Aria cupa per le strade veronesi e non solo per gli acquisti del periodo natalizio. I dati ARPA sull’inquinamento indicano che l’aria della città è scadente se non pessima quanto a PMI10 e peggio va per il PM2,5. L’inquinamento galoppa, nonostante i blocchi (e le sue generose deroghe). Le cause sono molte: l’industria, il traffico veicolare, il riscaldamento domestico, l’agricoltura. Secondo i dati riportati sul sito dell’Agenzia Europea per l’Ambiente, «i trasporti sono responsabili di circa un terzo del consumo finale complessivo di energia nei paesi membri dell’AEA e di più di un quinto delle emissioni di gas serra, nonché di una parte considerevole dell’inquinamento atmosferico e acustico urbano».

Dunque, è spostando il traffico dalla città sulle A22 e A4 che si risolve il problema? Parrebbe di no. Basta guardare (se si riesce a intravederla) la Pianura Padana dal satellite per comprendere come il catino naturale diventi una sorta di camera a gas, che, ahinoi, «provoca 461mila decessi prematuri l’anno solo in Europa, 20 volte di più delle vittime per incidenti stradali». [1]

Il problema è annoso e apparentemente irrisolvibile perché si fonda un dato incontrovertibile: un sistema economico a crescita infinita in un ecosistema chiuso qual è la terra. E finché il mercato non riterrà la salvaguardia dell’ambiente un business sicuro e redditizio, la qualità della nostra aria (ma anche dell’acqua, si pensi all’avvelenamento delle falde venete a causa dei Pfas) è destinata a peggiorare.

Inutile attendere fiduciosi una svolta green, già delusa dall’era Obama: la stabilità politica è condizione essenziale per attirare investimenti e l’era Trump ha già invertito la rotta (dell’Italia è inutile parlare). Il sistema, poi, non ama le soluzioni radicali, che hanno il difetto di non portare ulteriori profitti: predilige invece soluzioni tampone che prevedano un continuo intervento, così da garantire costanti introiti.

Velleitario anche attendersi salti in avanti della nostra politica. Prendiamo un problema ben visibile nel nostro territorio: il consumo di suolo. La Legge Regionale 6 giugno 2017 si pone come obiettivo il consumo zero entro il 2050; come fare visto che, per esempio, il 15 marzo a Roma è prevista una manifestazione nazionale contro la decennale crisi dell’edilizia che è risolvibile, ovviamente, solo con la ripresa della costruzione e del consumo di suolo? Quale partito potrebbe rinunciare ai voti di questo settore? E chi, d’altra parte, può ignorare la cementificazione del Veneto?

Bruno Tomasich con La Decrescita infelice ha mostrato i limiti di una prospettiva che il MS5 ha portato anche in campagna elettorale. È tuttavia evidente che una scelta va fatta per superare la contraddizione: il modello attuale di un welfare in ritirata è incompatibile con l’aumento delle cure delle malattie causate dall’inquinamento; il finanziamento delle opere pubbliche non può essere barattato con suolo per nuovi centri commerciali (come nelle ipotesi del Traforo delle Torricelle) e via dicendo. Dobbiamo rinunciare a qualcosa: ma davvero siamo disposti a farlo?

Prendiamo un fenomeno dall’inarrestabile espansione, ovvero l’e-commerce: comodo, facile, immediato, appagante. Ma viaggia totalmente su gomma e aereo e, ciascuno lo può verificare guardando i propri rifiuti, per ogni oggetto, dalla lampadina al mouse, c’è il suo bell’imballaggio, che poi va buttato. Una montagna di rifiuti, che aumenta ogni anno, implacabile: gli imballaggi di plastica, dal 2006, sono aumentati del 200%. [2] Siamo disposti per un mondo più pulito a cambiare le nostre abitudini? A rinunciare al cappellino acrilico fatto a Shanghai con le orecchie di nutria lampeggianti? La città coreana di Sogdo potrebbe essere una risposta: costruita 15 anni fa a mobilità sostenibile è un flop. Tutto è comodo, ciclabili ampie, non servono le auto perché i mezzi pubblici sono capillari, ma è troppo cara. [3]

Qualche giorno fa, dalle colonne de “Il Nazionale – Verona”, Maria Antonietta Bergamasco ci raccontava del RECUP, «un progetto che combatte lo spreco alimentare e l’esclusione sociale, recuperando il cibo prima che sia buttato via, dividendolo tra buono e non e redistribuendolo a chiunque voglia prenderlo». [4] Lodevole iniziativa, naturalmente. Ma le iniziative dal basso vivono della spinta del volontariato, che è mutevole, legato all’entusiasmo, limitato a un gruppo di cittadini consapevoli e sensibili e generalmente marginale rispetto alle masse.

Bisogna allora ammettere che, per sperare di tornare a bere acqua decente, aria pulita e mettere piede su qualcosa di verde vagamente serve un’iniziativa impopolare e autoritaria dall’alto.

Ecco allora a riprova la lettera aperta al sindaco del signor Giorgio Vanoni, che denuncia “la pratica incivile tenuta dai commercianti del centro città di tenere spalancate le porte dei negozi, mantenendo nel contempo il riscaldamento/raffrescamento al massimo” [5]. Ma se si chiudono le porte (a vetri), i clienti non entrano: l’invito delle associazioni di categoria e l’ordinanza comunale sono rimaste inascoltate dai commercianti, a dimostrazione che la sensibilità ecologica non può competere con l’esigenza di fatturare. Prendiamo le proteste per consistenti rincari sulle bollette dell’energia previsti nel 2019: una parte di questi servirà a coprire «gli oneri generali di sistema sono una parte delle spese fisse in bolletta, in cui è compresa anche quella più ingente, la A3, relativa al finanziamento per gli incentivi alle fonti rinnovabili». [6] Giubilo per le città? Pochino.

Dunque, riassumendo: lo Stato è pessimo perché non fa nulla per salvaguardare l’ambiente, per tutelare il mondo che erediteranno i nostri figli. E lo Stato è un ladro, perché affama le famiglie per ingrassare i produttori di energia rinnovabile, una concreta possibilità per tutelare il mondo che erediteranno i nostri figli.

Un nodo gordiano. Il fatto è, però, che lo Stato siamo noi e, finché non smetteremo l’ipocrisia di prese di posizione ambientaliste e comportamenti antiambientalisti, l’aria diverrà scura come il nostro viso, nonostante la luce lampeggiante del berretto nutria fatto a Shanghai. Bisogna scegliere: respirare o al lavoro in macchina, bere o le batterie, passeggiare nel parco o un centro commerciale. C’è da rimetterci, in prima persona, in ogni caso.

È il capitalismo, bellezza.

[1] Serene Giacomin, Inquinamento atmosferico: perché l’aria della Pianura Padana è tra le peggiori d’Europa? “La Stampa”, 07/11/2017.

[2] Milena Gabanelli, L’e-commerce e il suo contributo all’inquinamento globale, Dataroom, “Corriere della Sera”, 2 aprile 2018.

[3] Cfr. Roberto Speranza, Mobilità sostenibile: Songdo, poche auto ma flop di abitanti, 5 aprile 2018.

[4] Maria Antonietta Bergamaschi, Recup: combattere lo spreco alimentare e l’esclusione sociale, attraverso il fare, “ilNazionale” 7 gennaio 2019.

[5] Negozio virtuoso: teniamo le porte chiuse per difendere l’ambiente, “VeronaIn” 04 gennaio 2019.

[6] Bollette, aumenti di 30-35 euro per colpa dei morosi»: bufala o no? Ecco cosa sta accadendo, “Il Mattino” 23 Febbraio 2018.