Tra le notizie battute dalle agenzie di stampa in questi giorni, vi è quella del ritorno del lupo in Italia, capace di ripopolare il 23,02% del nostro territorio (AdnKronos, 3 dicembre 2018), dato statistico che appare certamente in controtendenza rispetto a quello degli anni Settanta, periodo in cui l’animale era quasi scomparso. La notizia, specialmente per i veronesi frequentatori della Lessinia, non rappresenta affatto una sorpresa. Da anni, ormai, gli allevatori delle nostre terre sollevano il problema della presenza del lupo nei loro pascoli, a ridosso delle stalle. Tutto ebbe inizio nel 2012, quando le cronache locali diedero la notizia che un lupo, poi battezzato Slavc, era stato immortalato dalle fototrappole della zona. Il primo, dunque, fu un esemplare di nascita slovena, che trovò l’amore in una nostrana Giulietta. Si stabilirono in Lessinia, formando un primo branco da cui poi ebbero origine i successivi. È, questa, una perfetta storia d’amore e d’immigrazione a lieto fine, in cui a Slavc non fu chiesto passaporto o visto d’ingresso. Solo qualcuno, al tempo, tentò di seminar zizzania ipotizzando che Giulietta in realtà non fosse lupo, ma canide. Che scandalo sarebbe stato, al giorno d’oggi nemmeno un lupo può accoppiarsi con chi gli pare. Fortunatamente e con buona pace dei detrattori della lupesca coppia, venne poi confermata la “purezza” di Lei attraverso dettagliate analisi genetiche e i due poterono così insediarsi felicemente in un anfratto italico o magari sotto a un pino cembro. E vissero felici e contenti, direbbe qualcuno.

Forse per loro è davvero così, chissà. Noi, viceversa, rimaniamo ad ascoltare e leggere periodicamente polemiche senza fine, in cui si discute se il lupo possa coesistere o meno con un ambiente fortemente antropizzato, se si debba procedere o meno ad abbattimenti controllati o se si debba intervenire con qualche forzosa espulsione, con revoca del diritto di asilo. Mi domando cosa prevedano gli accordi bilaterali tra Italia e Slovenia in tema di restituzione dei lupi altrui, perché in fondo si discute anche qui di gestione dei flussi migratori. Il lupo semplicemente va dove trova cibo, nei luoghi che l’uomo abbandona (salvo pochi temerari allevatori e le loro bestie) e nei quali le istituzioni spesso tralasciano politiche di valorizzazione del territorio e delle sue peculiarità. Ma quali sono i cosiddetti “posti da lupi” in Lessinia, dove oggi si possa percepire con più emozione e anche un filo d’ansia la presenza di questo animale, talmente schivo da non essere quasi mai avvistato, ma così presente nell’immaginario collettivo fin dalla nostra infanzia?

Salendo verso l’alta Lessinia c’è un luogo che richiama il lupo e le secolari leggende ad esso legato, ma anche le migrazioni delle genti e tempi di povertà e sofferenza: è la Contrà Spiazzoi, poco distante dalla strada che collega il moribondo abitato di San Giorgio a Camposilvano e Velo. Un tempo era una locanda, l’unica che rimaneva aperta anche d’inverno, e rappresentava un punto di sosta obbligato per chi attraversava l’altopiano provenendo dalla Val d’Adige o dalla Val d’Illasi o seguendo chissà quali altre rotte antiche. Brava gente, allevatori, perditempo e forse anche briganti, agli Spiazzoi probabilmente un tempo si incontrava ogni tipo di gente. Oggi è solo un luogo di passaggio per qualche escursionista e d’estate una zona d’ombra nei pressi di alcuni maestosi alberi sempreverdi; dalla costruzione si intuisce quel che fu di un’osteria, un ricovero per animali e una chiesetta, quasi dominante rispetto al restante caseggiato.

Provate a salire agli Spiazzoi in un giorno di gennaio inoltrato, verso l’imminente tramonto. Provateci quando fiocca leggera e fitta con il vento artico che si insinua tra corpo e vesti, salvo quando ci si accuccia dietro a qualche muretto a secco. Il vento vi accompagna fedele e mai domo mentre qua e là fa diradare le nubi di bassa quota. Provate ad immaginarlo in viaggio, tracciatene il percorso mentre scende giù dritto dalla Finlandia e, dopo aver attraversato le pianure continentali, si infrange come un maremoto sulle Alpi; scrutatelo mentre cerca un pertugio tra le valli, mentre percorre gli altopiani consacrati alla Grande Guerra e, mitigato solo in parte, inonda la Lessinia proprio quando avete deciso di dedicare qualche ora a curiosare agli Spiazzoi. Non è un luogo che si nota dalla strada e occorre scendere giusto qualche metro verso la Val Squaranto per imbattersi in quella che fu l’osteria. La visibilità è poca, si intuiscono le forme di una radura, ma non ne potete intuire profondità e vegetazione, mentre nebbia e oscurità ormai si confondono. Non può che cogliervi un senso di vertigine e disorientamento. È in questo momento che si può percepire la presenza del lupo, forse di Slavc o di qualche suo erede: potrebbe essere lì, di fronte a voi a pochi metri che vi osserva con istintiva diffidenza, che prende confidenza con odori nuovi e invisibile si fa beffa di voi. Provate ad allontanarvi dal caseggiato giù per la radura; a quel punto forse sentirete un lembo di vento scendervi lungo la schiena vanificando ogni vostra strategia protettiva e certamente cercherete di scorgere in un’ombra una forma simile a un animale senza che le vostre gambe riescano a muoversi verso il profilo ignoto o, per timore, in direzione opposta. Vi sentirete come un certo Bartoldo di Velo: tra cronache e leggenda, si narra che si trovò di fronte ad un lupo, proprio lì dove ora state osservando la neve ricoprire le vostre scarpe, in una notte come quella a cui state andando incontro. Bartoldo per salvarsi si liberò del pane che aveva e lo diede in pasto al lupo, potendo contare di ristorarsi agli Spiazzoi. E voi? Limitando i movimenti per camminare nel silenzio ritornate verso la locanda, provate ad aprire il portone, ma è chiuso. Un misto di frustrazione e impotenza vi assale. Pensate a Bartoldo… nemmeno il pane avete portato con voi. E ora?