Demografia, Consumi, Scienza, Economia, Paesaggi, Stato, Educazione e Cosa ci fa sentire italiani. Otto sezioni su due piani, oltre 400 file audio, decine di installazioni multimediali, materiale proveniente da oltre 150 archivi. M9 si presenta così nei comunicati stampa e negli articoli usciti a ridosso della sua inaugurazione avvenuta a Mestre ai primi di dicembre.

Il primo museo completamente multimediale in Italia, così lo definisce anche il suo direttore, Marco Biscione che proviene dalla direzione del Museo d’Arte Orientale di Torino. Lo sento in una intervista a Caterpillar e mi viene una voglia pazzesca di andare a vedere, sentire, toccare. Un museo senza teche, senza oggetti veri e propri, il non plus ultra della narrazione mediale che per chi, come me, vive di comunicazione digitale e transmediale è davvero una leccornia.

Approfitto delle feste e con marito e amici al seguito decidiamo di fare una gita mestrina. A dire il vero la gita inizia male perché nelle settimane precedenti avevamo provato a prenotare online senza successo. Il servizio di prenotazione non ha funzionato per giorni dopo il lancio e questo non era certo un bel biglietto da visita.

Però a onor della cronaca l’ingresso alla biglietteria è stato veloce e senza code quindi ci siamo dimenticati presto delle disavventure digitali.

La struttura, curata da un rinomato studio berlinese, si inserisce in un ampio progetto di rigenerazione urbana che porta Mestre, da sempre ancella o sorellastra sfortunata della bella Venezia, a un gradino più su nella scala delle città da visitare.

Bella è bella, con tutti questi tasselli color terra e territorio che ricoprono l’esterno e questo legno che ti accompagna in entrata e su per i tre piani alti e seminterrato, dove ci sono i guardaroba e servizi.

Infatti sono tre i piani di museo, escludendo il piano terra che però ha degni di nota il book shop (che per chi come me ama a volte musei solo per questa tappa finale è da non sottovalutare) e un bistrot, degno dei principali musei internazionali, accessibile anche dalla piazzetta esterna e molto “trendy”. Consiglio subito uno spritz a fine visita così mi metto l’anima in pace.

Partiamo dal secondo piano perché al primo ci dicono che c’è troppa gente e siccome questo museo non ha un percorso consigliato non prendiamo paura. Infatti, superando le prime diffidenze sul fatto che mancano indicazioni precise di percorso ci lasciamo immergere in un viaggio intenso e pieno di informazioni di ogni tipologia e natura. Video, suoni, parole, colori, grafici, pannelli, grafici e ancora cuffie, pulsanti, manopole… purtroppo quel giorno la maggior parte delle installazioni multimediali era out of service, ma con il senno di poi meglio così perché già con quello che c’era di funzionante abbiamo fatto game over.

Dopo aver esaurito il secondo piano con la perla della sezione sulla religione e sulla musica con la possibilità di ballare I like Chopin per aumentarne il volume o farsi avvolgere dal cinema italiano degli anni Cinquanta o scoprire se siamo nella media di altezza delle donne del 1910 o del 1990, passiamo al primo dove l’esperienza museale secondo me raggiunge l’apice con la realtà aumentata delle cucine del Novecento e con la spiegazione sulla evoluzione delle malattie. Senza dimenticare qualche gioco di verniciatura e saldatura o la scoperta del da dove nascono gli occhiali e il distretto bellunese che ci rende così fieri di essere italiani.

Anche la sezione sulla migrazione e immigrazione è potente, con dettagliate motivazioni sul perché non si deve pensare che siamo “invasi” dagli stranieri e quella che vi svela quali oggetti hanno rivoluzionato il nostro 1900 (non ve li dico perché sarei una spoiler ma non c’è il cellulare lo giuro!)

Da non perdere ora anche al terzo piano la mostra con una selezione meravigliosa di fotografi italiani che ci raccontano un Novecento fatto di sviluppo urbano, manicomi, discoteche e spiagge grondanti umanità, finestre sulla famiglia nostrana, cerimonia religiose, personaggi felliniani, preti fuori dagli schemi.

Il Museo del Novecento a Mestre.

Perché M9 è conoscenza, approfondimento, gioco, curiosità e soprattutto dibattito perché stremati da ore di visita io e i miei amici abbiamo riflettuto su molti aspetti e dibattuto sui diversi punti di vista.

Certo posso dire che è un museo molto didattico e quindi perfetto per le scuole, soprattutto le superiori, ma non posso non consigliarlo in particolare modo per il coraggio della operazione culturale in un Paese e un Nord Est culturalmente addormentato.

Dal book shop, infine, cogliamo una informazione che vale tutte le spiegazioni che potete trovare in rete tra recensioni e interviste ai direttori ed esperti: il logo di M9 e la banda rettangolare che sembra coprire del tutto la sigla. Si tratta, secondo le parole del simpatico commesso, di una sorta di cerotto tra XXI e XX secolo ovvero il tentativo mediante questo museo di porre una cucitura tra il secolo che stiamo vivendo e quello dove la maggior parte di noi è nato. Con le nuove tecnologie del Ventunesimo secolo leggiamo il secolo precedente.

Bum! Ecco qui, non vado oltre e vi auguro buona gita culturale mestrina,  ma anche enogastronomica: dopo lo spritz al bistrot del museo vi consiglio, alla Birreria Al Distributore, un super club sandwich innaffiato da birra all’albicocca o altre birre eccezionali… perché è cultura anche il buon bere e il buon mangiare soprattutto dopo una bella visita museale.

Info sul sito.