«La luce può fare tre cose: valorizzare, descrivere e cancellare». È una definizione di Federico Fellini amata da Gianni Ravelli, architetto e scenografo ma soprattutto tra i più noti progettisti di luce italiani. «Il grande maestro aveva un’attenzione straordinaria per l’illuminazione e il colore nelle scene dei suoi film. Ai miei studenti della Scuola di Design del Politecnico di Milano lo cito sempre: occorre partire da questi concetti quando si progetta. Non solo per gli interni ma anche per gli esterni.»

La luce è al centro dei progetti del vostro studio che hanno attirato l’attenzione di grandi media nazionali.
«In Italia è cresciuta la sensibilità sul tema. In qualche modo abbiamo iniziato a metterci sulle tracce della Francia, all’avanguardia nella cura dell’arredo urbano e dunque anche nell’illuminazione pubblica. Loro sanno valorizzare città che non sempre possono eguagliare la bellezza delle nostre. Una corretta illuminazione può migliorare ed enfatizzare la gradevolezza di uno spazio, di un luogo, così come far scomparire eventuali parti che si desidera nascondere.»

D’altronde Parigi è soprannominata “Ville Lumiere”.
«I francesi hanno una grande tradizione nel settore e sono molto bravi anche a descrivere monumenti ed edifici. Per noi sono un punto di riferimento. Ad esempio, un paio di anni fa con il nostro studio [CastagnaRavelli, N.d.R.] abbiamo illuminato il Piccolo Teatro di Milano, con l’obiettivo di raccontare l’architettura di Zanuso, che di notte restava nell’ombra.»

Il Teatro Strehler

A Milano giocate in casa.
«È una città in pieno fermento. Lì abbiamo sviluppato i nostri progetti più conosciuti e anche collaborato con un designer del calibro di Ingo Maurer. Come ad esempio l’illuminazione di Torre Velasca. Quando l’abbiamo colorata di rosso alcuni milanesi inizialmente sono rimasti un po’ spiazzati. Poi quando hanno capito che un edificio storico e simbolico può essere anche letto in maniera differente, abbiamo ricevuto grandi consensi.»

Mettersi alla prova con la storia è una grande sfida.
«Un aspetto gratificante è il riscontro che ci arriva dai cittadini. Come nel caso del Duomo con l’illuminazione delle vetrate dall’interno. Una scelta innovativa che ha trasformato in colore ciò che di notte, per secoli, appariva nero, e che solo da dentro si poteva ammirare. Abbiamo ricevuto centinaia di mail di complimenti che ci hanno confermato la bontà del lavoro, ma anche capito quanti margini di miglioramento ci possano essere nel mondo dell’illuminazione urbana. Tuttavia se dovessi promuovere un progetto innovativo in Italia, oggi partirei da Verona.»

Per quale motivo?
«La conosco bene ed è bellissima, sia dal punto di vista architettonico che morfologico. Possiede un ricco patrimonio storico ed è accogliente. Ma soprattutto perché la ritengo, paradossalmente, con grandi potenzialità inespresse. Con qualche ritocco potrebbe valorizzare ulteriormente la propria unicità e, nello stesso tempo, trasformarsi in una città all’avanguardia nel nostro Paese.»

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è velasca-444x255.jpg
Torre Velasca colorata di rosso (2016)

Se mi passa la battuta, potrebbe mettersi ancor di più sotto una buona luce?
«Un’efficace illuminazione cittadina significa anche miglior qualità delle vita. È uno stimolo a uscire più volentieri la sera ma significa anche risparmio energetico e
maggiore sicurezza, sia nel centro che soprattutto nei quartieri periferici. Nessuno lo dice mai ma dove c’è migliore luce cala la micro criminalità.» 

Si spieghi meglio.
«Una buona illuminazione non significa banalmente avere più o meno lampioni ma piuttosto coprire meglio gli spazi. Il che permette un beneficio per tutto il contesto complessivo, inquinamento incluso. Prendo come esempio Lione, che tra l’altro è la sede del Festival della Luce. È stata la prima città al mondo ad aver previsto un “Piano d’illuminazione” che programma, negli anni, una condizione omogenea nel perimetro urbano.»

Incluse le periferie?
«Certo, perché il piano analizza ogni settore e valuta dove occorre rafforzare l’illuminazione. A Lione la nuova copertura ha creato valore nella parte monumentale del centro storico ma soprattutto il grande salto di qualità lo si è visto nei quartieri esterni.»

E a Verona cosa si potrebbe fare?
«Penso sia perfetta per lanciare un progetto pilota italiano. Per dimensioni e tipologia del territorio, dal punto di vista di un’eventuale complessità degli interventi e dunque tempi e costi di realizzazione, con sforzi relativi si otterrebbe una maggior efficacia rispetto a, per dire, Roma o Milano. Inoltre, come sappiamo, è una delle principali mete turistiche del paese: dotarsi di un piano di illuminazione sarebbe un eccellente veicolo promozionale, che ne confermerebbe gradevolezza e sicurezza.»

L’illuminazione attuale non va bene?
«Parlo da tecnico: come peraltro la maggior parte delle nostre città, è molto migliorabile. Certamente nelle periferie, ma anche nel centro storico. Vista la nostra esperienza sul campo, ci piacerebbe dare una mano al Comune. Da parte nostra siamo disponibili a studiare un nuovo piano luci.»

Non è semplice sviluppare progetti innovativi in Italia, Milano a parte.
«È vero, anche se a Verona, per quanto riguarda il tema della luce cittadina, so che esiste una sorta di consapevolezza anche nelle istituzioni.»

Ovvero?
«Qualche anno fa mostrammo alla Soprintendenza un progetto relativo all’illuminazione esterna all’Arena su tutta la piazza. So che era molto piaciuto anche se poi l’idea è rimasta nel cassetto. Chissà che non si possa riprenderla. L’Arena però non è l’unico luogo a cui potrebbe giovare un intervento: anche Portoni Borsari, con qualche ritocco, sono certo che accrescerebbe il proprio fascino, per certi versi sottovalutato.»

Piazza Bra con l’Arena

Piazza Bra è il manifesto della città nel mondo.
«Proprio per questo occorre curare ogni dettaglio in spazi così incantevoli. Come ogni piazza dalle grandi dimensioni, anche questa presenta problematiche ed aspetti che possono essere meglio calibrati. Allo stato attuale, oggi la luce in Bra risulta un po’ dispersiva. L’Arena poi è uno dei pochissimi monumenti archeologici al mondo utilizzati per lo spettacolo, dunque intervenire sull’illuminazione esterna è importante quanto quella interna.»

Altro luogo simbolo è Ponte Pietra. Qualche idea?
«I ponti sull’Adige sono straordinari ma sono convinto che se Verona seguisse proprio l’esempio di Lione ne gioverebbe anche il punto di vista scenografico. Migliorandone, ad esempio, l’effetto dei riflessi sull’acqua. Ma luce non significa solo estetica, sia chiaro. Nell’ambito dell’ultimo Salone del Mobile di Milano abbiamo sviluppato un’installazione prodotta dal Corriere della Sera con uno studio sugli effetti sulla salute mentale e fisica, in collaborazione con il Politecnico e Policlinico di Milano.»

Per migliorare la qualità di vita, insomma?
«Esattamente. La nostra installazione era strutturata da sette stanze, in ognuna delle quali il pubblico veniva sottoposto a una luce differente e, contemporaneamente, svolgeva un test sulla memoria neuro cognitiva e sulla capacità di calcolo. Abbiamo raccolto i dati di circa quattromila persone. Una specie di manna per i ricercatori.»

Il team CastagnaRavelli

Quanti dati si raccolgono solitamente?
«Poche centinaia. Abbiamo avuto anche un aiuto importante da un medico veronese. Si chiama Andrea Pighi e da anni collabora con noi su progetti relativi a luce e salute. In questo caso ha ricoperto il ruolo di coordinatore tra il nostro studio e l’equipe di ricercatori guidati dal Professor Scarpini, neurologo del Policlinico di Milano e direttore del Centro Alzheimer.»

Progetti per il futuro?
«Un’importante ricerca che stiamo perseguendo è legata all’illuminazione negli ospedali. Una luce migliore contribuisce a migliorare il quadro psicologico di un luogo dove, ahimè, notoriamente si soffre, ma può anche contribuire ad accelerare la convalescenza. Poi, nel frattempo, chissà che non ci si riveda in Piazza Bra.»