La vicenda degli studenti dell’Istituto “Viola-Marchesini” di Rovigo, che ha occupato le cronache di queste settimane di inizio estate, ha riaperto il dibattito sull’annoso problema del voto di condotta e ha posto in evidenza due aspetti relativi alla scuola.

Il primo è che le notizie “di cronaca”, che in passato raramente la riguardavano, oggi vedono sempre più di frequente la scuola come protagonista. Vuoi perché i fenomeni di violenza fra studenti, di auto-lesione fisica, di uso scorretto o comunque deviante dei social media sono ormai all’ordine del giorno, vuoi perché la società italiana è radicalmente cambiata sul piano socio-economico-culturale e ogni famiglia che abbia figli deve misurarsi con questa istituzione pubblica. Il secondo è che (quasi) tutti parlano della scuola senza aver un’idea chiara delle norme che la regolano, ma soprattutto senza precisa consapevolezza di ciò che la scuola è oggi, tenendo come termine di paragone la scuola della propria adolescenza o, peggio, un improbabile stereotipo frutto di suggestioni totalmente avulse dalla realtà.

Preciso subito che questo intervento non intende entrare nello specifico di ciò che è accaduto a Rovigo. È stata attivata un’ispezione e quindi spetta a chi guarda le cose da vicino pronunciarsi sui fatti accertati. Il Caso Rovigo, però, può rappresentare una interessante occasione per tornare a riflettere sul voto di comportamento, su come i più pensano che venga attribuito e sulla sua efficacia sul curricolo degli studenti.

La normativa

Innanzitutto, la normativa ha voluto, a mio giudizio impropriamente, sostituire il termine condotta con comportamento. In realtà la condotta è la somma dei comportamenti tenuti da uno studente verso i docenti, i compagni, le singole discipline di studio e i beni materiali della scuola. Questo si ricava già da una attenta lettura dell’Art. 38 del vecchio Regio Decreto (gentiliano) 4 maggio 1925 come modificato e integrato dal R. D. 21 novembre 1929 n. 2049. Quindi il voto di condotta dovrebbe considerare una molteplicità di aspetti e raggiungere il massimo, questo succedeva per prassi, solo in caso di unanimità dei docenti. In ogni caso il voto di condotta, fino al 2009 aveva un’impor­tanza fondamentale. Infatti, l’Art 82 del R. D. 1054/1923 fissava come requisiti minimi per ottenere la promozione alla classe successiva il punteggio di 6 in tutte le materie e di 8 in condotta. Una sostanziale modifica fu poi introdotta dal R. D. 2049/1929, che all’Art 38 testualmente recitava:

«Gli alunni che, nello scrutinio finale, non riportino almeno otto decimi nel voto di condotta sono esclusi dalla promozione senza esame. Gli alunni che non riportino almeno sei decimi nello scrutinio finale per la condotta sono esclusi dalle prove di riparazione per la promozione e dalla prima sessione per tutti gli altri esami, compresi quelli di maturità e abilitazione. Contro la esclusione di cui al comma precedente è ammesso il ricorso, analogamente al disposto dell’art. 19. Sono parimenti esclusi dalla prima sessione di qualsiasi esame gli alunni che, nello scrutinio finale, non riportino almeno cinque decimi del massimo dei punti da assegnarsi per il profitto.»

Le conseguenze di questa contorta formulazione erano in pratica le seguenti:

  • chi non riceveva almeno otto in condotta allo scrutinio finale di giugno (quindi si trovava ad avere sette o sei) poteva aspirare alla promozione solo superando gli esami di riparazione a settembre, (istituzione abolita nel 1995, sostituita poi dalla “sospensione del giudizio” attualmente i vigore);
  • chi aveva l’insufficienza in condotta, quindi meno di sei, veniva escluso sia dalle prove di riparazione sia dalla sessione estiva di ogni altro esame; quindi poteva solo o re-iscriversi come ripetente alla classe che aveva frequentato o tentare da privatista (suicidio scolastico!) la sessione autunnale degli esami di idoneità.

Il nuovo corso

Questa era la prassi sedimentata in ottant’anni di vita scolastica. Alla fine degli anni Novanta, in coincidenza con un progressivo allargarsi della frequenza scolastica, venne approvato lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti[1], il cui Art. 4.3 recita testualmente: “Nessuna infrazione disciplinare connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto.”. Ma il vero cambiamento avvenne con il DPR 122 del 2009, che introdusse una novità assoluta nell’ordinamento italiano, talmente fuori dagli schemi ordinari e dalla sensibilità valutativa dei consigli di classe, che ancora oggi non è stata assorbita e digerita del tutto nella prassi dei docenti.

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L’Art. 4.5 di questo DPR stabilisce infatti che si possa essere ammessi alla classe successiva con almeno 6 in tutte le discipline e 6 in comportamento, abbassando di colpo e senza nessuna riflessione preparatoria la soglia minima del voto di comportamento per la promozione. Non solo, ma lo stesso articolo introduce anche il principio che il voto di comportamento “faccia media” per l’attribu­zione del credito scolastico.

Di qui il paradosso: una pagella con tutti sei, può vedersi innalzare la media per un 9 o un 10 nel comportamento. Si dovrebbe quindi dare un sei o al massimo un sette anche nel comportamento? Ma come fare se non ci sono elementi negativi tali da motivare una simile valutazione? In realtà nella stragrande maggioranza dei casi il voto di comportamento è servito, con l’approvazione spesso ideologica e non infrequentemente sentimentale ed emotiva di molti consigli di classe, proprio a ritoccare verso l’alto medie troppo basse. Anzi, da molti docenti di discipline caratterizzanti, ritenuti i più severi (greco, latino, filosofia, matematica, fisica, tecnica etc. etc.), questo “fare media” è stato considerato un elemento di forte disturbo alla precisa definizione del profilo valutativo di uno studente.

Ora, un’interpretazione meccanica e illogica di quanto stabilito dallo Statuto delle Studentesse e degli Studenti all’Art. 4.3, citato sopra, confrontato con il dispositivo del DPR 122/2009 che ribadisce all’Art. 4.2 «La valutazione del comportamento concorre alla determinazione dei crediti scolastici e dei punteggi utili per beneficiare delle provvidenze in materia di diritto allo studio», porterebbe a ritenere che, anche in presenza di pesanti provvedimenti disciplinari, la diminuzione del voto di comportamento sia da considerarsi un atto palesemente illegittimo, in quanto, appunto, ha per conseguenza la violazione di quanto disposto dallo Statuto, ovvero che «Nessuna infrazione disciplinare connessa al comportamento può influire sulla valutazione del profitto.»

In realtà le disposizioni di legge sono molto più varie e articolate. Lo stesso DPR 122/2009 all’art 7.2 prevede, infatti, che in alcuni casi di particolare gravità si possa attribuire al comportamento anche un voto inferiore a 6, la cui conseguenza ineludibile sarebbe la non ammissione all’anno successivo: «La valutazione del comportamento con voto inferiore a sei decimi in sede di scrutinio intermedio o finale è decisa dal consiglio di classe nei confronti dell’alunno cui sia stata precedentemente irrogata una sanzione disciplinare ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni, e al quale si possa attribuire la responsabilità nei contesti di cui al comma 1 dell’articolo 2 del decreto-legge[2], dei comportamenti:

a) previsti dai commi 9 e 9-bis dell’articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni;

b) che violino i doveri di cui ai commi 1, 2 e 5 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249, e successive modificazioni.»

Preciso che sub a) sono compresi «reati che violano la dignità e il rispetto della persona umana o vi sia pericolo per l’incolumità delle persone» e i «casi di recidiva, di atti di violenza grave», per i quali è prevista la possibilità di un allontanamento definitivo dello studente responsabile fino alla fine dell’anno scolastico e persino l’esclusione dallo scrutinio finale. Sub b) sono invece indicati i doveri di impegno e frequenza, di rispetto verso il preside, i docenti, il personale non docente, i compagni e i beni materiali.

In ogni caso a un quadro di linee d’azione relative alla “patologia” delle relazioni, si contrappongono in materia di comportamento le disposizioni di un altro importate testo normativo, il D. Lgs 62/2017[3], che traccia un percorso fondamentale, in quanto connette il comportamento alle competenze di cittadinanza e quindi si richiama ai valori della Costituzione e dei documenti che, all’epoca in cui fu emanato, rinviavano all’insegnamento di “Cittadinanza e Costituzione” nonché alle competenze chiave fissate dal Decreto sull’obbligo scolastico, il DM 139/2008.

Oggi il ritorno dell’Educazione Civica[4] come disciplina scolastica rafforza ulteriormente questa impostazione, che da un lato ammette la possibilità di insegnare valori che sono alla base di un comportamento corretto, dall’altro configura non solo un insieme di riferimento “formale” per la valutazione del comportamento, ma àncora il “non formale e l’informale”, intesi come sensibilità comune e immaginario collettivo, a un corredo di documenti nei quali non possono non riconoscersi tutti coloro che hanno una visione democratica e dinamica della scuola.

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La problematicità del presente

Mentre scrivo queste righe giunge la notizia che il Consiglio di Classe dell’IIS “Viola-Marchesini” di Rovigo, riconvocato dalla Preside su indicazione del Ministro, ha abbassato i voti di comportamento degli studenti responsabili del grave gesto, perché la valutazione si era basata solo sul secondo quadrimestre, mentre in realtà il citato Decreto-legge, convertito nella L. 169/2008, prevede chiaramente che «in sede di scrutinio intermedio e finale [venga] valutato il comportamento di ogni studente durante tutto il periodo di permanenza nella sede scolastica».

Ora si potrà (e dovrà) riflettere sul fatto che il Ministro possa far riconvocare un organo collegiale affinché, secondo il principio di autotutela, venga cambiata una deliberazione definitiva che può essere impugnata solo davanti a un TAR o con ricorso al Presidente della Repubblica. Ciò che mi preme sottolineare qui è piuttosto che, sulla base del combinato disposto di una Legge, di tre DPR e di un D. Lgs, è ad oggi ben possibile e legittimo per un Consiglio di Classe prendere una decisione che assegni ai responsabili di un gesto gravissimo una valutazione appena sufficiente o persino insufficiente. Le norme in vigore difendono i diritti, ma non sottovalutano né omettono i doveri. Il problema è, come sempre, nella lucidità di chi, in riferimento alle norme scritte, delibera e sa calibrare bene le decisioni sulla complessità dei fatti accertati.

In ogni caso, una lunga esperienza in questo campo mi porta a ritenere che la normativa attuale sia farraginosa e, a mio giudizio, in qualche caso inadeguata, specialmente negli aspetti di procedura delle sanzioni disciplinari; la delicatezza delle situazioni e un sostanziale rispetto della privacy dei soggetti coinvolti suggeriscono che tali questioni siano affrontate dalla sola componente docenti[5]. In ogni caso sono maturi i tempi perché “sine ira ac studio” il nodo della valutazione del comportamento debba essere ripreso e sottoposto ad attento vaglio critico, alla luce di un nuovo quadro delle relazioni sociali e di fenomeni di violenza che in passato erano impensabili nella scuola.

Lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti risente di un clima culturale fortemente garantista e nasce dal timore che atteggiamenti vessatori dei docenti possano manifestarsi nei confronti degli studenti che esprimano dissenso o forme di protesta tali da sconfinare in azioni contro la legge. In altre parole, il timore di quegli anni (e di quella temperie politica) era che le cosiddette “occupazioni” e i cosiddetti “scioperi” degli studenti si riverberassero negativamente sulle valutazioni di materia, dal momento che spesso i capi della protesta erano gli studenti più impegnati e scolasticamente brillanti.

Oggi le cose sono molto cambiate. Le proteste giovanili sono sempre di più collegate a fenomeni globali come l’inquinamento, le fonti di energia, lo sviluppo sostenibile e sono condivise da tutti. Inoltre, l’insieme dei ragazzi che frequenta la scuola è molto più ampio che in passato, anche se, in assoluto, l’universo giovanile è diminuito. Oggi universo scolastico e universo giovanile sono di fatto coincidenti. Il problema, quindi, non è più il garantismo datato anni Settanta, ma il rispetto delle diversità, la lotta al bullismo, alle baby gang, alle forme di isolamento e/o di plagio mediante i social, alla cosiddetta internet addiction, ovvero la dipendenza da internet e dagli strumenti digitali: fenomeni, si badi bene, che non hanno colore di pelle, accenti particolari di lingua, distinzioni di censo o di classe.

Che fare?

Qualcuno, propone di ritornare a bocciare, per ridare prestigio ai docenti, come se questo risolvesse i problemi e non aprisse un cataclisma di contenziosi e conflitti; qualcun altro, sempre in un’ottica fortemente teorica, se non ideologica, pensa persino che debba essere abolito il voto di condotta, in quanto la scuola dovrebbe educare alla responsabilità e al dialogo con metodi educativi e non con i ricatti valutativi. Sono opposti estremismi di chi probabilmente non sa cosa sia la scuola d’oggi, in particolare la secondaria di primo grado, o ne conosce solo una parte. E dunque che fare?

Io penso che innanzitutto vada ben configurato il comportamento generale come insieme dei comportamenti particolari. In secondo luogo, che il voto di comportamento non vada sommato ai voti di materia, ovvero non debba più “fare media”. Il credito scolastico deve dipendere solo dai voti delle singole discipline e rappresentare i risultati reali conseguiti da uno studente con lo studio personale. Infine che il limite per l’esclusione dallo scrutinio finale vada alzato a sette, per cui:

  • 10 corrisponda al comportamento d’eccellenza e sia assegnabile solo all’unanimità del consiglio di classe;
  • 9 sia attribuibile a un comportamento ottimo, ma non rappresenti l’eccellenza;
  • 8 consenta ancora la promozione, ferma restando la valutazione positiva sulle materie, ma si basi obbligatoriamente sulla segnalazione sul registro di classe di comportamenti scorretti;
  • 7 derivi come conseguenza di provvedimenti disciplinari deliberati dal consiglio di classe e sia condizione sufficiente perché, anche in presenza di tutte sufficienze comporti la sospensione del giudizio e la verifica su tutte le materie a fine agosto;
  • 6, infine, sia assegnabile solo come conseguenza di provvedimenti disciplinari deliberati dal consiglio di istituto per comportamenti di estrema gravità e condizione sufficiente, ma necessaria, per la non ammissione allo scrutinio finale.
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Le valutazioni negative del comportamento (dal 5 in giù) dovrebbero essere attribuite solo in seguito a gravi atti di violenza e/o di offesa nei confronti delle persone e delle cose e, anche se deliberate nel primo periodo valutativo, dovrebbero obbligatoriamente essere conseguenti almeno a denunce alla magistratura (in genere minorile) e prevedere sempre in parallelo il ricorso ai servizi sociali del comune o dell’ASL, nonché l’esclusione dalla comunità scolastica, non in un’ot­tica punitiva, ma nella prospettiva di una rieducazione mediante l’affido a famiglie disponibili o inserimento del o dei responsabili in comunità appositamente strutturate allo scopo.

Il principio che la scuola deve educare non può non intrecciarsi con l’altro, ovvero che la scuola deve poter educare; ma per far questo non deve essere delegittimata, derisa, insultata e chiamata sempre a svolgere servizi di emergenza perché altre agenzie educative sono assenti, inerti, inefficaci o inesistenti.

Il voto di comportamento, se opportunamente strutturato e assegnato secondo criteri di base definiti per tutto il sistema, ancorché interpretati e calati dai regolamenti scolastici nelle situazioni territoriali, è uno strumento fondamentale e imprescindibile per creare quel senso di responsabilità che, dopo la scuola, la vita metterà a dura prova. Si tratta quindi di promuovere la cultura della responsabilità, il senso della realtà e della sua irreversibile concretezza, la matura consapevolezza che lo studio non può essere pensato e vissuto come mero addestramento tecnico funzionale alla produttività e separato dalla dimensione etica e civile del sapere. Se non ha gli strumenti per prevenire e intervenire, sempre e comunque nella prospettiva dell’educa­zione, mai in quella della discriminazione, la scuola sarà sempre più debole e inadeguata alla complessità dei nuovi sistemi sociali.

Il sintomo è già evidente e preoccupante: l’istruzione parentale, che rifiuta come pericolosa o inadeguata l’istituzione scolastica, va diffondendosi sempre di più, specialmente nella primaria e nella secondaria di primo grado. Le conseguenze di questo fenomeno forse non sono chiare a tutti, ma chi nella scuola ci vive e lavora vede il rischio di un ulteriore virus di disgregazione sociale, di radicalismo individualistico e isolamento censitario. E qui non c’entrano più né l’educazione né il diritto amministrativo, ma la visione politica e la responsabilità culturale di una generazione.


[1] DPR 249/1998, successivamente modificato dal DPR 235/2007

[2] Decreto-legge 1° settembre 2008, convertito in legge con modificazioni dalla L. 30 ottobre 2008 n. 169 dal cui Art. 3 dipende la emanazione dello stesso DPR 122/2009.

[3] D. Lgs 62/2017 Norme in materia di valutazione e certificazione delle competenze nel primo ciclo ed esami di Stato.

[4]Legge 20 agosto 2019, n. 92, Introduzione dell’insegnamento scolastico dell’educazione civica, in Gazzetta Ufficiale, Serie Generale n. 195 del 21-08-2019.

[5] Per esempio non è opportuna questa indicazione: «con riferimento al Consiglio di classe si deve ritenere che l’interpretazione maggiormente conforme al disposto normativo (art. 5 D. Lgs. n. 297/1994) sia nel senso che tale organo collegiale quando esercita la competenza in materia disciplinare deve operare nella composizione allargata a tutte le componenti, ivi compresi pertanto gli studenti e i genitori.» Nota 3602/P0 del 31 luglio 2008.

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