Bernardo Bertolucci ci ha abbandonato in silenzio, senza clamori al contrario della sua idea di cinema cosi intransigente e senza compromessi. La malattia lo accompagnava da lungo tempo ma è riuscito comunque a rimanere lucido e ben presente nella vita culturale italiana e mondiale: il suo ultimo lungometraggio risale al 2012: Io e Te.

Bertolucci (1941 – 2018) nasce a Parma, figlio del grande poeta e critico Attilio , muove i primi passi anche verso la letteratura con i primi componimenti in versi. In adolescenza si trasferisce a Roma e si iscrive alla Facoltà di Lettere che abbandona da li a poco per seguire quello che sarà la sua passione per tutta la vita: il cinema. Diventa assistente di Pier Paolo Pasolini per il film AccattoneDopo l’esordio cinematografico con la Commare Secca (1962), legata a temi e suggestioni prettamente pasoliniane, il cineasta parmense inizia il suo discorso autoriale con tre importanti pellicole: Prima della Rivoluzione (1964), Il Conformista (1970) e La strategia del ragno (1970). In quest’ultima opera si segnala la presenza come protagonista dell’attore veronese Giulio Brogi, attivo per tutti gli anni ‘60 e ‘70 con i grandi registi italiani sia in teatro che al cinema

E’ proprio in questo lasso di tempo che si definisce il suo immaginario cinematografico che si nutre di suggestioni letterarie (Borges, Moravia, Dostoevskij) e, grazie anche alla collaborazione con il direttore della fotografia Vittorio Storaro, riesce a rendere plastica la sua visione di cinema attraverso il colore e i simbolismi ad esso legati. Bernardo accoglie profondamente le suggestioni della Nouvelle Vague francese e della “politica degli autori”, “[…] lo scopo non divenne quanto il film avrebbe potuto simulare la realtà attraverso la tecnica e la prossimità, ma divenne piuttosto l’interrogativo sull’essenza del cinema come rappresentazione, riflessione sulla realtà.” La vita si confonde con la finzione, il cinema diventa la realtà, il cineasta tenta di staccarsi dalla provinciale ed amata/odiata Parma per ricostruire un’identità più internazionale. Un pensiero filmico che aderisce con la realtà con cui si scontra senza trovare risposte agli interrogativi: da un lato la precisione millimetrica di ogni inquadratura, dall’altra la consapevolezza della gioia del flâneur baudelariano che vaga per la città filmando le emozioni del paesaggio.

E’ il 1972 Ultimo Tango a Parigi sconvolge la provinciale Italia. Marlon Brando e Maria Schneider intrecciano il loro drammatico amore senza nomi e identità in un turbinio di eros e thanatos, giocando alla vita. La pellicola viene sequestrata per offesa al comune senso del pudore e lo scandalo amplifica a livello internazionale la sua fama.

L’artista emiliano diviene ancor più cosmopolita e plasma il suo film più personale, Novecento del 1976: un grande affresco della storia d’Italia dai primi del novecento sino alla Liberazione, nell’aprile del 1945, raccontata nell’amata bassa padana che riesce a coniugare il regionalismo e la cultura popolare con la grandi produzioni in stile hollywoodiano.

Se con la Tragedia di un uomo ridicolo (1981) torna ad un linguaggio più intimista e sornione (coadiuvato dalla notevole interpretazione di Ugo Tognazzi) con le successive opere, L’ultimo imperatore (1987), Il te’ nel deserto (1990) ed il Piccolo Buddha (1993), ripresenta lungometraggi dal respiro internazionale premiati da copiosi riconoscimenti. Se però le produzioni sono ricche, per la presenza di notevoli budget e attori di grido (John Lone, John Malkovich, Debra Winger, Keanu Reeves), i temi e lo sviluppo cinematografico non mutano: la perdita dell’identità e delle certezze, le facili consolazioni della religione, il rapporto con il padre e la psicoanalisi, Si accresce una sorta di estetismo visuale ed auto ironico. Continua la preziosa collaborazione con Vittorio Storaro, imprescindibile il suo apporto su alcune pellicole, e nasce il rapporto con il musicista Ryūichi Sakamoto autore di alcune memorabili colonne sonore.

Le ultime pellicole Io ballo da sola (1996), L’assedio (1998) e The Dreamers (2003) aggiungono ben poco, forse, ad uno degli ultimi determinanti cineasti italiani in gioco tra suggestioni autoriali d’oltralpe, sguardi al nuovo cinema americano (Scorsese, Coppola, Cimino) e la voglia di giocare al cinefilo. Il suo cinema è definitivamente irrisolto e legato alla vita, al presente, all’hic et nunc, senza concessioni e che, amaramente, tenta di chiudere gli occhi per sognare, forse seguendo l’adagio di Rimbaud per cui la vera vita è altrove.