni sono passati da quella notte in cui un incendio si portò via il Teatro della Fenice, a Venezia. Il rogo sempre più potente, che svettava in una notte traumatizzata della laguna, è impossibile da dimenticare, anche solo avendolo osservato nei servizi televisivi. Questo pomeriggio, a ricordo di quel tragico evento, sarà trasmesso dalle ore 16.30 in streaming il documentario “Dal fuoco alla musica”, visibile sui siti www.vigilidelfuoco.tv, www.teatrolafenice.it, www.comune.venezia.it, www.veneziaunica.it.

Promotore dell’evento è proprio il corpo nazionale dei Vigili del fuoco, al centro dell’intervento di salvaguardia non solo dell’edificio in fiamme, ma dell’intera città, messa in grave pericolo anche per la presenza quella notte di un forte vento. In diretta ci sarà spazio quindi per la ricostruzione storica dei fatti e per l’esibizione della banda del corpo dei Vigili del Fuoco, diretta dal Maestro Donato Di Martile. Il concerto ha in programma generi musicali molto diversi: Franz von Suppé, Ruggero Leoncavallo, Niccolò Paganini, Giuseppe Verdi, Leonard Bernstein, Charles Gounod, Giacomo Puccini e un omaggio a Ennio Morricone, per chiudere con l’inno nazionale di Michele Novaro.

I vigili del fuoco intenti a domare l’incendio della Fenice, foto @ Ufficio stampa Teatro La Fenice

Lo stesso sovrintendente della Fondazione Teatro La Fenice, Fortunato Ortombina, si augura che questo evento «sia il segno della rinascita, non solo per noi del mondo dello spettacolo insieme ai nostri spettatori, ma per tutti». Il messaggio porta con sé la preoccupazione per la prolungata chiusura imposta dalle disposizioni sanitarie, ma anche la speranza di un rilancio a breve, perché se quel 29 gennaio abbatté uno dei teatri più prestigiosi del mondo, celebrato per la sua acustica impeccabile, in cui andarono in scena le prime assolute di opere di compositori quali Giuseppe Verdi, Gioacchino Rossini, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, a distanza di venticinque anni nuovi timori rischiano di mettere in ginocchio non solo questo spazio, ma tutto  – o quasi – il mondo della cultura.

Dietro alle fiamme del 1996 ci fu il dolo: il pm di allora, Felice Casson, ricostruì la vicenda e individuò in due elettricisti i responsabili – il titolare della Viet, Enrico Carella, e il cugino Massimiliano Marchetti, unico dipendente della ditta – impegnati nei lavori di restauro in corso in quei mesi, e spinti dal timore che la loro impresa fallisse. Condannati in via definitiva, Carella ebbe sette anni di carcere (fu catturato in Messico) e sei per Marchetti. La vicenda della ricostruzione non fu semplice ed ebbe i suoi guai, tanto che fu necessario intervenire d’ufficio contro la ditta vincitrice dell’appalto per inadempienza dei termini di consegna e per la conduzione dei lavori. Una nuova gara d’appalto ha poi assegna la conclusione dei lavori a una cordata di imprese, che consegnarono l’8 dicembre 2003 il teatro alla fondazione e al Comune di Venezia, mentre la conclusione dei lavori avvenne nel maggio 2004.

A ricostruire gli accadimenti e a documentare con una serie di immagini quella notte ci ha pensato la giornalista freelance Vera Mantegoli, che ha dato alle stampe “La Fenice, 29 gennaio 1996. La notte di fuoco: storie, interviste e articoli”, per Editoriale Programma e in vendita dal 19 gennaio 2021. Al racconto del custode del teatro e a quello del vigile del fuoco che transige alle regole e decide di sorvolare Venezia per spegnere le fiamme, si uniscono le voci di musicisti, veneziani, del pm Felice Casson e di Paolo Costa, sindaco della città e già ministro dei Lavori pubblici, che ha cercato di superare i contenziosi che bloccavano l’avanzamento dei restauri. C’è spazio in prefazione, infine, alla spiegazione che ha motivato di ricostruire il teatro “dov’era e com’era”. Un motto ripreso dalla ricostruzione del campanile di San Marco e che il progettista, l’architetto Aldo Rossi, morto nell’anno successivo al rogo, ha osservato.

Pochi mesi fa, a settembre 2020, lo scrittore Giorgio Falco ha pubblicato con Einaudi Flashover. Incendio a Venezia, con cui affonda la sua prosa nelle dinamiche che sono state alla radice del gesto folle dei due elettricisti. Una disamina che mette in luce una società che non è più civiltà contadina, bensì «civiltà della fine del lavoro, quest’ultima ancora soggetta all’ideologia del lavoro, ma impregnata di un’ideologia tossica, di purissimo consumo idolatrico, l’essenza del capitalismo contemporaneo». Tra lo squallore della terraferma e la malinconia della città lagunare, un monumento imbalsamato e a tratti decadente, ma anche occasione di lavoro per i cantieri di restauro, non si può non pensare a ciò che questa Venezia, che questo dramma, rappresenti.

L’Italia di oggi, pericolosamente a rischio di un metaforico incendio e di quello stadio in cui il fuoco non avanza più, ma consuma inesorabilmente tutto ciò che ha raggiunto. Di quel «flashover – scrive Falco – di una civiltà già defunta, che muore ogni volta fingendo di rinascere solo per continuare a morire meglio». Facciamo che non sia così.

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