Yara Gambirasio è destinata a non poter avere giustizia. Credo che tutti noi – nel metterci nei panni di una vittima – non vorremmo vendetta. Vorremmo la verità. E la verità, sul caso di Yara Gambirasio, dimostra di essere alquanto distante. C’è una verità giudiziaria, da rispettare, ma che non coincide sempre con la verità scientifica. Soprattutto se non si applicano i metodi della scienza.

La sparizione delle tracce di Dna trovate sul corpo della ragazzina scomparsa e poi uccisa a Brembate (Bergamo) nel novembre del 2010, lascia sconcertati. La giustizia ci dice che Massimo Giuseppe Bossetti è il colpevole: è lui l’Ignoto-1 che ha lasciato tracce biologiche sul corpo della ragazzina.

Non voglio entrare nel merito del caso Gambirasio-Bossetti, su cui ho scritto un articolo – grazie anche alle analisi della criminologa Laura Baccaro – che affronta tutti i punti dubbi. Credo, invece, sia importante riflettere su quanto ha scoperto il Corriere del Veneto, nel darci notizia che la Procura della Repubblica di Venezia sta chiudendo l’indagine sulla sparizione dei reperti del Dna trovato sul corpo di Yara.

Ed è importante anche riflettere su come si sono comportati i giornali italiani nel dare la notizia su quella che era una svolta annunciata: l’impossibilità di fare nuovi analisi sui reperti che, considerati una “prova regina”, hanno portato alla condanna di Massimo Bossetti alla pena dell’ergastolo. Il muratore di Mapello, come viene chiamato, non avrebbe quindi il diritto costituzionale di difendersi con un istituto, quello della revisione del processo, previsto dal Codice di Procedura Penale (articolo 630).

Dna - oggetto divino - Yara Gambirasio - Massimo Bossetti - giornale Heraldo.it - articolo di Maurizio Corte - photo CDC Unsplash---
Provette usate per custodire campioni di Dna. Nel caso di Yara Gambirasio, il Dna sul suo corpo sarebbe sparito

Yara Gambirasio e la conservazione dei reperti

Mi colpì come l’avvocato Nicola Salvagni, nell’estate del 2021, richiamò l’attenzione sul fatto che i reperti del caso di Yara Gambirasio fossero a rischio di inquinamento. Se non sono ben conservati – questo era la posizione del legale di Massimo Bossetti – rischiamo di trovarci davanti a tracce senza alcuna possibilità di essere analizzate in contraddittorio.

Qui voglio porre una domanda. La stessa che mi sono posto millanta volte. La domanda è questa: perché gli Stati Uniti, dove la pena capitale è assai diffusa, conservano i reperti (Dna incluso), mentre in Italia i reperti spariscono, vengono manipolati oppure sono inutilizzabili?

Suona alquanto bizzarra, questa cosa tutta italiana. Molti Stati degli Usa praticano ancora la pena di morte. Ora, ti viene da pensare: se mi uccidi perché sono colpevole di un omicidio, vuol dire che non conto più nulla; vuol dire che i mille appelli concessi sono caduti nel vuoto e quindi il caso è chiuso. Non è così, ovviamente. Altrimenti l’Innocent Project – che tratta casi di detenuti ancora vivi – avrebbe smesso di funzionare.

Mi colpì, una decina di anni fa, quando mi interessai dei reperti relativi al caso di Milena Sutter (Genova, maggio 1971). Scoprii che già prima della metà degli Anni Ottanta, ovvero una quindicina di anni dopo la chiusura del caso, i reperti erano stati distrutti. Mi domandai: perché? Non hanno forse più posto in tribunale? Si trattava, in fondo, di un caso dove i reperti importanti erano davvero pochi: i pantaloni, macchiati di orina, di Lorenzo Bozano; la cintura da sub trovata sul corpo di Milena Sutter al momento di recuperare il corpo senza vita in mare; e poco altro.

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Una foto di scena tratta dal docufilm della Bbc sul caso di Yara Gambirasio

In Italia, che ha una procedura penale diversa gli Stati Uniti, è prevista la revisione del processo. Si tratta di un sacrosanto diritto che spetta a tutti noi; e che rende onore al ruolo della magistratura. La logica giuridica si basa sulla possibilità di riesaminare il giudizio, altrimenti non avremmo – procedura non prevista negli Usa – ben tre gradi di giudizio.

Come mai questa fretta di distruggere i reperti del Caso Sutter-Bozano?, mi chiesi. È la stessa domanda che ci possiamo porre con Massimo Giuseppe Bossetti. Il problema non è il tifo di squadra (innocentisti contro colpevolisti) sulle responsabilità di Bossetti. Il problema è lo Stato di diritto, a cui ci richiama sovente il custode della Costituzione, il presidente Sergio Mattarella. Spetta allo Stato, nelle sue articolazioni, attuare i principi costituzionali.

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Il giornalismo ha un ruolo importante nelle investigazioni e nella comunicazione sulla giustizia

Il ruolo dei giornali su crimine e giustizia

Il problema non è però soltanto nel fatto giudiziario per sé stesso: sia per Yara Gambirasio (anno 2010) che per Milena Sutter (anno 1971), entrambe tredicenni. Vi è un nodo non meno delicato: quello dei giornali. Nel caso di Yara Gambirasio, un articolo di Nicoletta Apolito – che ha discusso anni fa una tesi all’Università di Verona su Bossetti visto dai giornali – evidenzia limiti e caratteristiche della rappresentazione che la Bbc dà del caso di Brembate.

Nel caso di Milena Sutter, la morte – a fine giugno 2021 – di Lorenzo Bozano, condannato all’ergastolo nel 1975 come rapitore e assassino della ragazzina genovese, ha scatenato i media italiani. E’ stato definito, seguendo un input giunto da un qualche giornalista genovese, “il killer di Milena Sutter”. Questo malgrado non vi sia alcuna certezza che la giovane Sutter sia stata assassinata; e come sia davvero morta.

I media italiani, sia nel caso di Bossetti che di Bozano, sono andati al traino della magistratura. Non hanno imparato alcuna lezione dal più grande cronista italiano di “nera”, Tommaso Besozzi, che nel luglio del 1950 osò smentire i carabinieri sulla morte del bandito Giuliano. Sul caso di Yara Gambirasio, i giornalisti seguitano a coltivare la narrazione dei magistrati bergamaschi. Non si sognano nemmeno di tematizzare i dubbi scientifici su come sia stata esaminata la traccia di Dna sul corpo di Yara.

Sia Netflix, con un film, sia la Bbc, con un docu-film a puntate, hanno fatto di peggio. Hanno dato solo la versione del pubblico ministero del caso; senza dare spazio – se non in modo parziale e al limite del fumetto – alle ragioni della difesa di Massimo Bossetti. Eppure l’avvocato Claudio Salvagni ha sollevato un dubbio di metodo che tocca i diritti costituzionali di tutti noi: perché non è stato possibile, per la difesa di Bossetti, fare una propria analisi delle tracce di Dna? Perché solo i ricercatori di polizia e carabinieri possono fare analisi e sono autorizzati a trarre le conclusioni? La scienza non è forse fatta di contraddittorio fra studiosi e analisti?

Che qualcosa non funzioni nei media, quando si occupano di casi controversi, lo dimostra proprio l’ultimo capitolo – in ordine di tempo – del caso Gambirasio-Bossetti: le indagini dei magistrati di Venezia sulla sparizione della “prova regina” del Dna sul corpo senza vita di Yara. La notizia è stata data dal Corriere del Veneto. L’agenzia Ansa vi ha dedicato un articolo, che riprende quanto scritto dal quotidiano. Pochi altri giornali se ne sono interessati. Lo stesso Corriere della Sera ha ignorato lo scoop della sua edizione veneta.

La vicenda delle tracce di Dna, sul corpo di Yara Gambirasio, sparite e forse mai più recuperabili; il modo in cui la notizia “non” è stata data dai media italiani; l’ignorare l’importanza di un diritto costituzionale come la difesa in sede penale, sono così la dimostrazione di quanto sia importante riflettere sul rapporto fra crimine, giustizia e media.

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