Venerdì scorso era la festa della donna, ricorrenza internazionale che sul suolo patrio generalmente avvantaggia, com’è noto, soprattutto fioristi e organizzatori di eventi con ricchi premi e cotillon per fanciulle desiderose di festeggiare il loro “sostenere la metà e più del cielo” (cit.). Così recita uno dei tanti aforismi postati sui social o mandati con invio multiplo stile un natalizio “auguri a te e famiglia” più o meno fantasioso. Eccerto. Perché in questo giorno magico in cui si celebrano tutte le donne in quanto tali – è un po’ come coi morti, che non appena sono sotto terra si commemorano sempre e comunque – fioriscono non solo le mimose, di cui l’universo mondo ignora beatamente l’esistenza per i restanti 11 mesi all’anno, ma anche tutto un florilegio di frasi e immagini parecchio variegate.
Le stesse sono, di solito, già approntate in formato social o wup, in una specie di fiera del “just click” o del “prêt-à-poster” a prova di mona, per dirla in veronese colto. Basta solo scegliere, a seconda della destinataria o del grado di originalità desiderato. Si va dal tradizionale “auguri a tutte le donne” su sfondo giallo mimosa e/o rosa rossa con effetti più o meno sbrilluccicosi a roba sottilmente più foriera di ansie da prestazione come “Bella come Afrodite, saggia come Atena, forte come Ercole, e più rapida di Mercurio. Auguri per la festa della donna!” (cit.) o a generici “Non devi cercare di essere una grande donna, già il fatto di essere donna, ti rende grande!” (cit., compresa la virgola dopo “essere donna” che era così) – e qui vedasi il succitato discorso sui morti sempre fantastici.
Insomma, eccezion fatta per il/la responsabile marketing di Trenitalia ideatore/trice dell’ormai celeberrima offerta di una pulciosa gelée al limone o per gli esponenti del comitato leghista di Crotone propagandanti un modello femminile in fashion nella Calabria del 1019, il web non lascia solo nemmeno l’individuo più sprovveduto. Il web permette a chiunque di essere brillante sui social o via messaggio con un semplice copia-incolla di frasi di Chanel, Twain, Dickens, Montalcini o, per i meno raffinati, Bukowski. Il web fornisce a chiunque citazioni, aforismi, cartoline, foto più o meno evocative, consigli e suggestioni, che sotto data sembrano spuntare da ogni dove come e più della polvere quando sposti il divano per le pulizie annuali.
Il che non è proprio proprio una novità, eh. Il fenomeno dell’aforisma “prêt-à-poster” o dell’immagine “just to click” diventa solo più evidente in occasione di ricorrenze ufficiali collettive (San Valentino/la festa della donna/la festa della mamma, del papà o della nonna/Pasqua/Natale/la festa della marmotta sveglia e scattante/la festa della moka senziente che la mattina mette su il caffè da sola/la festa della chat wup delle elementari in cui le mamme parlano solo solo di scuola/ una nuova festa da istituire ad agosto che è un periodo un po’ carente di roba di feste, sarà il caldo che rimbambisce la memoria collettiva) di cui però trascende tempistiche e opportunità.
Se così non fosse, non si spiegherebbero i buongiornissimi e le buonanottissime pucciosi e pieni di gattini e di rose e di fiori e di cuori e di brillantini e di tazze di caffè fumanti e di cappuccini col cuore e di bambini che vogliono abbracciarti e di lune e di stelle e di cuscini sempre coi cuori postati assolutamente fuori data collettiva – in linguaggio gergale potresti dire “ad cazzum” – da quarantenni i cui bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis-bis […] avi erano stati ingiustamente graziati da Erode, il quale era decisamente un uomo. Bello non si sa, ma saggio come Atena, forte come Ercole e più rapido di Mercurio sicuramente no, visti i risultati nelle generazioni successive. Con o senza 8 marzo. E comunque tra poco arriva la festa del papà.
Nel mezzo del cammin di nostra vita/mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita./Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte/che nel pensier rinova la paura!
Tant’è amara che poco è più morte;/ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai,
dirò de l’altre cose ch’i’ v’ho scorte./Io non so ben ridir com’i’ v’intrai,
tant’era pien di sonno a quel punto/che la verace via abbandonai.
Dante Alighieri, Commedia. Inferno, Canto I