[…] Il dolore riguarda tutti, è un’esperienza concreta, vissuta ed espressa in forme differenti, così come differenti sono le forme degli esseri senzienti. Riguarda noi anche se, a ben vedere, la sofferenza non è equamente ripartita nel mondo; potremmo infatti disegnare una geografia del dolore in base alle opportunità, al reddito, all’alimentazione, all’educazione, alle cure mediche e via dicendo.

Però il dolore non si ferma a noi, anche se spesso non vogliamo vederlo riguarda anche gli animali non umani, un dolore il più delle volte inflitto proprio da esseri umani.

Una persona di grande sensibilità come Isaac Bashevis Singer, premio Nobel per la letteratura, diceva che agli animali è stata riservata un’eterna Treblinka.

Ma credo si possa andare più in là e riconoscere che il dolore investe molte forme di vita, può riguardare interi ecosistemi che muoiono o che vengono distrutti; in questo caso a soffrire è Gaia, la Terra che ci ospita.

Ed è sulla scorta di queste considerazioni che alcuni Paesi latinoamericani (Ecuador e Bolivia) hanno deciso di inserire nella loro costituzione – elaborando un vero e proprio unicum giuridico – i diritti della natura, i diritti di Pachamama. Decisione su cui, è bene sottolinearlo, ha influito non poco la spiritualità ancestrale di quei popoli (suma qamaña, sumak kawsay) dando così corpo a forme originali di ibridazione fra politica, spiritualità e diritto […].

Una debole forza messianica

Un autore che sento molto vicino – Walter Benjamin – diceva, influenzato in ciò dalla spiritualità ebraica, che a ogni generazione è stata consegnata una “debole forza messianica”. Ecco, tessendo insieme quelle deboli energie si può davvero costruire una rete resistente di cooperazione sociale e cosmica in cui dispiegare la potenza della vita che riguarda tutti e tutte (dove l’attributo ‘resistente’ vuole indicare non solo una forma solida e duratura, ma anche un’azione volta a impedire il verificarsi dell’evento contrario, il dolore).

In fondo è quello che insegnava il rabbi di Nazareth invitando a osservare il mondo naturale, dagli uccelli nel cielo all’erba e ai fiori dei campi, i quali, pur non lavorando, non accumulando ecc., esprimono, in confronto a Salomone e a tutta la sua gloria e saggezza, un valore intrinseco maggiore: qui, Dio e il Regno assumono le sembianze di figure del dispiegamento di una vasta rete di cooperazione di portata sociale e cosmica.

La pienezza della vita

Mi piace allora ricordare anche le lettere paoline in cui si ricorda come il desiderio di salvezza non sia una caratteristica che connota e riguarda solo l’essere umano, in quanto tutti i viventi assistono e partecipano alle doglie di un parto universale per entrare insieme nella pienezza della vita, nella gloria.

E questa pienezza è molto prossima a ciò che Dante nei suoi scritti politici definiva “la beatitudine di questa vita”; così come quell’energia che connette i viventi la troviamo descritta come Eternal Delight – eterna delizia, gioia e piacere – da William Blake, mistico, poeta e pittore del Sette/Ottocento (toccanti sono le sue illustrazioni della Commedia dantesca, a conferma di quanto la ricerca di una spiritualità perduta accomunasse i due).

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Essere acqua della goccia o goccia dell’acqua?

[…] In fondo la nostra vita come quella di tutte le specie partecipa a una sola grande vita, componenti di una medesima sostanza (“Deus sive natura”, diceva Spinoza), che, se vogliamo, possiamo chiamare ‘vita eterna’, una vita che si trasforma incessantemente, passando in una maniera o nell’altra attraverso una molteplicità senza fine di forme.

Non è un caso che la metamorfosi sia un tema che ricorre con frequenza non solo nella letteratura classica (da Ovidio ad Apuleio), ma anche in quella popolare, nei miti, nelle leggende e nelle fiabe.

Ma lo strumento che la ‘vita eterna’ ha trovato per continuare a perpetuarsi è proprio attraverso la morte delle singole creature. Di fronte a ciò molte tradizioni spirituali offrono immagini, alcune suggestive, per ampliare il respiro della riflessione. Ad esempio, un antico testo sapienziale induista (ma ve ne sono di simili provenienti da altre tradizioni) invita a interrogarsi dinanzi all’immagine della vastità dell’oceano e delle gocce d’acqua che lo compongono: rispetto a ciò, noi siamo l’acqua della goccia o la goccia dell’acqua?

Essere oltre l’aut-aut

Immagini senz’altro seducenti, allegoria esteticamente bella, peccato però che la vita non sia un’allegoria; quando negli anni capita di frequentare ospedali, case di riposo e hospice ci imbattiamo in ben altre immagini e odori, assai diversi dalla freschezza dell’acqua. Non solo, ma anche questo dualismo, questo aut-aut non convince appieno: il fatto è che siamo entrambe, acqua e goccia, e in questo sta la bellezza e drammaticità della nostra condizione.

I latini, che di grammatica ne capivano più di noi, tra le congiunzioni ne distinguevano una chiamata disgiuntiva esclusiva – aut –, da un’altra – vel – definita disgiuntiva inclusiva. Poi ho scoperto che in logica sono concetti acquisiti e la disgiunzione inclusiva gode in fondo delle stesse proprietà dell’unione (o l’uno o l’altro o entrambe; mentre la disgiunzione esclusiva dice: o l’uno o l’altro ma non entrambe).

La risposta migliore è il silenzio

Noi siamo sia la goccia dell’acqua che l’acqua della goccia: trascorriamo gran parte della nostra vita per costruire la nostra personalità, sapendo che presto o tardi dovremmo deporre quanto accumulato nel tempo, sia esso materiale o immateriale, per ritornare al mistero senza nome, al grande oceano della vita da cui, senza saperlo, non ci siamo mai allontanati.

Così, con gli anni impariamo che ogni età della vita chiede la sua prova di maturità; come scrive Shakespeare nel Re Lear: “Gli uomini devono affrontare il loro andarsene come l’arrivare: la maturità è tutto”.

Circa l’interrogativo su quello che può riservare l’attraversamento dell’ultima porta, credo che la risposta migliore sia quella che forniva il Buddha a chi poneva quesiti del genere: un garbato, eloquente silenzio.


(Questo testo è un estratto da Dolore, beatitudine e Mistero, di Federico Battistutta, tratto dal libro Del Male, di Dio e del nostro amore. 21 dialoghi e un saggio, 2023, Gabrielli editore.

Federico Battistutta è co-fondatore di Inedito Cammino, collaboratore di Adista, per cui ha scritto diversi interventi legati a nuovi paradigmi teologici. Tra i suoi libri, Misticopolitica. Orizzonti della spiritualità post-religiosa, Effigi, 2022).

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